TRA RESPONSABILITÀ E GARANZIE DI PROTEZIONE

Caratteristiche e peculiarità della copertura assicurativa pensata per tutelare l’attività dei professionisti: dalle basi giuridiche ai doveri lavorativi, fino all’obbligo di assicurazione e al funzionamento della clausola claims made

TRA RESPONSABILITÀ E GARANZIE DI PROTEZIONE
La natura del contratto di prestazione professionale è qualificata all’articolo 2222 del Codice Civile come prestazione di lavoro prevalentemente personale, eseguita in assenza di vincolo di subordinazione e che prevede il pagamento di un corrispettivo.
Si tratta quindi di un contratto in forza del quale il professionista assume l’obbligo di eseguire una determinata prestazione nei confronti di un cliente o committente, a fronte della corresponsione di un determinato onorario. Tale prestazione può consistere in una prestazione tangibile, in un comportamento tecnico o in un servizio. 
Il prestatore dell’opera è obbligato a compierla a regola d’arte ed entro il termine temporale eventualmente fissato. Trascorso tale termine senza che la prestazione sia giunta a compimento nei modi previsti, il committente può recedere dall’accordo e pretendere l’eventuale risarcimento dei danni subiti per mancato adempimento (art. 2224 c.c.). 
Se il contratto d’opera ha come oggetto una prestazione tangibile (come quella dovuta da un ingegnere), il committente ha otto giorni di tempo per denunciare eventuali difetti e vizi riscontrati. L’accettazione dell’opera, infatti, libera il prestatore da responsabilità per eventuale difformità o difetti della stessa e ne sancisce il passaggio di proprietà al cliente (a meno che il materiale utilizzato per compierla non fosse già di proprietà di quest’ultimo, nel qual caso la proprietà dell’opera è, sin dall’inizio, del committente).
Fermo il diritto al risarcimento dell’eventuale danno sofferto per colpa del prestatore, comunque, l’eventuale azione del cliente si prescrive entro un anno dalla consegna.


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PROFESSIONALITÀ E PRESTAZIONI INTELLETTUALI 

È stato rilevato come la parte del Codice che caratterizza la natura del contratto di prestazione professionale (dal 2222 al 2238) non si adatti interamente alle prestazioni d’opera di tipo intellettuale, come potrebbe essere quella fornita da un avvocato, a causa dell’estrema eterogeneità che caratterizza l’ampia gamma delle specializzazioni professionali. In realtà, non è difficile immaginare come le obbligazioni previste dall’attività di un ingegnere possano essere assai diverse da quelle assunte da un commercialista. Ci troviamo, cioè, al cospetto di un autentico caleidoscopio di competenze, di fronte al quale il Codice si trova intrappolato entro confini incerti, all’interno dei quali è necessario riconciliare la nozione stessa di professionalità secondo formule estremamente eterogenee, designando come tali attività tipicamente manuali, ma anche intellettuali e imprenditoriali.
Ciascun tipo di professione prevede infatti elementi qualificanti precisi, quali il grado di autonomia e discrezionalità necessario all’espletamento del servizio da rendere, che dipendono dalle competenze attestate dall’appartenenza ad appositi albi ed elenchi professionali. Da ciò discende la definizione della responsabilità che incombe su questo genere di prestatori d’opera ai sensi dell’articolo 2236: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”.


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UN ONERE “ADDOLCITO” 

In pratica, ove la prestazione richieda conoscenze e competenze tali da porsi oltre il normale bagaglio di esperienze di un buon professionista, la responsabilità che incombe su di esso risulterà in qualche modo addolcita, giacché il suo errore sarà rilevante solo se riconducibile a dolo o a colpa grave, ovvero al caso in cui il professionista medesimo abbia tenuto un comportamento del tutto inadeguato, in rapporto alla specifica situazione. La professione intellettuale, quindi, si identifica in un’occupazione cui si applica un corpo sistematico di conoscenze e una peculiare capacità di affrontare problemi di difficoltà tale, da poter essere affrancata da una parte del carico di responsabilità che di norma graverebbe sul semplice cittadino. Ciò deriva evidentemente dalla necessità di proteggere il debitore dal pericolo di trovarsi troppo spesso coinvolto in un contenzioso civile, dal momento che talune prestazioni professionali presentano un grado di difficoltà indubbiamente elevato. 
L’importanza di questo dettato è cardinale, e su di esso si basa oggi l’intero impianto della responsabilità professionale nel nostro ordinamento e la volontà di contemperare l’esigenza di rispettare i diritti dei creditori, proteggendo nel contempo l’insostituibile funzione sociale svolta dal professionista.

DAL CONTRATTO ALLA RESPONSABILITÀ 

Trovando la sua fonte nel contratto concluso con il cliente, la natura della responsabilità del professionista si riconosce come spiccatamente contrattuale. Accettando l’incarico proposto dal cliente, infatti, il professionista instaura con lo stesso un legame, da cui discende l’obbligo di fornire la prestazione richiesta. Egli è quindi tenuto all’adempimento dell’obbligazione assunta, secondo i principi di diligenza e correttezza dettati dal codice civile, a partire dall’art. 1176. 
La colpa professionale ricorre qualora il professionista abbia tenuto un comportamento non idoneo al raggiungimento delle finalità poste dal cliente e, in particolare, egli potrà essere considerato colpevole sulla base di tre specifiche tipologie di comportamento: negligenza, imperizia e imprudenza
La prima prevede che vengano posti in atto dei comportamenti negativi che precludano l’attuazione di determinate iniziative, come ad esempio omettere di svolgere un’azione prevista e necessaria. L’imperizia consiste nella mancanza delle competenze che rappresentano il corredo necessario per lo svolgimento dell’attività. L’imprudenza è infine rilevabile tutte le volte in cui il professionista dimostri superficialità nella salvaguardia degli interessi del cliente, con il conseguente aumento ingiustificato dei rischi corsi da quest’ultimo: in questo caso la colpa consiste nel non mantenere un comportamento accorto, scegliendo i mezzi più idonei al conseguimento del miglior risultato e attenendosi alle regole dettate dalla prassi consolidata.
La responsabilità contrattuale del professionista nasce quindi in conseguenza di mancata, ritardata o inesatta esecuzione della prestazione professionale richiesta, che determina un danno economico al cliente. La prescrizione della responsabilità contrattuale è decennale (art. 2946 c.c.), a decorrere generalmente dal momento in cui il contratto è stato stipulato. 
Rammentiamo che per la responsabilità extracontrattuale, ovvero non dipendente da uno specifico patto o obbligazione (ex art. 2043 c.c.), la prescrizione si riduce in genere a cinque anni, eccetto termini specifici, come ad esempio accade per la Rc auto.


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OBBLIGAZIONE DI MEZZI E DI RISULTATO

Trattandosi di un’obbligazione contrattuale, la prestazione d’opera intellettuale è classificabile nelle due fondamentali categorie di obbligazione di mezzi e obbligazione di risultato. Nelle prime il debitore è obbligato a svolgere a favore del creditore un’attività determinata, senza però garantire il risultato che il creditore si attende. Le seconde hanno invece come oggetto proprio il risultato che il cliente-creditore della prestazione ha interesse a conseguire. 
La distinzione comporta conseguenze assai rilevanti sulla disciplina applicabile in caso di responsabilità, poiché da essa dipende una diversa ripartizione dell’onere della prova. Nell’ambito delle obbligazioni di risultato sarà il professionista a dover provare la propria estraneità al danno lamentato, mentre per le obbligazioni di mezzi vale il criterio secondo cui l’onere di provare l’inadempienza del debitore debba ricadere sul cliente danneggiato.
Fatta questa premessa, le obbligazioni assunte dai professionisti intellettuali nell’esercizio delle proprie attività vengono normalmente qualificate come obbligazioni di mezzi, giacché il professionista si impegna a svolgere una prestazione, senza assumere responsabilità particolari circa l’esito di tale attività. Un avvocato, ad esempio, si impegna a proteggere gli interessi del suo cliente, ma non può garantire che questi vinca la causa. Esistono tuttavia casi in cui all’attività professionale intellettuale viene anche riconosciuta la natura di obbligazione di risultato e ciò può capitare, ad esempio, quando l’opera oggetto del contratto è costituita da un bene materiale (un ingegnere si obbliga a fornire il progetto di un edificio, ma è previsto che lo stesso stia in piedi e sia adatto all’attività del committente). Non essendo sempre evidente l’attribuzione di questa o quella natura alle obbligazioni del prestatore d’opera intellettuale, dottrina e giurisprudenza hanno cominciato a optare per un progressivo stemperamento del binomio esistente, ma resta da chiarire come questo orientamento possa conciliarsi con la necessità di determinare l’onere probatorio a carico dei soggetti coinvolti. 

L’OBBLIGO DELLA POLIZZA

L’obbligo di stipulare una polizza di assicurazione per la responsabilità derivante dall’esercizio dell’attività del professionista è entrato in vigore il 15 agosto 2013, con la cosiddetta riforma delle professioni, di cui al d.p.r. 137/2012. In linea con analoghe normative già adottate in altri Paesi, l’intendimento del legislatore è quello di tutelare i clienti di tutti i professionisti iscritti ai rispettivi ordini per i danni colposamente provocati nell’esecuzione della prestazione richiesta. Non adempiere a tale disposizione costituisce illecito disciplinare deontologico, che sarà valutato dall’ordine professionale di competenza.
Unici esclusi dall’obbligo previsto dalla riforma delle professioni, al momento della sua entrata in vigore, gli iscritti all’ordine degli avvocati, per i quali ha fatto da riferimento la successiva riforma della professione forense (l. n. 247 del 31 dicembre 2012 e successivo d.m. del 22 settembre 2016), e i professionisti dell’area medica, per i quali il 1° aprile 2017 è entrata in vigore la legge Gelli, n. 24/2017.
Ad ogni modo, per quanto diverse siano le normative attinenti ai vari ordinamenti professionali, in ognuna di esse la questione delle coperture assicurative riveste un ruolo centrale: rendere obbligatorio l’acquisto di una polizza a protezione del soggetto che non possiede cognizioni tecniche necessarie per sorvegliare lo svolgimento dell’attività del professionista, è infatti considerato un fattore distintivo nella salvaguardia dell’ordine pubblico in una società civile. Tutto ciò nell’ottica della valorizzazione della cosiddetta funzione sociale dell’assicurazione, intesa come strumento di regolazione dei rapporti tra le parti, in grado di garantire significativi benefici per la difesa e la solidità economica dell’ordine sociale.

LA CLAUSOLA CLAIMS MADE

Sul piano del mercato assicurativo c’è da rilevare che l’introduzione di quest’obbligo, seppure articolato in tempi e modalità diversi, ha interessato un numero assai rilevante di operatori e ha posto le coperture di responsabilità civile professionale al centro dell’attenzione, anche a livello internazionale. Si tratta cioè di un mercato cospicuo, che ha continuato a segnare una forte crescita economica di anno in anno, soprattutto se paragonata alla progressiva riduzione della raccolta premi relativa agli altri rami sottoscritti. 
L’origine anglosassone di questo tipo di polizze ha causato molti problemi, in particolare per l’adozione della clausola claims made (o a richiesta fatta), che prevede il funzionamento della copertura assicurativa, non in base alla data di accadimento dell’illecito che causa il danno, ma in base alla data della relativa richiesta di risarcimento presentata dal danneggiato. Questo tipo di trigger (letteralmente, grilletto, perché innesca il funzionamento della copertura assicurativa) è ormai adottato in tutte le polizze di Rc professionale ed è considerato assolutamente indispensabile dai riassicuratori, sicché per molte compagnie sarebbe impossibile coprire questi rischi senza utilizzarlo. 
Questo dispositivo è stato introdotto per far fronte al marcato disallineamento temporale esistente tra la genesi del danno e il momento in cui l’attore, resosi conto dell’illecito subìto e individuato il nesso causale con l’evento generatore, presenta la richiesta di risarcimento al professionista. Quest’ultimo, il più delle volte ignaro delle conseguenze che tale episodio ha a suo tempo determinato, ha così l’opportunità di fronteggiare la domanda di ristoro con i mezzi di cui dispone in quel momento. L’intera architettura temporale del danno viene in questo modo riallineata, venendo la risposta dell’assicurato, e della compagnia di assicurazioni che lo sostiene, attualizzata con l’esigenza della vittima. 
Com’è noto, però, l’adozione di questa clausola nel nostro ordinamento è stata lungamente osteggiata dalla magistratura, perché non v’è dubbio che comprenderne perfettamente il meccanismo è cosa assai complicata, non solo per l’assicurato, ma perfino per i distributori stessi del prodotto assicurativo. 
L’intermediario ha infatti la necessità di capire come questa clausola si adatti all’attività assicurata, senza lasciare adito a dubbi interpretativi che potrebbero comportare il rifiuto di un risarcimento da parte dell’assicuratore. Ma tutto ciò è reso difficile dall’ampia gamma di specializzazioni professionali e dall’eterogeneità di competenze manuali, intellettuali e imprenditoriali che caratterizza il concetto stesso di prestazione professionale, e che rende l’assicurazione di questo tipo di responsabilità civile assai complesso e soggetto a difficoltà tecniche molto peculiari.

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