I COSTI DELL'AMBIGUITA'
La mancanza di chiarezza, in sede di stipula, mette a rischio la compagnie in caso di contenzioso. Come dimostrano molte sentenze sfavorevoli al proponente
09/09/2016
Apertura, trasparenza e semplicità. Queste le parole magiche da tenere sempre a mente, in fase precontrattuale, per non incorrere nelle interpretazioni giurisprudenziali sfavorevoli. “Il rischio – spiega l’avvocato Giorgio Grasso, Phd of counsel dello studio legale Simmons & Simmons – è quello di favorire pratiche speculative da parte dell’assicurato, che, pur non avendo acquistato la specifica estensione di garanzia e pagato il relativo sovrappremio, si vedrebbe riconosciuto l’indennizzo a seguito della declaratoria di inefficacia della esclusione”.
La chiave di tutto è nella trasparenza: secondo la Corte di giustizia europea, le clausole devono essere chiare e comprensibili ed esporre, in modo preciso, il contenuto effettivo della polizza: “È importante però – sottolinea Grasso, con riferimento alla sentenza della sezione III della Corte di Cassazione del 18 gennaio 2016 n. 668 – che la chiarezza contrattuale non neghi il valore del testo contrattuale e della libera negoziazione, perché, se è vero che il cliente va tutelato, bisogna garantire anche chi propone il contratto, evitando di svilire i principi di tecnica assicurativa che sono alla base della polizza”.
CHI È IL SOGGETTO DEBOLE?
A questo proposito, va fatta una distinzione tra il privato e il cliente corporate che, per sua natura, ha maggiori strumenti da far valere nella discussione precontrattuale. “In questi casi, la nota informativa (predisposta dall’Ivass) non è necessaria perché ci troviamo di fronte ad un processo di negoziazione individuale in cui il contraente partecipa attivamente, e necessita perciò di minori tutele informative rispetto ai contratti per adesione”.
I DUBBI SULLA CLAIMS MADE
Altro tema dibattuto, la validità delle clausole a richiesta fatta, di cui ancora oggi si discute la vessatorietà. A poco è valsa anche la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 6 maggio 2016 n. 9140, che avrebbe dovuto risolvere i dubbi delimitando solo l’oggetto piuttosto che la responsabilità. La sentenza in oggetto afferma che “nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola claims made impura non è vessatoria; può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza”. In pratica – conclude Grasso – la vessatorietà va analizzata di volta in volta: quindi viene rimessa al giudice di merito ogni valutazione, generando, di conseguenza, ulteriori dubbi”.
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