EQUO COMPENSO ED EFFICIENZA
Calcolare la remunerazione corretta per il perito, tra impegno richiesto, spese e costi da sostenere, è un esercizio che da tempo cerca di fornire una risposta per la categoria, e di designare un necessario punto di equilibrio non solo tra chi paga e chi riceve il pagamento, ma soprattutto a vantaggio della qualità per l’utente
30/03/2020
Equo compenso. Una definizione sintetica che al suo interno pone più di un problema, anche per i periti assicurativi, professionisti che operano, sia singolarmente sia come titolari di società di servizi o membri di studi associati, come fiduciari di società di assicurazione che rappresentano committenti di dimensioni e proporzioni enormemente maggiori rispetto alle loro, e pertanto in possesso di un potere contrattuale pressoché assoluto.
Il professionista, nell’ambito della sua attività di titolare di società, può anche avere, al suo fianco o alle sue dipendenze, altri professionisti, collaboratori, oggi anche certificati Uni, che svolgono la medesima professione.
La domanda che sono oggi ancora in molti a porsi, in assenza di disposizioni che ne chiariscano la portata, è cosa si debba intendere per equo compenso per i professionisti che operano nei modi indicati, quali sono quelli associati ad Aipai (Associazione italiana periti assicurativi incendio e rischi diversi).
Sino a oggi non è stata data una risposta, diremmo che non si è neanche tentato di farlo.
Era, ed è, al contrario possibile fare due conti in tasca: un calcolo cioè che consenta, sulla base di elementi certi, di individuare un possibile punto di equilibrio.
LE COMPONENTI CHE DETERMINANO IL COMPENSO
Già nel lontano 2005 Aipai pubblicò un opuscolo dando conto dei tempi e dei costi fissi collegati alla sola istruzione di una pratica.
All’epoca venne calcolato in dettaglio un costo minimo, esclusi quelli di perizia, che variava tra i 40 euro e i 32 euro, un costo decrescente in funzione del numero di posizioni trattate.
Considerato che nel tempo le complicazioni sono decisamente aumentate, tenuto conto che dal 2005 al 2018 la sola rivalutazione Istat è di oltre il 20%, possiamo oggi ipotizzare un costo minimo di istruzione di circa 45 euro/pratica.
Questo importo corrisponde alle sole spese fisse generali, a esso vanno aggiunti la equa remunerazione del professionista e l’utile lordo di azienda.
Qual è l’impegno del professionista? Le spese di accesso ai luoghi, i tempi di sopralluogo, la trattativa, l’elaborazione della perizia, la stesura dell’elaborato, la revisione. Ciascuno può moltiplicare il numero di ore, che ipotizza necessarie per un corretto svolgimento di quanto descritto, per quella che pensa essere una giusta remunerazione oraria per il professionista, escludendo beninteso si voglia ricorrere al caporalato della perizia che incide gravemente sulla dignità del professionista oltre che impattare con la legislazione vigente.
Seguendo questa traccia si potrebbe calcolare un equo compenso, che dovrebbe essere, va ricordato, equo per chi lo paga ma anche per chi lo riceve.
IN NOME DELLA DIGNITÀ DEL PROFESSIONISTA
Va da sè che ogni professionista è libero di lavorare alle condizioni che ritiene più opportune e di intrattenere con i propri collaboratori l’atteggiamento che ritiene moralmente più consono. Fatta questa premessa pare però opportuno richiamare l’attenzione degli operatori sui costi fissi, di modo che l’eventuale affidamento di lavori a costi prossimi a quelli fissi di struttura, venga fatto nella coscienza che si è rinunciato a erogare un equo compenso.
Nel decreto legge Milleproroghe è stato inserito un emendamento che si propone di arricchire di contenuti la norma sull’equo compenso già in vigore, quando questo articolo sarà dato alla stampa il decreto Milleproroghe sarà già stato approvato. In questo caso, e salvo modifiche sostanziali, il Mise verrebbe designato come l’organo incaricato di definire i parametri dell’equo compenso per le professioni associative, dopo un attento consulto con le associazioni interessate. Il presidente del Colap (Coordinamento libere associazioni professionali), Emiliana Alessandrucci, in un recente comunicato stampa, nel commentare l’emendamento ha sottolineato come “arriva finalmente un intervento del Parlamento per aumentare le garanzie delle professioni associative. Non essere pagati nella maniera corretta per le attività che vengono svolte è un atto lesivo della dignità del professionista”.
VALUTARE LA SOSTANZA E NON L’APPARENZA
Ci chiediamo ancora: l’equo compenso è cosa che interessa solo il professionista o anche l’utente? E ancora, siamo sicuri che riducendo il compenso ci sia efficienza?
Coniugare risparmio ed efficienza credo sia l’obiettivo di tutti i committenti ed è giusto venga perseguito. Crediamo però esista un punto di equilibrio che deve essere cercato e perseguito. Purtroppo da tempo, in ambienti diversi da quello assicurativo, crediamo sia mancata la ricerca di questo punto di equilibrio, se è vero quello che si legge sui media, quando ad esempio riferiscono che per risparmiare sulle manutenzioni crollano ponti, deragliano treni, collassano gallerie o fabbricati.
È evidente che l’utente immagina che il servizio sia migliore valutando l’apparenza piuttosto che la sostanza. La sostanza di solito riguarda spese che non si vedono né si toccano con mano e di cui si percepisce la mancanza solo quando l’assenza di sostanza dà luogo a problemi. Una scelta che privilegi l’apparenza dà, forse a breve termine, buoni risultati in termini di economie di gestione ma a lungo andare determina costi maggiori o perdite di mercato con conseguenze imprevedibili.
Il problema è che spesso l’orizzonte di chi determina le scelte è a breve; sicché le scelte ne risentono.
Fortunatamente il nostro settore sino a ieri non aveva assecondato questa tendenza. Oggi qualcosa sta cambiando, e non è detto sia in meglio: questo preoccupa, e non poco, la categoria che qui mi onoro di rappresentare.
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