LA CREAZIONE DI UN CIRCOLO VIRTUOSO
Guidato dalla normativa e dall'innovazione, il settore assicurativo può rinsaldare un rinnovato rapporto di fiducia con i consumatori. Attraverso l'aggiornamento professionale di qualità, il comparto dei rischi fa autoselezione, mentre nelle nuove competenze riscopre il valore dell'efficienza
08/07/2016
👤Autore:
Fabrizio Aurilia
Review numero: 35
Pagina: 42 - 47
☁Fonte immagine: Zerophoto – Fotolia.com
Per colmare il gap di educazione finanziaria tra i cittadini europei (ma soprattutto italiani), la formazione degli intermediari finanziari è un elemento essenziale nel pacchetto delle regole di comportamento di promotori, consulenti finanziari (la nuova categoria presa in considerazione solo recentemente), intermediari creditizi e intermediari assicurativi. Questi comparti, ormai, si stanno avvicinando dal punto di vista del framework delle regole. Tale meccanismo di sovrapposizione è utile proprio per limitare al massimo il disallineamento dell’aspettativa dei consumatori che si rivolgono al distributore per acquistare prodotti d’investimento, ovvero contratti in cui il confine tra finanza e assicurazione è sempre più labile.
Le norme comunitarie si stanno adattando a questo contesto. Per esempio, la direttiva europea sugli intermediari assicurativi approvata nel febbraio di quest’anno, la cosiddetta Idd, ha rafforzato i presidi relativi alla formazione. La norma, che dovrà essere implementata entro il 2018, prevede che i 28 Paesi aderenti all’Unione Europea (e i tre Paesi che partecipano alla Spazio economico europeo), si dovranno dotare, almeno nella parte minimale, di regole nazionali comuni, che prevedano prescrizioni di formazione e di aggiornamento professionale continuo. Per diventare intermediari assicurativi bisognerà quindi aver fruito di una formazione minima, mentre ogni anno occorrerà aver acquisito almeno 15 ore di aggiornamento professionale.
L’ITALIA TIRA IL GRUPPO
Tuttavia, Ivass, con la pubblicazione del Regolamento 6 del 2014, ha voluto che la normativa nazionale italiana fosse già oggi più stringente. Il regolatore di settore prescrive che l’aggiornamento professionale debba essere costituito da almeno 60 ore in un biennio, e con un minimo di 15 ore l’anno. Ma non basta. Perché l’Ivass è andato oltre, stabilendo quali sono le materie obbligatorie della prima formazione, quali le regole sulla tenuta dei corsi di aggiornamento, sulla tracciatura degli stessi e sui compiti di un intermediario: il tutto risulta piuttosto rigoroso.
“Questo regolamento – spiega Carlo Marietti Andreani, presidente di Aiba – è stato scritto in stretta collaborazione tra intermediari e Ivass. Tra la bozza in pubblica consultazione e il testo definitivo ci sono dei consistenti cambiamenti che sono stati valutati sulla base delle osservazioni che abbiamo mosso alla prima stesura. Alcune burocratizzazioni non ci parevano efficienti, e abbiamo chiesto più sostanza e meno forma. Il nostro ruolo deriva anche dal fatto che Aiba eroga formazione professionale da sempre e, grazie anche alla spinta regolamentare, la nostra vocazione si è approfondita”.
IN PRINCIPIO ERA IL CAOS
È merito dell’Ivass, quindi, se la formazione dell’intermediario è così dettagliata, poiché, a livello continentale, ancora oggi valgono le scarne indicazioni della direttiva Imd 1. All’epoca le istituzioni italiane intervennero stabilendo, attraverso il Codice delle assicurazioni e il Regolamento 5, che risale al 2006, obblighi minimi di aggiornamento professionale in 30 ore annuali e 60 ore di prima formazione. Tuttavia, a quel livello, le pratiche non erano regolamentate: chiunque, in linea di massima, poteva tenere un corso di formazione.
Le regole che Ivass ha introdotto nel 2014, in applicazione dal 2015, con il Regolamento 6, non sono legate a input comunitari, ma sono le evoluzioni delle scelte dell’allora governo Monti, che aveva invitato a un rafforzamento della formazione professionale degli intermediari assicurativi attraverso i dettami contenuti nel decreto legge sulla spending review del 2012.
“A nostro giudizio – precisa il numero uno di Aiba –, il Regolamento 6 è molto equilibrato, frutto di una meditazione davvero costruttiva. L’iniziativa ha portato a stabilire delle regole non solo quantitative ma anche qualitative più stringenti: ad esempio, la prima formazione non può essere svolta da un qualunque soggetto ma da una società certificata. Nonostante quest’obbligo non sia applicato alle associazioni di categoria che non hanno scopo di lucro, Aiba si è dotata di un processo di certificazione della formazione già dal 2014”.
DARE CONCRETEZZA ALL’OPERATIVITÀ QUOTIDIANA
L’intervento di Ivass ha dettato delle linee guida molto stringenti anche sull’erogazione della formazione attraverso webinar ed e-learning, con il risultato di aver regolamentato un mercato che tendeva a essere fin troppo popolato ed eterogeneo. Dal punto di vista della qualità e dell’effettiva erogazione a distanza, alcune attività di formazione erano molto criticabili.
Marietti Andreani ricorda che l’associazione “ha cercato di dare all’Ivass una serie di contributi e suggerimenti affinché questa fruizione fosse il più possibile qualitativamente elevata: da una parte la certificazione di qualità, dall’altra l’erogazione e la fruizione, poi i controlli e le tracciature, poi, danno una concretezza alla formazione che prima non esisteva”.
Le regole e i presidi hanno quindi dato maggiore solidità, così da non rendere il processo formativo meramente formale e privo di contenuto concreto.
Dello stesso parere è anche Luigi Viganotti, il presidente di Acb, l’altra associazione di broker presente sul mercato italiano. Secondo Viganotti, però, se da un lato il Regolamento 6 ha migliorato le procedure e gli schemi della formazione, dall’altro per i “broker di prima fascia, gli iscritti direttamente alla sezione B del Rui, servirebbe un maggior approfondimento sulle materie tecniche”: insomma meno teoria e soprattutto più pratica. “Si è dato molto spazio all’area giuridica – continua il presidente di Acb – trascurando un po’ la conoscenza del mercato e dell’operatività quotidiana. A nostro avviso, una parte delle ore di formazione deve essere dedicata a quello che poi diventerà il lavoro di tutti i giorni: se si viene assunti in una società di brokeraggio per seguire il ramo incendio, per esempio, è opportuno che l’iter formativo si concentri su quel settore, senza naturalmente dimenticare le materie di base”.
SPECIALIZZAZIONE E DIVERSIFICAZIONE
Nel processo che ha portato negli ultimi anni a quella che si può definire una mifidizzazione della regolamentazione assicurativa, cioè una sovrapposizione tra norme finanziarie e norme sul mercato dei rischi, anche la formazione deve fare un po’ di strada. Le spinte regolamentari da una parte, e la digitalizzazione dall’altra, guidano la professione dell’intermediario a un ruolo di maggiore specializzazione: da un lato si prefigura uno scenario di disintermediazione potenziale sui rischi più semplici (Rc auto su tutti) considerati una commodity; d’altro canto si assiste a una qualificazione professionale più selettiva anche nel settore del brokeraggio per consentire un’attività di consulenza maggiormente focalizzata su singoli settori merceologici.
“La gestione di clienti molto diversificati – interviene Marietti – richiede un’articolata organizzazione dell’attività del broker. Ci sono problematiche sottostanti che esigono una specializzazione più puntuale. Inoltre c’è una tendenza a valutare il ruolo del broker sotto il profilo dell’enterprise risk management: il lavoro del broker è fondamentale per il corretto processo di analisi dei rischi, per valutarne aspetti di prevenzione, ed eventualmente per il ricorso al mercato assicurativo. La formazione di Aiba si sta orientando verso nuove materie, oltre a quelle standard: per esempio, quella su cyber risk e proprietà dei dati è essenziale, sia per la sicurezza della propria azienda di brokeraggio, sia per le aziende clienti”.
MANAGER E DIRIGENTI, SI TORNA A SCUOLA
In parallelo a quella degli intermediari, procede anche la formazione delle persone che, a tutti i livelli, lavorano nelle compagnie. Sull’onda (anche in questo caso) della velocità del cambiamento del mercato e delle normative, soprattutto in direzione di una sempre maggiore efficienza e trasparenza, l’aggiornamento professionale si sta evolvendo proprio in questi anni.
Per quanto riguarda le figure apicali, i dirigenti di compagnia, ci sono due aspetti importanti da considerare: in primis il contratto nazionale, che prevede all’articolo 42 l’obbligatorietà della formazione, imponendo alle imprese di organizzare percorsi formativi per i manager; in secondo luogo, un aumento generale della professionalità e delle competenze di tutti i dipendenti è giudicata indispensabile.
“Il mercato della formazione – spiega Paolo Aicardi, presidente di Fidia, la Federazione italiana dei dirigenti delle imprese assicuratrici – è molto variegato. Certamente, negli ultimi anni, i grandi gruppi si stanno attrezzando meglio, curando le proprie scuole: l’ultima, in ordine di tempo, è quella che ha creato Unipol (Unipol Academy, ndr) e di cui ha parlato il presidente Carlo Cimbri, in occasione della presentazione del nuovo piano industriale, il mese scorso”.
TRA CONTROLLO DI GESTIONE E INNOVAZIONE
Anche le realtà piccole e medie mettono a disposizione risorse per la formazione, mentre, a livello generale, il mercato sta facendo selezione nell’offerta, garantendo così la fruizione di corsi di qualità: “restano, quindi, così come accade in altri settori, le società più serie e più professionali”, precisa Aicardi.
Fidia è parte costituente e tra i fondatori di Fondir, il fondo professionale per la formazione continuativa del personale dirigente che, insieme ad altre entità (datoriali e sindacali), finanzia l’aggiornamento dei dirigenti attraverso un contributo che le aziende versano all’Inps e che viene poi girato al fondo. Si tratta di un impegno istituzionale che riguarda le materie obbligatorie.
Per quanto riguarda, invece, le competenze più richieste in questo momento, secondo Aicardi esistono due filoni: “la formazione sulle attività di controllo, ovvero internal audit, risk management e compliance, e il perimetro che abbraccia l’innovazione: dal web, alla vendita a distanza, ai telematics. I grandi gruppi o le compagnie specializzate sono molto attive, soprattutto per quanto concerne le materie del secondo gruppo. La formazione che, a mio avviso, sta soffrendo un po’ in quest’ultimo periodo è quella più tradizionale, che riguarda lo sviluppo dei prodotti, i sinistri o la parte commerciale”. La grande attenzione riservata all’innovazione conferma che la formazione è essa stessa un modo per innovare, ma anche per produrre: è un fattore strategico di sviluppo dell’azienda.
UN NUOVO APPROCCIO AL LAVORO
Marino D’Angelo, segretario generale di Snfia, il sindacato delle alte professionalità assicurative, sottolinea come si tratti di “coniugare i due interessi: da una parte quelli della compagnia, che attraverso l’aggiornamento dei propri dipendenti si arricchisce di competenze nuove, e, dall’altra, del lavoratore che con nuovi skills può crescere professionalmente e quindi ambire a nuovi ruoli”.
I grandi piani d’investimento delle imprese nella digitalizzazione, però, rischiano di perdere il loro potenziale se non si riesce a trasmettere a tutti i dipendenti il valore dei nuovi sistemi. Questo è un rischio che D’Angelo vede molto concreto. “La digitalizzazione – precisa – sottende a una nuova organizzazione, una rinnovata filosofia d’impresa. Le compagnie si stanno impegnando poco, però, nell’agevolare l’adattamento dei processi ai nuovi strumenti operativi. Andrebbe quindi riorganizzata la formazione in base alle richieste presentate da un nuovo approccio al lavoro: anche in questo caso, ne va dell’aumento della produttività”.
IL PROBLEMA DELLA RIQUALIFICAZIONE
A questo discorso si intreccia il problema della riqualificazione professionale dei dipendenti e del middle management delle compagnie, guidato essenzialmente da tre fattori: invecchiamento, innovazione dei processi e richiesta di nuove professionalità dal mercato. Secondo Snfia, la riqualificazione professionale è il vero tema da affrontare nelle aziende, e non solo nel settore assicurativo. “Imparare la digitalizzazione” è solo uno degli impegni per evitare che non si passi semplicemente dall’archivio cartaceo all’archivio digitale.
La regolamentazione, inoltre, ha posto nuove sfide: “tutta l’attività di sorveglianza del rischio e il reporting all’Autorità previste dalla direttiva Solvency II – spiega D’Angelo – ha creato la domanda, necessaria, di figure professionali che probabilmente, sia all’interno delle stesse compagnie sia all’esterno, sono ancora merce rara. Noi riteniamo – conclude – che in questo senso la riqualificazione del personale sia altamente preferibile alla politica della rottamazione, che giudichiamo semplicemente suicida”.
DAGLI SLOGAN ALLA QUALITÀ
La formazione dei lavoratori del mondo assicurativo si accompagna alla crescita della consapevolezza dei consumatori (che però è ancora molto bassa). Secondo Paolo Martinello, avvocato e presidente di Altroconsumo, per i clienti assicurativi avere un interlocutore preparato è un’esigenza primaria, e la formazione deve tenere conto di questo. “Arriviamo da un periodo in cui il livello di preparazione sui prodotti era molto basso – sostiene Martinello –, sia dal lato del settore sia da quello del cliente, e probabilmente stiamo andando verso uno scenario diverso. Il rischio che vedo in questo contesto è che ci sia un eccesso di burocratizzazione. La macchina però si è messa in moto da un paio di anni e ora va verificata”. Tuttavia, è presto per dire che qualcosa sta cambiando, anche se il controllo esercitato dall’Ivass sulle imprese fa pensare che le cose stiano andando nella direzione giusta.
Tornando sul versante intermediazione, che inevitabilmente coinvolge di più i consumatori, l’ultimo regolamento Ivass dovrà trasformare la formazione in garanzia di qualità: “finora – continua Martinello – l’aggiornamento professionale è stato per alcuni un bello slogan che ha prodotto più business che qualità”.
UNA SANA CONCORRENZA TRA SAPERI
Dal punto di vista dei consumatori, prima ancora delle informazioni, è necessario fornire la consulenza. Occorre dare consigli al cliente, indirizzarlo nella scelta. Per fare questo “la formazione è necessaria ma non sufficiente”. Gli aspetti normativi e regolamentari, ancora una volta, stanno contando tantissimo.
La sensazione, confermata da Martinello, è che il rapporto tra Ivass e associazioni dei consumatori sia molto più costruttivo rispetto al passato, quando la Vigilanza era più spesso il bersaglio di svariate critiche. “C’è un sistema più efficiente. Il mercato assicurativo nel suo complesso è più trasparente, più competitivo e anche gestito da persone più preparate”, afferma il presidente di Altroconsumo.
La formazione, in definitiva, deve agevolare la creazione di un circolo virtuoso: sul lungo periodo chi è più formato sarà preferito dal cliente che, a sua volta, grazie agli interlocutori del settore assicurativo, sarà sempre più in grado di alimentare un engagement sano con gli attori del mercato.
AGENTI, PIANIFICATE IL VOSTRO PERCORSO DI STUDIQuest’anno sarà la cartina di tornasole del nuovo regolamento dell’Ivass, perché si concluderà il primo biennio dalla sua entrata in vigore. Secondo Tiziana Belotti, che per oltre due anni è stata responsabile della formazione di Sna a livello nazionale (e da 10 di quella della provincia di Milano), nonostante una generale presa di coscienza, alcuni agenti non hanno ancora compreso appieno i rischi che corrono sottovalutando l’aggiornamento professionale. “È il mercato – sottolinea – che seleziona l’intermediario più preparato. Il cliente s’informa sempre di più da solo, ma l’agente deve essere in grado di fare chiarezza sui contenuti di un prodotto e sulla portata delle garanzie. Oggi la maggior parte delle cause nei confronti degli intermediari derivano dalla mancata adeguatezza dei prodotti. Non basta conoscere le garanzie: occorre capire a fondo i reali bisogni dei clienti”.Ivass ha avuto il grande merito di aggiungere flessibilità al processo formativo, dando la possibilità di seguire corsi interamente on line. Tuttavia ci vuole volontà da parte dell’agente: “occorre pianificare lo studio nel corso degli anni”, precisa Belotti. “La formazione è un investimento sul business. È ciò che ti permette di essere unico per il tuo cliente. Oggi è essenziale riuscire a emergere con le proprie capacità: l’agente deve capire che la formazione va pianificata come si pianificherebbe un impegno economico”.Anche per quanto riguarda i prodotti, l’Ivass ha specificato che non basta una semplice formazione sui contenuti. Ci vuole un percorso che abbracci tutti gli aspetti assicurativi che possono essere influenzati da eventuali modifiche del contratto: “questo – conclude Belotti – va nella direzione di qualificare sempre di più l’intermediario dal punto di vista della consulenza”.
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