GLI ITALIANI TRA RISPARMIO E INVESTIMENTI

Migliorano le prospettive del mercato del lavoro e il Pil, mentre il debito pubblico torna sotto controllo: ma i risparmiatori, in balia di messaggi contradditori, non si fidano e investono poco. Tra rilancio e nuove crisi crescono il risparmio gestito e i nuovi strumenti finanziari e assicurativi, spinti da una consulenza di qualità

GLI ITALIANI TRA RISPARMIO E INVESTIMENTI
👤Autore: Fabrizio Aurilia Review numero: 44 Pagina: 34
Non esistono scorciatoie: niente bonus e agevolazioni, difficile pensare a politiche fiscali più lasche a livello nazionale. Il sentiero della crescita è stretto per l’Italia, e l’epoca della stagnazione sarà ancora lunga. Anche perché lo sviluppo è un treno lento, che viaggia su binari fragili. Si alternano segnali contrastanti, tra ottimismo, realismo e pessimismo. Un contesto in cui rischio, opportunità e paura si mischiano e talvolta si confondono: bisogna avere paura del protezionismo? Chi deve temerlo di più, i risparmiatori o le aziende? Quanto pesano il rischio geopolitico e le tensioni internazionali?
Sullo sfondo di mercati caratterizzati dalla volatilità, dall’incertezza, dai tassi d’interesse sotto lo zero, dalle promesse mantenute, da mantenere (o da non mantenere) di Donald Trump e di un’Europa sempre più debole e che ha sbagliato praticamente tutte le ricette per la crescita, il risparmio gestito, quello assicurato, l’investimento a lungo termine, sembrano ancora incontrare la fiducia degli italiani. 


QUALCOSA NON È SCATTATO

Il risparmio gestito, nel 2016, secondo i dati di Assogestioni, valeva il 124% del Pil per un totale di 1.943 miliardi di euro, ovvero il 50% delle ricchezza finanziaria detenuta dalle famiglie. Nell’anno passato, la raccolta è stata ancora positiva per 56 miliardi, soprattutto spinta dai fondi obbligazionari e da quelli flessibili, mentre gli azionari sono finiti ancora in rosso: un trend, questo, che accomuna quasi tutti i mercati internazionali, segno che mai come oggi (proprio ora che si discute di crisi della globalizzazione) siamo di fronte a un comune mercato unico. Le strade della crescita s’intersecano, ma non sempre nei modi migliori. 
Eppure lo sviluppo c’è: lo si può leggere nei numeri, anche nell’epoca della post verità. Tuttavia non è percepito, a più livelli, come qualcosa di presente e che tocca le vite delle singole persone: è qualcosa che può svanire da un momento all’altro, qualcosa di fragile. Non c’è stato un evento constatabile da tutti che ha fatto scattare la cosiddetta ripresa: non c’è stato un momento esatto da cui si è usciti definitivamente dalla crisi globale, un trigger. E per questo la crescita è qualcosa che va inseguita, con la sensazione che dipenda poco dagli stakeholder: dalle imprese e dai risparmiatori.





INSEGUIRE LA TRANSIZIONE

Inseguendo la crescita è stato proprio il fil rouge del Salone del risparmio, l’ottava edizione che si è svolta a Milano lo scorso mese: una tre giorni che ha riunito tanti stakeholder del settore dell’asset management, economisti e importanti esponenti delle istituzioni, tra cui il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che, proprio in quell’occasione, alla vigilia dell’approvazione in consiglio dei ministri del Def, aveva sottolineato come “734 mila occupati in più rispetto al punto più basso del settembre 2013” rappresentavano il segnale più significativo dell’uscita dalla recessione. 

“Stiamo inseguendo la crescita – aveva detto Padoan – ma siamo anche in una fase di transizione nella quale le riforme e la politica di bilancio stanno portando frutti permanenti”. Tra il 2007 e il 2014 il rapporto debito/Pil è aumentato oltre 32 punti percentuali, mentre negli ultimi due anni il dato si è stabilizzato al 132,5% con la prospettiva di calare al 131% nel 2018, secondo l’ultima revisione del Def. Lo stesso Documento di economia e finanza ritocca la stima per la crescita del Pil di quest’anno dello 0,1%, a 1,1%, in contrasto però con le previsioni di Ocse (1%), Commissione Europea (0,9%) e Fmi (0,7%). “Il sentiero è stretto”, ripete sempre Padoan, per dire che l’Italia è come una vettura che si trova all’inseguimento della crescita su una strada che costeggia un burrone. Questo baratro si chiama debito pubblico: occorre controllarlo e, auspicabilmente, ridurlo. Ecco perché non ci sono scorciatoie.     





DOVE FINISCE LA STAGNAZIONE E INIZIA LA RIPRESA 

I dati rispecchiano la realtà; certamente non una situazione semplice, né di facile interpretazione. Ma i numeri sanciscono anche la presenza di una ripresa. Eppure, come si diceva, la percezione di come stanno andando le cose è molto diversa. Una ricerca sviluppata da Demia mostra che per più della metà dei risparmiatori italiani (55%), cioè clienti di fondi d’investimento di qualsiasi tipo, la ripresa non inizierà almeno per i prossimi due anni. Il 20% pensa che stia per iniziare, il 14% che inizierà l’anno prossimo, mentre solo per l’11% degli intervistati questa è già iniziata. Secondo la maggioranza del campione la fase che stiamo vivendo in Italia è di stagnazione, con alti livelli di disoccupazione: il che è comunque in parte vero, perché la disoccupazione è sopra l’11%, un tasso ancora troppo elevato soprattutto in una dinamica di così lungo periodo. I risparmiatori italiani riconoscerebbero la ripresa solo di fronte a un trend positivo stabile dell’economia, che portasse a un periodo di crescita con uno sviluppo del mercato del lavoro più robusto, nuove politiche di welfare pubblico e una generale trasformazione tecnologica della società. Ecco, è come se in questi anni i cicli economici si fossero appiattiti, per cui è più difficile riconoscerne i movimenti.       
La colpa, secondo i risparmiatori italiani, è anche della globalizzazione (lo sostiene il 63% degli intervistati) che ha portato instabilità, scarsa affidabilità sui mercati finanziari e sui prodotti da acquistare: si vive alla giornata e risparmiare, per il 64%, è un sacrificio. 


RISPARMIARE NON È INVESTIRE

Eppure gli italiani continuano ad accantonare liquidità in attesa che accada qualcosa, che qualcuno (il Governo, per il 53% di loro, lo Stato in generale, per il 44%) faccia accadere qualcosa. Secondo un altro studio, questa volta realizzato da Gfk su 21,1 milioni di famiglie italiane, solo 5,2 milioni di queste hanno pensato a investimenti per i propri risparmi. Dei restanti 15,9 milioni, ben 4,6 milioni (il 22% del totale) hanno risparmi tra i 10mila e i 100mila euro. 
Gli italiani sono risparmiatori, quindi, ma non investitori. E in una fase in cui la crescita dipende dal contributo di tutti, una migliore asset allocation libererebbe risorse inedite: occorre ridurre la quota di liquidità ferma nei conti corrente a favore di prodotti finanziari con programmazione a lungo termine, come la previdenza (o i Pir).
Lo sviluppo non va più atteso né delegato a qualcun altro, che magari deve guidare la carovana-Italia lungo sentieri stretti: occorre che tutti, grazie anche alla consulenza degli esperti e a un’educazione finanziaria più sviluppata, mettano un po’ di carburante per inseguire questa crescita.

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