CLAIMS MADE, NUOVO INTERVENTO DELLA CASSAZIONE

Con l’ordinanza n. 3123 del 2 febbraio 2024, la terza sezione civile della Corte di Cassazione è nuovamente intervenuta sul tema della validità della clausola “claims made”, aprendo un nuovo capitolo nella saga che da anni interessa l’applicazione di questa importante norma assicurativa

CLAIMS MADE, NUOVO INTERVENTO DELLA CASSAZIONE
Il fatto riguarda un caso di responsabilità medica, in seguito al decesso di un paziente, ricoverato in una struttura per una frattura del collo del femore. 
I parenti della vittima avanzano richiesta di risarcimento all‘ospedale e ai medici responsabili del reparto, ritenendo il decesso causato da un’immotivata lunga attesa dell’intervento chirurgico, effettuato con due settimane di ritardo, rispetto all’infortunio. Ciò avrebbe sottoposto il paziente a un allettamento prolungato che, anche a causa della mancata somministrazione di un’adeguata terapia antitrombotica, ne avrebbe determinato il decesso per arresto cardiocircolatorio da embolia polmonare massiva, poche ore dopo l’operazione.
In questa sede ci concentreremo sul ricorso avanzato dalla struttura contro la compagnia assicuratrice, la quale aveva eccepito l’inoperatività della polizza in corso, stipulata in regime di claims made, in quanto la richiesta risarcitoria era stata avanzata con alcuni mesi di ritardo rispetto ai termini previsti nel contratto. Il fatto generatore, ovvero l’intervento chirurgico, si era infatti verificato durante la vigenza della polizza e la stessa concedeva un ulteriore periodo di 12 mesi, oltre la sua scadenza, per denunciare il sinistro. 
La messa in mora degli eredi, e la conseguente denuncia di sinistro, erano però giunte quattro mesi dopo tale termine e la garanzia risultava pertanto non più operativa.

IL MECCANISMO DELLA CLAIMS MADE

Vale qui la pena di fare un passo indietro per rammentare il funzionamento di questa importante regola che scandisce l’efficacia di un gran numero di polizze, definendone la validità temporale. 
Nell’assicurazione che funziona su questa base, sono accettate come valide tutte le richieste di risarcimento pervenute agli assicuratori (in inglese, claims made), durante il periodo di vigenza della polizza, indipendentemente dalla data in cui il danno cui si riferiscono, ossia il cosiddetto evento generatore, sia effettivamente accaduto.
In pratica, viene cambiata la definizione di sinistro, che non riguarda più il momento in cui l’evento dannoso si verifica (in inglese, loss occurrence), ma si sposta a quello in cui lo stesso emerge e viene quindi denunciato alla compagnia assicuratrice.
Comprendere questa diversa interpretazione del danno assicurato non è tanto intuitivo: per la maggior parte delle persone esso è rappresentato dall’evento, non dalla sua denuncia. È quindi necessario calarsi nelle ragioni che hanno spinto le compagnie di assicurazione a proporre questo diverso meccanismo, anche perché il Codice civile spiega molto bene, all’articolo 1917, che le polizze di assicurazione della responsabilità civile valgono per la copertura dei fatti occorsi nel periodo di validità della stessa: non certo per le denunce di tali fatti.
La questione dipende dall’esistenza delle cosiddette polizze di responsabilità long tail
Questi contratti prevedono una durata piuttosto lunga della vita di ciascun sinistro. Chi subisce il danno, infatti, non ne ha sempre contezza immediata ed è possibile che trascorra del tempo, prima che tale soggetto percepisca di averlo subito, sia in grado di collegarlo all’evento generatore dal quale dipende e sporga quindi denuncia all’attore, al fine di ottenere il risarcimento che gli spetta. 
Per ciascun sinistro, dunque, si distingueranno un anno di accadimento (l’anno nel quale il sinistro è effettivamente occorso) e un anno di denuncia (l’anno nel quale la richiesta di risarcimento è pervenuta per la prima volta agli assicuratori). 
Per definire il limite temporale della copertura su base claims made, è previsto un limite di retroattività o garanzia pregressa (in inglese, retro limit) per cui i danni verificatisi prima della data indicata a questo fine, seppure denunciati durante il periodo di polizza, non verranno accettati dall’assicuratore. 
È poi possibile prevedere un determinato lasso di tempo, oltre la data di scadenza della polizza, nel corso del quale si potrà ancora presentare denuncia di sinistro alla compagnia. Si tratta del cosiddetto periodo di ultrattività, talvolta indicato come garanzia postuma, che prolunga il termine temporale entro il quale è possibile denunciare il sinistro, dopo la scadenza della polizza stessa.
Può infatti accadere che un sinistro occorra poco prima della scadenza del contratto e l’assicurato potrebbe non avere il tempo necessario per ricevere la relativa denuncia e avanzarla all’assicuratore. Si renderà quindi necessario un ulteriore lasso di tempo che gli consenta di segnalare alla compagnia l’evento dannoso. 
Rispetto al periodo di durata del contratto, quindi, la validità della polizza risulta alquanto dilatata, in funzione dei termini previsti quale limite, prima del suo effetto (per quanto attiene alla retroattività) e dopo la sua scadenza (per quanto invece concerne la postuma o ultrattività).
Questa clausola comporta quindi una serie di vantaggi per tutti i soggetti coinvolti nel negozio assicurativo. Essa ha infatti il merito di attualizzare la copertura, rendendo assai più semplice la denuncia di sinistri che, nell’ambito di una polizza i cui danni dispieghino la loro operatività in tempi anche molto lunghi, potrebbero essere presentati a compagnie che non esistono più, o che non operano più nel mercato di riferimento. 
L’efficacia della copertura risulta inoltre svincolata dall’accertamento di circostanze che potrebbero non essere più facilmente riscontrabili o dalla vigenza, al momento dell’accadimento, di massimali non adeguati alla bisogna.
Per gli assicuratori, stante la dinamica dei sinistri per i rami in cui la clausola è utilizzata, questa clausola soddisfa una serie di esigenze vitali per la loro sopravvivenza e permette loro di adeguare i premi di polizza all’effettivo parametro di spesa del momento in cui gli stessi vengono riservati e pagati, contribuendo in modo determinante a una maggiore certezza sui costi e sugli andamenti dei rischi assicurati. Infine, c’è da considerare che le compagnie di riassicurazione che proteggono i loro portafogli accettano di coprire i rischi long tail esclusivamente su base claims made.



LA STORIA INFINITA DELLA CLAIMS MADE NELL’ORDINAMENTO ITALIANO

Dal momento che il funzionamento di questa clausola si discosta dall’impostazione tradizionale prevista dall’articolo 1917 del Codice civile e rappresentando essa una forma di assicurazione piuttosto complessa, il cui meccanismo può risultare arduo da comprendere per gli assicurati, la magistratura ha lungamente osteggiato il suo utilizzo.  Questo tipo di disposizione si è dunque trovato al centro di molte discussioni, sfociate in diverse prese di posizione da parte dei tribunali di ogni ordine e grado. 
Tra le tante accuse mosse a suo sfavore, essa sarebbe risultata:

  • atipica, se non illegittima, perché contraria al disposto dell’articolo 1917 c.c.;
  • vessatoria, perché limiterebbe l’operatività del contratto a danno dell’assicurato (e sarebbe quindi soggetta alla sua espressa approvazione, ex art. 1341 del c.c.). 
In poche parole, la claims made sarebbe immeritevole di tutela per il nostro ordinamento e danneggerebbe l’interesse dell’assicurato, inteso come parte debole nel processo di vendita del prodotto assicurativo. 
Ciò comporterebbe la nullità del suo contenuto e autorizzerebbe il magistrato (che dovrà giudicarne di volta in volta l’adeguatezza) a modificarne l’oggetto, ricostituendo, ove necessario, lo spirito del disposto dell’articolo 1917 del Codice civile.
La polemica è andata avanti con alterne vicende, attraverso numerose pronunce della Suprema Corte, fino alla più recente, oggetto dell’analisi odierna.

L’ORDINANZA N. 3123 DEL 2 FEBBRAIO 2024

Come si è accennato, la decisione concerne il caso di Rc medica descritto in premessa e, per quanto la causa riguardi una serie di problematiche giuridiche di diverso taglio, è della tematica riguardante la claims made che ci occupiamo in questa sede.
Dunque, la compagnia assicuratrice della struttura eccepisce la non operatività della polizza, in quanto il termine per la denuncia dei sinistri previsto in polizza è trascorso da qualche mese. In prima e seconda istanza, le viene dato torto, in base al disposto dalla decisione della Corte Suprema numero 8994 del 13 maggio 2020. 
In tale circostanza, la Cassazione si era espressa contro l’assicuratore, richiamandosi al disposto dell’articolo 2965 cc, che rende nulle le condizioni di polizza che impediscono l’esercizio di un diritto da una delle parti, rendendolo praticamente impossibile da attuare.
Qual è il problema? La compagnia pone un limite temporale, quello della postuma, che l’assicurato non è in grado di rispettare, perché la denuncia del sinistro non dipende interamente da lui: è necessario che prima gli pervenga la richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato (un elemento del tutto estraneo al contratto assicurativo) e solo a questo punto l’assicurato potrà denunciare il sinistro. 
Il limite posto dalla polizza è dunque indipendente dalla volontà dell’assicurato e a questo si riferisce il disposto dell’articolo 2965, che ne cassa l’efficacia: “Altro è prevedere una decadenza nel termine di dodici mesi dalla richiesta di risarcimento da parte del danneggiato, altro è fissare la scadenza di 12 mesi a partire dalla scadenza del contratto, prescindendo dalla circostanza che in tale lasso di tempo può non pervenire alcuna richiesta di risarcimento, che è il presupposto perché l’assicurato si rivolga all’assicuratore.” (Cassazione, sez. III – n. 8994/2020).
Nel nostro caso, però, la Suprema Corte ritiene il richiamo alla 8994/2020 attinente a una fattispecie non esattamente sovrapponibile a quella esaminata. 
Con un ragionamento, a dire il vero, un po’ contorto, viene invece fatto richiamo a una più recente decisione (Cassazione, n. 12908/2022), proprio in tema di claims made. 
In base a quest’ultima decisione, la clausola non risulterebbe invalida per il disposto dell’articolo 2965, cioè perché farebbe dipendere il diritto dell’assicurato da una scelta operata da un terzo estraneo al contratto. La richiesta del danneggiato risulterebbe, invece, un fattore concorrente nell’identificazione del rischio assicurato, “nel contesto del più ampio genus dell’assicurazione contro i danni (art. 1904 c.c.), della cui causa indennitaria la clausola claims made è pienamente partecipe”.
La richiesta del terzo è un evento futuro, imprevisto e imprevedibile e come tale del tutto coerente con la struttura propria del contratto di assicurazione contro i danni, in cui l’operatività della copertura deve dipendere da un fatto estraneo all’assicurato, come la richiesta di risarcimento avanzata dal terzo danneggiato. Il richiamo all’articolo 2965 non risulterebbe quindi pertinente e, su questo punto specifico, viene data ragione alla compagnia di assicurazione. 
Insomma, i termini previsti dalla clausola claims made, una volta tanto, risultano validi e accettabili per lo scrutinio condotto dal giudice sul fatto oggetto della controversia. 
È pur vero che il ragionamento risulta un po’ complesso da seguire, ma sono davvero poche le decisioni della Suprema Corte che diano ragione a questa tipologia di contratto e c’è da augurarsi che altre si pongano sul medesimo solco. 
Concludendo, la claims made resta sempre soggetta al giudizio di adeguatezza che ne affermi il rispetto dei concreti interessi delle parti e l’idoneità a realizzare la causa negoziale “onde impedire il preponderante trasferimento dell’alea sull’assicurato” a favore dell’assicuratore, ma sembra che le posizioni della magistratura nei suoi confronti si stiano temperando, con buona pace dei suoi numerosi detrattori.

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