INSIEME CONTRO LE FRODI
Le indagini sui falsi sinistri pesano sul lavoro dell’autorità giudiziaria, costretta spesso a concludere con un’archiviazione. Una serie di protocolli firmati dall’Ania e da alcune Procure della Repubblica mira a creare una collaborazione virtuosa che favorisca il coordinamento delle informazioni e delle azioni di contrasto
11/01/2019
Alcuni orientamenti della Corte di Cassazione stabiliscono che la competenza territoriale per il reato di frode assicurativa si radichi “nel luogo di sottoscrizione della polizza”, ossia presso il tribunale della città dove ha sede la compagnia che ha assunto il rischio. Poco importa dunque se la frode è stata commessa da tutt’altra parte: centinaia di querele partono ogni anno da tutte le Procure d’Italia per finire sulle scrivanie dei magistrati competenti. E si tratta soprattutto di magistrati che lavorano nei tribunali del Nord, visto che è proprio al Nord che la stragrande maggioranza delle compagnie ha deciso di stabilire la propria sede. I risultati sono facilmente intuibili, come ci insegna anche la cronaca. Nel 2016 fece molto scalpore la notizia di oltre 800 fascicoli aperti alla procura di Milano per presunte frodi assicurative: più del 90% delle querele arrivava dalla Campania.
“Circa il 22% dei sinistri Rc auto sono a rischio frode: nella metà dei casi vengono predisposti degli approfondimenti che portano in media a circa 50mila ritiri e 4.500 querele”, ha illustrato Massimo Treffiletti, dirigente responsabile servizio Card accordi associativi antifrode dell’Ania. Numeri che si commentano da soli. E che ingolfano, come visto, il lavoro delle procure competenti, provocando difficoltà oggettive a svolgere indagini su possibili frodi che possono essere state commesse a centinaia di chilometri di distanza. In questo contesto, ha aggiunto Treffiletti, non stupisce che “la maggior parte di queste querele venga archiviata o finisca in prescrizione”. Ed è proprio per evitare questa deriva che l’Ania negli ultimi mesi ha siglato una serie di protocolli antifrode con alcune Procure della Repubblica, per unire gli sforzi contro chi è riuscito a fare dei falsi sinistri un vero e proprio business.
COLPIRE LE ASSOCIAZIONI CRIMINALI
Parlare di business non è affatto casuale. “Abbiamo deciso – ha proseguito Treffiletti – di concentrarci su filoni che possano portare a grandi organizzazioni, a vere e proprie associazioni a delinquere”. Nel mirino non finisce dunque chi sopravvive a forza di colpi di frusta, ma chi concorre a inscenare falsi sinistri in maniera precisa e puntuale, quasi professionale. Gli indizi, in tal senso, non mancano. “Spesso persone, auto e testimoni sono gli stessi in diverse querele”, ha osservato Carlo Caponcello, avvocato generale presso la Procura Generale di Catania. “Si tratta di connessioni – ha aggiunto – che possono far emergere un reato associativo e che dunque consentono all’autorità giudiziaria di ricorrere a strumentazioni d’indagine altrimenti vietati, come intercettazioni telefoniche e ambientali”.
I coinvolgimenti delle associazioni criminali “sono piuttosto frequenti alle nostre latitudini. Ed è per questo motivo – ha spiegato Caponcello – che ho già preso contatti con altre Procure nelle zone di Catania, Messina, Palermo e Reggio Calabria per identificare i referenti a cui trasmettere i nostri elementi per far emergere eventuali connessioni”.
LA CHIAVE DELLA COLLABORAZIONE
Già, perché le informazioni ci sono: la chiave è quella di riuscire a creare un coordinamento che possa garantire la condivisione degli elementi già in possesso. Il tutto nella maniera più fluida e veloce possibile. “L’obiettivo del protocollo è quello di rendere più rapido il passaggio delle informazioni”, ha affermato Luigi Tambone, titolare dello studio legale Tambone che ha sede a Catania e Bologna. Procure e compagnie sono pertanto tenute ad adottare modelli operativi e iniziative di coordinamento che possano, nel mantenimento della riservatezza necessaria, accelerare lo scambio di informazioni e facilitare il ricorso agli strumenti previsti dal protocollo. Come nel caso della valutazione preventiva, strumento che consente alle società, ha spiegato Tambone, di “presentare, attraverso i propri responsabili antifrode e i rispettivi legali di fiducia, una valutazione di massima su episodi e circostanze di ritenuto rilievo investigativo”.
I primi risultati si vedono già. “Nel 2014 – ha portato l’esempio Tambone – la Procura di Messina ha impiegato otto mesi per raccogliere le informazioni necessarie all’interno di un’indagine giudiziaria: nel 2018, grazie al protocollo, in un’indagine analoga la raccolta di informazioni ha richiesto appena 15 giorni”.
DAL DIRE AL FARE
Il coordinamento si rileva dunque fondamentale. Innanzitutto perché concentra gli sforzi di magistrati, polizia giudiziaria e compagnie in un unico filone d’indagine, evitando situazioni in cui, come ha affermato Caponcello, “una ventina di imprese assicurative si presentano in tribunale per costituirsi parte civile in un processo per frode assicurativa”. E poi perché, ha specificato Tambone, “da un singolo elemento può scaturire un accertamento e portare magari a un insieme di soggetti che appartengono alla criminalità organizzata e che utilizzano le frodi come un bancomat”.
Il proposito c’è. Resta da vedere se si riuscirà a passare dalle parole ai fatti. “Il protocollo deve essere un punto di partenza, la vera sfida è farlo funzionare”, ha osservato Treffiletti. Che però ha detto di rilevare fra tutti gli attori coinvolti “la volontà di fare gioco di squadra”. Così facendo, ha auspicato il dirigente dell’Ania, si potrà persino arrivare a una sorta di banca dati che si alimenterà con il contributo di tutte le compagnie. E si potrà cercare di mettere un freno a un fenomeno, quello delle frodi assicurative, che presenta, come ha ricordato Caponcello, “un profilo privatistico e uno pubblicistico: è l’intera collettività che ne subisce le conseguenze, attraverso l’aumento dei premi e la criminalizzazione generalizzata di determinati territori”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA