FRA RISCHI PERCEPITI E REALI
Le ultime elezioni politiche sono state il trionfo della paura: timori spesso infondati, perché frutto a volte di una visione distorta della realtà. Per Nadio Dalai, presidente di Ermeneia, è necessaria un'opera di discernimento e un patto di maturità che consenta di coprire quelle che sono le vere minacce
13/07/2018
Per dirla con Niall Ferguson, le ultime elezioni politiche hanno decretato il successo della piazza. Paura, rancore, bad news che tanto riempiono i notiziari e tanto solleticano la pancia del Paese: ecco i veri trionfatori alle urne, il 4 marzo scorso. Senza dimenticare il nuovo corso della retorica del web, così evoluta e dirompente da ricordare una versione 2.0 di Radio Parolaccia su Radio Radicale.
Il caso (o meglio, la più lunga trattativa post-elettorale della storia repubblicana) ha voluto che il convegno organizzato da Insurance Connect si tenesse proprio nel giorno in cui l’esecutivo del premier Giuseppe Conte chiedeva la fiducia al Senato. Ed è stato quasi naturale domandarsi come si sia arrivati a questa situazione. “Il conflitto crea consenso e rappresentanza”, ha osservato Nadio Delai, presidente di Ermeneia. “La politica e la comunicazione sui mass media – ha aggiunto – si nutrono di sentimenti bassi, andando ad alimentare una relazione biunivoca col mondo del web che dà sfogo a tutte queste pulsioni”. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la rabbia della piazza ha prevalso su una politica che si arrocca sulla torre e non appare più in grado di dare speranza. E poco importa se tutte queste paure risultano alla fine infondate.
VOGLIA DI SICUREZZA
Il risultato delle ultime elezioni politiche italiane non è un caso isolato: il referendum sulla Brexit, l’elezione di Donald Trump, il clamoroso exploit di Marine Le Pen alle ultime presidenziali francesi. Segnali diversi di un vento che sta cambiando, almeno in questa precisa fase storica. E che si riallacciano a un progressivo slittamento di paradigma che, per Delai, affonda le sue radici nel pensiero di Sigmund Freud. “Secondo il padre della psicanalisi – ha spiegato – la società a cavallo fra ‘800 e ‘900 aveva un tale livello di sicurezza che tutti potevano sapere in anticipo come sarebbe andata a finire la propria vita”. La nevrosi era la naturale conseguenza di schemi così rigidi da non poter essere scalfiti: il figlio dell’avvocato sarebbe sempre morto avvocato.
Oggi la situazione è completamente ribaltata: non più certezze, ma una libertà così travolgente da trasformare, ha detto Delai, “ogni desiderio in un bisogno”. Eppure l’ansia c’è sempre: liberi da lacci e lacciuoli, navighiamo senza più porti sicuri a cui poter approdare al momento del bisogno. Manca insomma la sicurezza. Quella stessa sicurezza che oggi viene offerta a buon mercato da chi parla alla piazza.
BISOGNA SAPER DISCERNERE
Il bisogno di sicurezza presuppone una certa sensibilità al rischio. Una cosa insolita per un Paese come l’Italia, da sempre caratterizzato da una scarsa cultura del rischio e da una bassa penetrazione assicurativa. E che potrebbe potenzialmente portare a dei risultati positivi, a patto che ci si dimostri in grado di distinguere le minacce reali da quelle frutto dell’emotività. “Il tema centrale è riuscire a interpretare la società per come si sta muovendo”, ha osservato Delai. “La parola chiave – ha precisato – è discernere: bisogna saper distinguere il percepito dal reale”.
Ecco allora che, così facendo, si scopre come molte delle nostre paure risultino, a conti fatti, infondate. È il caso dell’immigrazione, uno dei cavalli di battaglia dell’ultima campagna elettorale. “Gli italiani pensano che gli immigrati siano il 25% della popolazione: in realtà sono molto meno, si fermano al 9%”, ha portato l’esempio Delai. Anche l’economia appare soggetta a una certa distorsione. “Se si chiede agli imprenditori come andrà la produttività nel prossimo futuro – ha aggiunto – tutti sembrano pessimisti. Invece, se si parla della singola azienda, traspare maggiore fiducia”.
SERVE UN PATTO DI MATURITÀ
Parlando cinicamente, la situazione appare assai propizia per le compagnie assicurative. “La crisi – ha osservato Delai – ha cambiato la cultura finanziaria e assicurativa delle famiglie: hanno capito di aver bisogno di maggiori coperture”. E sembrano pure aver compreso che il sistema pubblico, un tempo gran dispensatore di sussidi e prebende, non potrà più mantenere le promesse del passato.
Insomma, le premesse ci sono. E, per non vederle nuovamente frustrate, è necessario quello che Delai ha definito “un patto di maturità”: non si può assicurare tutto e non si può non assicurare nulla. Bisogna fare la già citata opera di discernimento, e poi selezionare le soluzioni migliori per le esigenze della clientela. “La famiglie non chiedono più prodotti – ha osservato Delai – ma un’analisi approfondita dei propri bisogni, rinnovandola magari con il passare del tempo”. La popolazione è sensibile alla novità. Forse è il momento di cambiare la mentalità di chi fa assicurazione.
L’ICEBERG ASSICURATIVO
Solo così, ha detto Delai, si potrà avere “quel lento scongelamento dell’iceberg assicurativo” che in parte, come visto, si sta già verificando. Il presidente di Ermeneia ha chiamato le compagnie alla sfida. “Siamo in una fase di passaggio: il 60% delle imprese – ha osservato – ha superato la prova della crisi e necessita ora di un’ulteriore spinta per fare il balzo definitivo”. Una spinta che potrà arrivare dalle assicurazioni, avendo ripercussioni positive anche sull’intero sistema. A patto che agenti e compagnie decidano di guardare anche a questa fetta di mercato. “È inutile continuare ad andare da aziende e famiglie che sono già assicurate e protette: c’è tutta una miniera che deve essere ancora esplorata, c’è posto per tutti”, ha chiosato Delai.
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Nadio dalai,