REGOLATORI E OPERATORI: UNA DIALETTICA CULTURALE
Occorre accettare che una normazione realizzata per il supremo interesse dei clienti e del sistema si prenda i propri tempi. Ma le complessità delle norme e la contraddittorietà di certi orientamenti creano oggettive difficoltà ai player del settore, che devono pensare anche a contribuire allo sviluppo economico
16/03/2020
Nell’anno della revisione di Solvency II, è grande la tentazione di consegnare al processo riformatore della normativa tutte le chiavi dell’innovazione e della fortuna degli operatori del mercato assicurativo. Ma non è così: Solvency II è certamente un tassello importante ma non esaurisce, come si è visto, le funzioni potenzialmente innovatrici della regolamentazione. Il regime di solvibilità può favorire o meno certi investimenti, perfino certi singoli Paesi in cui la normativa è applicata, ma di per sé non risolve i problemi di un’economia asfittica, dell’ambiente negativo dei tassi d’interesse, delle conseguenze della Brexit, delle guerre commerciali e persino del coronavirus.
Se i meriti di Solvency II non sono messi in discussione da alcun operatore, semmai, giunti allo snodo della revisione, occorre mettere mano definitivamente alle cose che non vanno. La road map, richiamata da Fausto Parente, executive director di Eiopa, durante la tavola rotonda dell’Osservatorio Insurance Regulation – Operational Transformation, è chiara: alla fine di questo mese l’Autorità emanerà il pacchetto complessivo dei test con le modifiche essenziali a Solvency II; le compagnie avranno un mese di tempo per verificare sul campo i nuovi principi e a giugno Eiopa invierà il testo definitivo alla Commissione Europea: nel giro di due anni la nuova Solvency II sarà operativa.
LA PROPORZIONALITÀ, QUESTA SCONOSCIUTA
“Non pensiamo di fare rivoluzioni”, ha chiarito in più occasioni Parente, ma certo Eiopa è decisa a intervenire lungo tre linee guida: stimolare gli investimenti a lungo termine; ricalibrare la proporzionalità; sviluppare la convergenza delle vigilanze nazionali al fine di omogeneizzare le prassi per il mercato unico. Nel primo punto, rientra anche, ma non solo, la vexata queastio della riforma del volatility adjustment, battaglia campale delle imprese italiane. Eiopa rivendica le innovazioni regolamentari fatte, ma ammette anche che non ci sono stati grandi miglioramenti. L’Autorità però vorrebbe concentrarsi di più sulla calibrazione dei singoli rischi nel portafoglio delle imprese.
Ancora davvero da applicare, ha ammesso Eiopa, è il principio di proporzionalità: “un po’ non sta funzionando, un po’ non è applicato, un po’ non è conosciuto”, ha detto schiettamente Parente.
IL PROBLEMA DELLA QUALITÀ DELLA VIGILANZA
Ma è sulla convergenza della vigilanza nazionale e continentale, e sull’omogeneità regolamentare per stimolare ancora di più il mercato unico assicurativo, che l’Eiopa spingerà di più. Il problema è la qualità della vigilanza che non è allo stesso livello tra un Paese e l’altro. Questa, semplificando, non è però una questione che riguarda solo i mercati interni dei singoli Paesi: dentro al mercato unico, gli operatori si muovono liberamente e propongono ai consumatori prodotti i cui contenuti e meccanismi Eiopa non è ancora in grado di controllare efficacemente.
“Siamo molto lontani – ha ammesso Parente – da un’uniformità, e questo è un problema”. La riforma delle Autorità europee, unite nell’Esa, ha conferito a Eiopa più poteri, ma l’ente guidato da Gabriel Bernardino continua a esercitare una vigilanza di secondo livello. “Occorre accettare – ha chiosato il direttore esecutivo di Eiopa – che la normazione sia fatta a livello più alto: è interesse di tutti che la supervisione sulle attività cross-border sia di assoluta qualità. Ci sono già stati dei casi in cui comportamenti scorretti da parte di operatori del mercato unico abbiano danneggiato concretamente player e clienti italiani”.
TRE COSE DA FARE PER MIGLIORARE SOLVENCY II
Tornando a Solvency II, tema che accende il mercato italiano, anche per Ivass, secondo quanto ha detto Alberto Corinti, membro del consiglio dell’Istituto e managing board member di Eiopa, il bilancio dei primi tre anni è positivo: la normativa ha allineato la compliance con la gestione del rischio. Ma le carenze ci sono, ed è inutile nasconderle. Anche in questo caso viaggiano in terzetto: la complessità del sistema; la calibrazione del capital charge; e la volatilità dei ratio patrimoniali nella valutazione dei solvency ratio.
Il primo è un nodo di difficile scioglimento e anzi, ha ritenuto Corinti, i ritocchi alla normativa non potranno che aumentare le complessità sia per i supervisori nazionali, che dovranno controllare, sia per gli operatori dei singoli mercati assicurativi.
VERSO UN MIGLIOR BILANCIAMENTO DEL RISCHIO
Sul secondo punto molto è stato fatto ma altrettanto c’è da fare, soprattutto in questo ambiente di tassi ormai negativi, da cui non si vede come uscire; mentre per la terza questione valgono tutte le considerazioni fatte sul volatility adjustment e sulle long-term guarantees. Le fluttuazioni di breve periodo (soprattutto dello spread) impattano in modo incongruo sui bilanci delle compagnie italiane: il Va non ha funzionato e le Ltg inserite in ultima istanza non sono ancora adeguate.
Ivass pensa che si arriverà certamente a un miglior bilanciamento, ma il rischio è che la misurazione delle passività illiquide sia troppo semplificata nel nuovo modello, e che possa quindi danneggiare il mercato italiano.
I TIMORI DELLE COMPAGNIE
Le compagnie, intanto, restano alla finestra, preoccupate di non poter davvero utilizzare la normativa per l’innovazione, magari con prodotti nuovi. Al momento, ha fatto notare Angelo Doni, direttore operativo e finanziario di Ania, il maggior impegno per il mercato è stato profuso per aggirare le legacy dei sistemi dei prodotti tradizionali: l’innovazione ha il fiato corto.
Per quanto riguarda Solvcency II, le compagnie temono la previsione terribilmente pessimistica fatta da S&P Global Ratings sulla base del draft di Eiopa, uscito a gennaio: le misure incluse nella proposta, secondo la società di rating, potrebbero costare alle compagnie dai 30 ai 70 punti di solvency ratio. In realtà, per le italiane l’impatto sarebbe molto minore, e per di più la ponderazione risk free dei titoli di Stato non è stata messa in discussione. Ma non è ancora chiaro cosa accadrà. La previsione di S&P, tra l’altro, è stata fortemente contestata dal regolatore perché quanto meno affrettata.
UNA NORMATIVA CHE SCORAGGIA I TALENTI
“Uno degli obiettivi di Solvency II – ha sottolineato Doni – non è stato centrato: la semplificazione. E questo aspetto non sarà migliorato dalla revisione del sistema”. In questi termini, l’attrattività del settore è scarsa. L’Ania ha ricordato che l’industria assicurativa mondiale (soprattutto europea) scoraggia l’ingresso di nuovi professionisti proprio a causa del peso della normativa.
Il tema della semplificazione è centrale per l’Ania perché con la complessità non solo non si rinnova il settore assicurativo ma anche l’economia reale soffre della mancanza di contributo che arriverebbe invece da investitori istituzionali con le mani più libere. L’esempio degli investimenti in infrastrutture è particolarmente calzante: l’Ania ci sta provando con il suo fondo, che vuole essere “un motore di sviluppo”.
EVITARE ATTIVITÀ ANALITICHE RIDONDANTI
Non c’è alternativa a un lavoro congiunto, industry e supervisori, in direzione della semplificazione del sistema, ha concordato Giovanni Siciliano, responsabile direzione regolamentazione e studi economici del gruppo Unipol, ricordando che la compagnia aveva fatto una proposta a Eiopa che, secondo l’impresa, semplificava il volatility adjustment senza stravolgere l’impostazione della stessa Autorità. Tuttavia nel documento licenziato a gennaio da Eiopa, di questa proposta non c’è traccia.
“Nonostante questo – ha detto Siciliano – il giudizio di Unipol su Solvency II è positivo, ma servono interventi adatti al contesto dei singoli Paesi”. Un volatility adjustment entity specific, che è una delle proposte che circolano tra gli operatori italiani, potrebbe non essere la soluzione ideale: una ponderazione analitica di attività e passività della singola impresa nel Va non sarebbe corretta, giacché questo tipo di analisi c’è già nel calcolo del Solvency capital requirement.
TOO BIG TO FAIL NON ESISTE
L’altro grande capitolo che sta molto a cuore a Unipol è la vigilanza macroprudenziale. La compagnia contesta l’equiparazione tra settore bancario e settore assicurativo per quanto riguarda il rischio sistemico. “Non esistono interconnessioni passive tra assicuratori – ha spiegato Siciliano –, non esiste un chiaro scenario too big to fail; il comparto non rischia crisi reputazionali e, infine, non possono avvenire, come per le banche, casi di corsa allo sportello da parte dei clienti, semplicemente perché il modello di business assicurativo non contempla quest’ipotesi”. Ecco perché, ha chiosato il responsabile di Unipol, pensare a ulteriori buffer patrimoniali per affrontare un rischio sistemico tutto da dimostrare è francamente eccessivo. Sull’argomento, Corinti ha dato in parte ragione a Unipol, ricordando che il principio del too big to fail è già stato modificato, ma che alcune idee dei regolatori sulla vigilanza macroprudenziale rischiano in effetti di “limitare interessi di business legittimi da parte dei player del mercato”.
QUANDO IL GIOCO SI FA DURO…
Tornando alle polizze, i vincoli regolamentari che impediscono alle imprese di attingere al Fondo utili per nuovi tipi di contratti vita, più attrattivi per i consumatori, sono l’ennesima prova dei tempi biblici che la normativa impone all’innovazione di prodotto. In questo senso gli input sono contraddittori. Se da un lato una recente raccomandazione dell’Fmi ha disincentivato le compagnie a vendere prodotti troppo garantiti, perché di difficile sostenibilità nell’attuale scenario dei rendimenti, l’Ivass e il regolatore europeo pensano invece che la mission del settore assicurativo sia la protezione dei consumatori in qualsiasi contesto: anzi, più i tempi si fanno difficili e più il comparto deve andare in soccorso delle persone.
…IL SETTORE “CONTINUA A GIOCARE”
In questo senso, Eiopa ha ricordato l’impegno sulle catastrofi naturali e sul cambiamento climatico, ma anche il nuovo prodotto pensionistico panaeuropeo, il Pepp, che in prospettiva potrà agevolare lo sviluppo “di un secondo pilastro previdenziale comune a tutti i sistemi e a tutti i cittadini della Unione”, ha precisato Parente. C’è una nuova strada all’orizzonte per il settore vita, con maggiore standardizzazione ma anche più condivisione dei rischi: però ci vuole tempo.
Il messaggio finale di Eiopa è che occorre accettare una normazione che, per tutelare la solidità del sistema, e quindi il supremo interesse dei clienti di quel sistema, si prenda i propri tempi: è un passaggio culturale che dovranno fare tutti.
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