LA MINACCIA LIQUIDA
Frammentati, creativi e flessibili: i terroristi si confondono nella società civile, aggirando i nostri sofisticati sistemi di sicurezza. Prevedere gli attentati è diventato sempre più difficile. Per questo occorre una strategia di prevenzione, fondata sull'integrazione dei migranti
26/07/2018
👤Autore:
Alessandro Giuseppe Porcari
Review numero: 56
Pagina: 48
☁Fonte immagine: Valeria Beltrami Photo
I terroristi sono tra noi: condividono la nostra vita, conoscono le nostre ansie e paure, ci osservano per colpire quando meno ce lo aspettiamo. Dall’attentato alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre 2001, passando per le stragi di Madrid, Londra, Parigi, Bruxelles, fino ad arrivare agli attentati di Nizza e Berlino: sono ormai migliaia i civili morti per mano di criminali che hanno saputo aggirare i sempre più sofisticati sistemi di sicurezza internazionali. “Un fenomeno estremamente adattivo, che si comporta diversamente a seconda dei territori nei quali agisce” ha detto Marco Di Liddo, responsabile geopolitico del Centro studi internazionali (CeSi). “Il terrorismo – ha spiegato – era nato come opera di piccole cellule e organizzazioni finanziate da mecenati del terrore, primo fra tutti Osama Bin Laden. Oggi si è trasformato a tutti gli effetti in una multinazionale estremamente diffusa sul territorio, paragonabile al mostro mitologico dell’Idra di Lerna”. La pericolosità del fenomeno è quindi nella camaleontica capacità dei terroristi di rimanere attivi, mimetizzandosi con le diverse realtà, con una notevole flessibilità e creatività operativa.
L’ERA DEI LUPI SOLITARI
Anche il terrorismo europeo si evolve: ha abbandonato il modello della cellula in senso classico, per trasformarsi in una minaccia liquida. “L’importante – ha continuato Di Liddo – è diffondere un messaggio che poi verrà colto da un numero sempre più alto di soggetti vulnerabili”. Il responsabile geopolitico del CeSi ha tracciato il profilo del potenziale terrorista europeo, che supera la tipica immagine del soldato armato dall’Isis, “Non si tratta di miliziani che hanno ricevuto una formazione militare, ma di ragazzi che per qualsiasi motivo possono avere avuto un problema personale”. A scatenare una motivazione terroristica entrano quindi in gioco fattori affettivi, come l’abbandono di una ragazza, o problemi lavorativi, come l’assenza di una occupazione, o semplicemente difficoltà nell’integrazione sociale. In questo modo la propaganda islamista diventa un’occasione per redimere le proprie esistenze. Dal punto di vista operativo diventano paradigmatiche due stragi del 2016: Nizza (14 luglio) e Berlino (12 dicembre). “Gli attentatori hanno avuto contatti estremamente marginali con l’organizzazione terroristica, si sono quindi auto-radicalizzati” ha spiegato Di Liddo, che nella strage della Promenade des Anglais e del mercatino di Natale vede elementi per spiegare il futuro trend del terrorismo internazionale. Il terrorista 4.0 è quindi una persona che si forma attraverso internet o canali social come Telegram. È privo di una formazione militare, ma è capace di organizzare attentati usando mezzi comuni e di facile reperibilità. Si affermano in questo modo due tipologie di terroristi: i lupi solitari, ossia soggetti che agiscono da soli, senza bisogno di essere imboccati da un leader carismatico; e i lupi lunatici, persone che agiscono perché mossi da problemi psichiatrici. In quest’ultimo caso, Di Liddo ha messo in guardia dall’errore di definire pazzi tutti gli attentatori: “i soggetti che soffrono di disagi mentali sono migliaia, ma non per questo sono tutti dei potenziali criminali”.
LA SICUREZZA PASSA PER L’INTEGRAZIONE
Secondo Di Liddo, il terrorismo di matrice islamica è un fenomeno che durerà per almeno 50 anni. L’evoluzione del fenomeno rende sempre più difficile, a volte persino impossibile, prevedere attentati individuali. Esistono tuttavia segnali sistemici che possono indirizzare una corretta azione di prevenzione. Il primo elemento da non sottovalutare è dato dal rapporto tra minoranza e maggioranza etnica presente in un Paese. Il rischio cresce dove si rafforza la presenza di comunità straniere, che non beneficiano di un modello di integrazione sano ed efficace. “Più i migranti aumentano – ha sottolineato Di Liddo – più diventa necessario investire nell’intelligence, per monitorare le comunità più a rischio, verificando se esistano già segnali di una narrativa che va contro lo stato di diritto, contro la convivenza e i valori democratici, per mettere in atto iniziative di prevenzione”. Quanto all’Italia, il responsabile geopolitico del CeSi ha assicurato che non c’è una emergenza sociale, perché il numero di cittadini di altre religioni è meno forte rispetto a Francia e Germania, mentre l’apparato della sicurezza nazionale ha il vantaggio dell’esperienza maturata in decenni di lotta alla criminalità organizzata. L’aumento nel numero dei migranti deve essere tuttavia monitorato con attenzione, soprattutto alla luce della crescente pressione demografica dell’Africa, che sarà caratterizzata anche dall’aumento della forza lavoro con un livello medio-alto di competenze, che difficilmente sarà assorbita dalla crescita delle economie locali. Detto altrimenti, ci sono tutte le condizioni perché la situazione italiana possa cambiare radicalmente entro il 2050, con il pericolo che anche le periferie di Roma e Milano possano diventare pericolose come le più problematiche banlieue parigine.
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