MAGGIORE CHIAREZZA SULLA RC SANITARIA
A oltre due anni dall’approvazione della Legge Gelli permangono punti da chiarire e mancano i decreti attuativi. Una revisione del testo ministeriale rende più chiari alcuni temi tra i quali l’onere della prova e l’azione diretta verso l’assicuratore
22/10/2019
La disciplina civilistica della responsabilità professionale ha ricevuto certamente negli ultimi anni una forte carica propulsiva e disciplinante per effetto del contributo chiaro e ben delineato della giurisprudenza, sia essa di legittimità che di merito.
Non possiamo tuttavia non prendere le mosse dalla storia recente che ci porta a ricordare che, fatto assai inusuale nel nostro panorama normativo, poco più di due anni fa il legislatore ci ha proposto una legge regolatrice, e quindi specialistica, di una singola branca della responsabilità civile: la colpa del medico e della struttura sanitaria.
Dobbiamo infatti alla legge n. 24 del 2017 un contributo che sotto vari profili ha consentito di delineare le tracce chiare non solo nello specialistico settore della colpa sanitaria, ma, più in generale, dell’intera disciplina della responsabilità professionale.
Basti pensare, infatti, alle indicazioni normative per la prima volta e opportunamente chiare in tema di coperture assicurative e della loro ampiezza temporale, con la regolazione una volta per tutte tipizzante della clausola così detta claims made che finalmente, a dispetto di una parte di giurisprudenza ostile, ha superato ora le colonne d’Ercole della supposta illiceità, per approdare a un meccanismo normativo di delimitazione chiara della garanzia e della sua ampiezza.
Non possiamo ancora salutare la pienezza disciplinare della legge 24/2017 (altrimenti nota come Legge Gelli) perché ancora mancano all’appello i necessari decreti attuativi riferiti a quelle norme (artt. 10, 11 e 12 della legge innanzitutto) che detteranno la nuova disciplina piena ed esaustiva delle coperture assicurative obbligatorie e dei contrapposti meccanismi alternativi (le note Sir).
UN AMBITO CHIARO PER L’AZIONE DIRETTA VERSO L’ASSICURATORE
La versione ultima, divulgata questa estate, del testo ministeriale appare per la gran parte condivisibile, laddove si propone di disciplinare in modo chiaro e lineare aspetti centrali che attengono alla struttura dell’azione diretta contro l’assicuratore del responsabile (in termini di eccezioni opponibili e non al danneggiato) così proponendo di completare un aspetto della normativa che, si auspica, potrà agevolare il ritorno del mercato nel ramo.
Una buona parte della legge è già stata esaminata e interpretata dalla magistratura di merito, in particolar modo nelle norme che, già in vigore, attengono al processo da colpa medica con particolare riguardo tanto ai profili della colpa, quanto ai meccanismi di accelerazione del processo che la legge propone e auspica.
È il caso dell’attuale improcedibilità dell’azione diretta contro l’assicuratore per la mancata adozione dei decreti regolatori (come detto in fase di approvazione), che ancora oggi, a parere di una parte rilevante della magistratura di merito (come quella milanese) rendono impossibile la presenza dell’impresa assicuratrice del presunto responsabile, pur sussistendo un obbligo dello stesso a garantire patrimonialmente la struttura sanitaria convenuta.
Questa rilevante distonia fra uno degli aspetti più importanti della legge Gelli (quella di consentire alla vittima di chiedere il risarcimento direttamente al soggetto che sarà tenuto a pagare, nei limiti contrattuali, il danno) e la sua mancata adozione pratica, stanno privando il sistema di una importante funzione socio-protettiva della novella, spesso con pregiudizio per il paziente.
L’INCERTEZZA RICADE SUL DANNEGGIATO
Altro importante contributo della giurisprudenza alla disciplina della colpa professionale è dato in tema di onere della prova e di nesso causale tra colpa e pregiudizio.
In tema di onere probatorio del nesso eziologico, si ricorda, infatti, che la Suprema Corte è ormai univoca nell’affermare che “ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, è onere del danneggiato (paziente) provare il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre è onere della parte debitrice provare che una causa imprevedibile e inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione; l’onere per la struttura sanitaria di provare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile sorge solo ove il danneggiato abbia provato il nesso di causalità fra la patologia e la condotta dei sanitari” (Cass. 26.07.2017 n. 18392; in senso conforme Cass. 16 gennaio 2009, n. 975; 9 ottobre 2012, n. 17143; Cass. 31.07.2013 n. 18341; Cass. 12 settembre 2013, n. 20904; Cass. 20 ottobre 2015, n. 21177; Cass. 14.11.2017 n. 26824; Cass. 7.12.2017 n. 29315 e, da ultimo, Cass. 15.02.2018 n. 3704).
L’ONERE DELLA PROVA TRA CIVILE E PENALE
A questa linea si è accodata la giurisprudenza di merito che, proprio in tema di nesso causale, ha avuto modo di affermare che: “…nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno da attività medico chirurgica se, all’esito del giudizio, permanga incertezza sull’esistenza del nesso causale tra condotta del medico e danno, tale incertezza ricade sul paziente e non sul medico” (Tribunale di Milano, Sez. I^ Civile, n. 9289/2014 del 9 luglio 2014; sentenza confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello di Milano 14.10.2015 n. 3940; Tribunale di Genova, Sez. II, 21.10.2014, e trib. Milano sentenza 4970/11).
Una sentenza appena depositata delle Corte di Cassazione (n. 22520 del 10 settembre 2019) ci rammenta che il giudizio penale si distingue radicalmente da quello civile in tema di onere della prova, stante la diversa funzione protettiva del rito (con il favor rei proprio del giudizio penale cui contrasta nel rito civile la ricerca della protezione del paziente) e, soprattutto, con il diverso approccio al quadro istruttorio, ove alla certezza oltre ogni ragionevole dubbio necessaria alla condanna del sanitario si contrappone, nel civile, la probabilità statistica sufficiente nella misura del 50% per ritenere il medico responsabile del danno arrecato.
LA RESPONSABILITÀ DELL’AVVOCATO
Infine, uno sguardo anche oltre la responsabilità sanitaria, ci porta a esaminare una interessante e recentissima sentenza della Corte di Cassazione (la n. 16898 del 25 giugno 2019) ove il supremo collegio censura e sanziona la scelta processuale di una parte, e del suo legale, palesemente infondata con l’applicazione della sanzione di risarcire il danno alla parte inutilmente e infondatamente invocata in giudizio (ex art. 96 C.p.c. per temerarietà della lite).
Quello della scelta strategica processuale errata è uno degli aspetti primari della responsabilità professionale dell’avvocato alla quale si dà ancora poca evidenza, ma che – come per ogni altro aspetto della disciplina civilistica della colpa professionale – attiene alla genesi e alla stessa causalità del rapporto tra cliente e professionista: l’attribuzione al soggetto tecnicamente preparato della funzione di risolvere con la migliore e più soddisfacente strategia specialistica il mandato conferito, avendo a misura del valore della prestazione non più solo il risultato, ma anche il tempo del suo raggiungimento e il costo utile dell’apporto professionale.
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