I SEGNI DI UN CLIMA CHE CAMBIA
Dagli uragani sull'Atlantico sempre più distruttivi alle violenti pioggie che provocano danni significativi anche in Italia, ecco quali sono gli elementi che ci mostrano uno scenario nuovo, con cui popolazione e assicuratori devono imparare a confrontarsi
25/10/2017
Maria, Harvey, Irma. Nomi comuni scelti per familiarizzare con una delle manifestazioni più devastanti delle catastrofi naturali: gli uragani. In particolare, il recentissimo Irma è stato classificato come l’episodio più intenso da quando abbiamo informazioni su questi fenomeni, come spiega Marina Baldi, responsabile della sezione di Roma dell’Ibimet (l’istituto di biometereologia del Cnr), che negli anni scorsi ha anche coordinato un progetto di monitoraggio dei cambiamenti climatici in Italia per conto dell’Ania (vedi box ).
COME NASCE UN URAGANO
Tutto ha origine dall’energia che questi fenomeni catturano per formarsi: sull’Oceano Atlantico, alla latitudine dei Tropici, si trova una vasta zona di bassa pressione instabile dell’atmosfera che dà luogo alla formazione di una tempesta tropicale che può trasformarsi in uragano; analogamente, lo stesso tipo di fenomeno si verifica anche sull’Oceano Pacifico, con i tifoni che devastano vaste aree dell’est asiatico. “Il motore di questi eventi – precisa Marina Baldi – è una sorgente di energia rappresentata dall’elevata temperatura superficiale dell’acqua degli oceani. Mano a mano che queste tempeste si formano e raccolgono energia con l’evaporazione dell’acqua del mare, si trasformano, aumentando di intensità, fino a diventare uragani (tifoni, sul Pacifico) veri e propri”. Esiste, (anche se non è ancora del tutto chiara), una correlazione tra l’aumento della frequenza e della potenza di questi fenomeni con il cosiddetto El Niño. Questo, come precisa Marina Baldi, “è il nome dato al fenomeno del riscaldamento delle acque del Pacifico in area tropicale, che crea uno sbilanciamento di energia in atmosfera, con ripercussione sui fenomeni metereologici anche a grandi distanze: ci sono studi che dimostrano come El Niño possa influenzare il clima anche alle nostre latitudini”.
ACQUE PIÙ CALDE NEL MEDITERRANEO
Gli effetti dei cambiamenti climatici, infatti, si osservano anche sulle nostre coste. “La correlazione con il riscaldamento delle acque è più evidente soprattutto con gli episodi che si verificano tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno in aree costiere della Toscana e della Liguria, che sono sulla traiettoria delle perturbazioni di origine atlantica che entrano nel Mediterraneo”, spiega Baldi. È in questo quadro che si inserisce il recente episodio di Livorno. “Durante l’estate abbiamo avuto un anticiclone africano che ha portato grandi masse d’aria particolarmente calde dal continente africano verso l’Italia, interrotte poi dell’afflusso di masse d’aria più fredde e instabili provenienti dall’Atlantico, che si sono caricate di energia attraversando il Tirreno, lei cui acque mostravano temperature più elevate della media stagionale, producendo precipitazioni abbondanti lungo le coste italiane”. In questo caso la situazione a terra vedeva un terreno molto secco, con fiumi prosciugati a causa di un lungo periodo siccitoso.
PREVISIONE E PREVENZIONE
Cosa si può fare concretamente in termini di prevenzione? Secondo Baldi, occorre in primis “mettere in comune le informazioni e i dati metereologici che si hanno. Esistono osservatori storici che monitorano i fenomeni da tempo. Abbiamo una rete metereologica di rilevamento molto fitta che copre tutto il nostro territorio, fornendo la base di partenza per la conoscenza della situazione meteo e della sua evoluzione. Abbiamo poi informazioni dai radar metereologici e dai satelliti. Una volta chiara la situazione attuale si può passare a produrre dei quadri futuri, non solo a breve termine (4-5 giorni), ma anche ipotizzando come il clima potrà cambiare tra 5, 20 o 30 anni, per studiare eventuali misure di adattamento e mitigazione da adottare”. Di recente il ministero dell’Ambiente ha reso in pubblica consultazione il nuovo Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, a cui, in questa fase, è possibile contribuire inviando al ministero le proprie eventuali osservazioni. “Questo può essere uno strumento molto utile anche per le assicurazioni, da utilizzare, ad esempio, per le polizze agricole”. Se oltre al monitoraggio continuo del sistema climatico e alla precisione meteorologica, abbiamo anche informazioni sulla vulnerabilità del territorio, è possibile valutare i possibili rischi e generare le eventuali allerte. “La catena che va dal monitoraggio, alla previsione meteorologica, alla valutazione del rischio fino alla emissione della allerta esiste, ed è, oggi, ben rodata. L’aspetto sul quale occorre ancora lavorare – conclude Baldi – è quello di fare divulgazione su questi temi e diffondere la cultura del rischio nei cittadini e nelle istituzioni”.
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