LA PARITA' SI PERDE PER STRADA
Nel settore assicurativo le donne, pur rappresentando il 48% della forza lavoro, incontrano le stesse difficoltà a emergere delle loro colleghe in altri comparti. Ma una diversa organizzazione occupazionale, il nuovo contratto collettivo nazionale e la digitalizzazione potrebbero far cambiare le cose
04/07/2017
Abbiamo già visto come nella distribuzione di genere non tutti i settori industriali sono uguali. Contano la composizione della pipeline, la formazione e anche il mercato di riferimento. I servizi finanziari, per le ragioni descritte, possono dare l’impressione di un’isola felice. E anche i numeri che riguardano nello specifico il settore assicurativo in Italia sembrano confermare quest’impressione: che però, purtroppo, è errata.
Secondo i dati dell’informativa sindacale di Ania, che riguarda l’anno 2015, il mercato assicurativo occupava oltre 44.280 addetti, di cui l’84% impiegati amministrativi (37.500), l’11% addetti alla produzione, il 5% lavoratori dei call center. Le donne rappresentavano il 48%, un dato in partenza abbastanza confortante che farebbe pensare a un settore in cui le politiche di parità di genere abbiano funzionato. Ma se andiamo a vedere i numeri che riguardano la presenza femminile nella fascia alta dell’inquadramento professionale le cose cambiano.
L’ASCENSORE PER SOLI UOMINI
Marino D’Angelo, dirigente nazionale First Cisl, ha spiegato a Insurance Review che “al livello più alto del contratto, il settimo, solo il 23% degli occupati è donna: ecco che quindi nella fascia alta la sostanziale parità scompare. Un altro dato interessante – continua – è che se si scende nella parte bassa del contratto, al quarto livello (i primi tre sostanzialmente non sono più utilizzati, ndr), il rapporto è ribaltato: le donne sono il 67% e gli uomini il 33%. Il che significa che nei percorsi di carriera gli uomini si attestano nella fascia più alta, mentre le donne in quella più bassa, in un rapporto due terzi-un terzo: c’è una penalizzazione evidente”.
Per valutare però se negli ultimi anni c’è stata una politica di genere efficace, occorre guardare al passato e fare un confronto. Anche in questo ci ha aiutato D’Angelo che, citando i dati forniti da Ania, ha rivelato che nel 2010 i funzionari impiegati erano circa 7.200 (oggi sono più di 8.500) con una distribuzione 78% uomini e 22% donne, il che dimostra un sostanziale immobilismo: “in cinque anni – sottolinea D’Angelo – l’ascensore sociale non ha funzionato per le donne”.
CONQUISTE DIFFICILI E GRANDI RESPONSABILITÀ
Tuttavia i dati, a volte, non riescono a fotografare con completezza la realtà dei fatti. Secondo Paolo Aicardi, presidente di Andia, l’Associazione nazionale dei dirigenti delle imprese assicuratrici, l’accelerazione verso una maggior disponibilità delle imprese alla leadership femminile c’è stata soprattutto negli ultimi 10 anni. “Errate ritrosie – dice a Insurance Review – sono sempre meno frequenti nel nominare una donna dirigente. Non ho mai avuto l’impressione, comunque, di discriminazioni nella valutazione della managerialità e della qualità: semmai il problema è culturale. Nella mia esperienza – continua –, che ho maturato anche nel settore bancario e nelle Poste, a parità di capacità tecniche, le donne sono state considerate più brave, ed è assolutamente consigliabile scegliere figure femminili in certe posizioni di leadership”. Insomma le donne manager, anche senza arrivare nelle prime linee, si sono conquistate posizioni di primo piano. “Questo grazie solo al loro merito”, precisa Aicardi, aggiungendo che “ci sono molte donne negli organi di controllo, nel settore legal delle aziende, molte altre dirigono uffici attuariali, altrettante ricoprono il ruolo di direttore assicurativo: tutte posizioni di grande responsabilità”.
GERARCHIA CONTRO OBIETTIVI
Dando per scontata la questione culturale, nel settore assicurativo i problemi principali riguardano l’organizzazione del lavoro. La crescita professionale, come in altri settori, resta potenzialmente discriminante se non tiene presente che le necessità femminili sono quelle (anche) di un più flessibile rapporto tra lavoro e tempo libero. Ma non è solo questo: bisogna anche considerare le modalità con cui le imprese premiano professionalmente i dipendenti. “Il concetto di merito – spiega D’Angelo – è figlio di una cultura organizzativa gerarchica legata più alla conduzione delle persone che al raggiungimento di un obiettivo di lavoro. Di solito le promozioni dipendono da un criterio gerarchico: questo costituisce un altro grave vulnus, perché le donne rischiano di essere meno presenti. L’uomo, per conformazione della società attuale, è ancora avvantaggiato”.
IL NUOVO (E PROMETTENTE) CONTRATTO
Occorre, quindi, agire su un modello organizzativo inclusivo. In questo, la digitalizzazione può aiutare perché agevola il superamento del concetto di produttività basata su un’organizzazione spazio temporale del lavoro e, contemporaneamente, ne rende possibile un’altra basata sugli obiettivi.
Un segnale positivo in questo senso è rappresentato dal nuovo contratto che il settore assicurativo ha siglato recentemente, e che è stato approvato dai lavoratori. “Soprattutto per i dipendenti di fascia alta – ricorda D’Angelo – il nuovo accordo presenta due cose importanti: abbatte il modello gerarchico perché annulla la vecchia divisione in tre gradi e introduce un modello basato su due livelli che inquadrano la professionalità e rende fungibile la mansione. Infine – conclude –, con l’equiparazione tra funzioni di staff e funzioni di linea, il nuovo contratto riconosce la completa parità tra coloro che dirigono il personale, e coloro che lavorano su progetti e obiettivi”.
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