I RISCHI IN UN MONDO SEMPRE PIÙ FRAMMENTATO
La forza centrifuga rappresentata dal ciclone Donald Trump aumenterà le distanze tra i paesi e tra le economie. Protezionismo, nazionalismo e conflitti politici contribuiscono a costruire un nuovo campo da gioco per gli operatori economici, già abbastanza preoccupati dal cambiamento climatico e dalle minacce cyber
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12/02/2025
👤Autore:
Fabrizio Aurilia
Review numero: 121
Pagina: 30-33
☁Fonte immagine: Anna Moneymaker - Shutterstock
È cominciata da poche settimane la seconda era di Donald Trump alla guida degli Usa ma, al momento, l’esercito a stelle e strisce non sta marciando sul suolo canadese, la Danimarca non si è ancora convinta a vendere la Groenlandia agli Stati Uniti e il Canale di Panama è ancora di Panama. Nonostante questi ritardi nella strategia dirompente del 47esimo presidente americano, il 2025 sarà un anno ancora più complicato del precedente sul versante geopolitico e commerciale. È ciò che pensano quasi tutti nelle cancellerie internazionali e nella comunità economica: la destabilizzazione di un mondo sempre più frantumato porta con sé rischi inediti di tensioni globali. Lo confermano gli studi, le ricerche, i sondaggi pubblicati dalle società di consulenza, dalle organizzazioni internazionali e dai centri studi delle grandi imprese finanziarie (comprese ovviamente le assicurazioni) che guardano ai rischi globali: geopolitica, guerre commerciali, protezionismo, nazionalismo sono in cima alle preoccupazioni. Seguono i timori legati al clima, accentuati da un lato dalla frequenza e dall’intensità degli eventi catastrofali e dall’altro dal progressivo disimpegno dei decisori politici, in primis gli Stati Uniti usciti (di nuovo) dall’accordo di Parigi della Cop21. E poi, certo, cyber risk, innovazione (incontrollata o mancata) e in generale il rapporto intelligenza umana e intelligenza artificiale, le fake news: un menù di rischi completo la cui intensità non è mai stata così allarmante.
LA SCOMPARSA DEL MULTILATERALISMO
Di tutto questo parleremo nelle prossime pagine, guardando anche ai rischi specifici per il nostro paese, parlando con i protagonisti del mercato e con gli esperti di risk management, analizzando le minacce per il nostro continente di fronte a questo nuovo vento di deregulation.
La 20esima edizione del Global Risks Report del World Economic Forum, realizzato in collaborazione con Marsh McLennan e Zurich, ritrae un panorama globale dove i rischi economici hanno un’evidenza meno immediata nei risultati dell’indagine, ma rimangono una preoccupazione interconnessa con le tensioni sociali e geopolitiche. I conflitti armati tra Stati sono al primo posto nella classifica per il 2025 e il 2026, con quasi un quarto degli intervistati che li considera la preoccupazione maggiore. Per il secondo anno consecutivo, disinformazione e false notizie restano tra i principali rischi di breve termine: persiste, in relazione a questi, la minaccia alla coesione sociale e alla governance. Il 64% degli esperti intervistati prevede un ordine globale frammentato e caratterizzato dalla competizione tra medie e grandi potenze: un contesto in cui il multilateralismo si trova quindi ad affrontare forti tensioni.
RESTRINGERE IL MONDO
Secondo Mirek Dušek, managing director del World Economic Forum, “in un mondo segnato da divisioni sempre più profonde e rischi a cascata, i leader globali hanno una scelta: promuovere la collaborazione e la resilienza o affrontare un’instabilità crescente. La posta in gioco non è mai stata così alta”.
E invece collaborare non sembra più la scelta verso cui sta andando il mondo. In un’analisi del Cesi (Centro Studi Internazionali), a cura di Marco Di Liddo, Tiziano Marino, Alexandru Fordea e Davide Maiello, si legge un invito a “restringere il mondo, ad accorciare le filiere produttive e a evitare il rischio di de-industrializzazione”. La rivalità tra Cina e Stati Uniti è ormai sfociata in un processo di competizione economica multilivello, in cui le tariffe doganali, le sanzioni economiche, gli accordi commerciali preferenziali e le politiche di investimento diretto all’estero sono diventati, secondo gli analisti, “strumenti fondamentali per la promozione degli interessi nazionali in un’ottica di limitazione alla libera iniziativa aziendale”. Secondo il Cesi, siamo entrati in una fase in cui gli interessi securitari prevalgono su quelli mirati al profitto.
“Lo scenario geopolitico è sempre più competitivo per i mercati – ha spiegato Dušek in occasione della presentazione del Global Risks Report, a Davos – mentre polarizzazione, erosione delle libertà e dei diritti umani sono ormai fenomeni che trovano le proprie radici nella disinformazione ma anche nell’uso criminale della tecnologia”.
INVESTIRE PER DIVERSIFICARE
Ma mentre le distanze si dilatano, le nazioni si girano le spalle o se non lo fanno si guardano in cagnesco, i rischi sono sempre più interconnessi, “come spaghetti in un piatto di pasta”, secondo la felice definizione di Carolina Klint, chief commercial officer di Marsh McLennan Europe. “Lo scenario per i mercati è sempre più difficile a causa del protezionismo”, ha sottolineato Klint, rilevando che le difficoltà che le aziende incontreranno nella gestione della supply chain saranno sempre più evidenti: “il rischio di perdere contratti è alto”, così come i ritardi nella catena produttiva e l’aumento del costo finale dei prodotti faranno salire l’inflazione. Il rischio di blocco degli investimenti e di ritardi nell’innovazione è molto probabile se permangono tutte queste incertezze. “Anche a livello di digital supply chain ci saranno problemi”, ha spiegato Klint, citando l’innalzamento del livello di cyber risk cui si somma il costo della normativa “che sta diventando un labirinto che impedisce anche ai digital asset di svilupparsi”, ha aggiunto. Il consiglio di Marsh McLennan è quindi quello di investire per diversificare e ridurre l’impatto del rischio su un singolo paese o una singola linea di business; poi, ovviamente, occorre continuare a investire in cyber risk, data protection e risk management, con contingency plan sempre aggiornati.
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© Hamara - Shutterstock
LA GUERRA MONDIALE DELLA TECNOLOGIA
In questo scenario, vale la pena tornare all’analisi del Cesi per parlare dell’industria dei microchip e dei semiconduttori, il cui valore di mercato globale ha superato i 500 miliardi di euro nel 2023 e rappresenta un settore strategico in grado di influenzare profondamente l’economia, la sicurezza e la competitività tecnologica dei singoli paesi. La supremazia nel settore dei semiconduttori e dei microchip offre anche “un potere decisivo in ambiti cruciali come la difesa, l’intelligenza artificiale e le tecnologie emergenti, dalle quali dipenderanno gli equilibri globali nei prossimi decenni”, scrivono gli analisti.
Il conflitto tecnologico tra le grandi potenze, pertanto, presenta ripercussioni significative sulle aziende coinvolte e sull’intera struttura delle catene di approvvigionamento globali. “La supply chain dei semiconduttori e dei microchip – si legge nell’analisi – è estremamente articolata poiché coinvolge numerosi paesi, ciascuno specializzato in specifiche fasi del processo produttivo. Ciò rende ogni attore quasi indispensabile per gli altri, almeno nel breve termine”. Tale complessità è il risultato di una strategia adottata negli ultimi decenni, durante i quali le aziende hanno preferito delocalizzare senza considerare a pieno le conseguenze di tali decisioni sulla qualità della catena di approvvigionamento. Un ulteriore elemento di vulnerabilità della supply chain dei semiconduttori è rappresentato dalla concentrazione geografica della produzione, fortemente radicata in poche regioni chiave, in particolare in Asia-Pacifico. Tale concentrazione rende la catena di fornitura particolarmente esposta all’alterazione del quadro geopolitico e alla crescente conflittualità commerciale”.
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C’ERA UNA VOLTA LA TRANSIZIONE GREEN
I rischi ambientali, come accennato, dominano l’orizzonte di lungo periodo, con eventi meteorologici estremi, scomparsa della biodiversità, collasso degli ecosistemi, scarsità di risorse naturali in cima alla classifica dei maggiori rischi percepiti per i prossimi dieci anni. L’inquinamento preoccupa per la minaccia significativa, anche nel breve termine, alla salute umana e agli ecosistemi.
Come ha ricordato Peter Giger, group chief risk officer di Zurich, “è cruciale aumentare la resilienza alle minacce climatiche”. La mitigazione e l’adattamento, nei prossimi cinque anni, dovranno guidare le scelte dei leader “anche per rendere il rischio trasferibile”, ha sottolineato Giger. “Ma l’assicurazione da sola non può farcela”, ha ribadito specificando che occorre ridurre la probabilità e la severità dei sinistri nei diversi scenari di cambiamento climatico. Per farlo le comunità e i decisori politici dovranno focalizzarsi sui danni dell’inquinamento e sulla transizione green: “bisogna approvare nuovi business model per la transizione così da ridurre i rischi sistemici”, ha spiegato il cro di Zurich, augurandosi la condivisione di una “visione positiva in un futuro carbon-free”.
La risposta (indiretta) di Trump è stata la promessa di estrarre più petrolio e gas, togliere i sussidi all’elettrico, cancellare ogni politica green e puntare tutto sui combustibili fossili: cosa farà il resto del mondo? Difficile da prevedere.
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