QUANDO IL BENEFIT E' FLESSIBILE
Le leve fiscali e contributive stanno incrementando il mercato di domanda e offerta del welfare aziendale. Secondo Aon, per l'azienda è l'occasione anche per attrarre nuovi talenti. Per il dipendente, un'opportunità per bilanciare attività lavorativa, familiare e personale
04/11/2015
Dalla colf alla palestra, dai corsi di lingua alle vacanze. Sono i flexible benefits, il mix di beni e servizi offerti dalle aziende alle proprie risorse umane: una soluzione utile sia per il lavoratore, che beneficia di un aumento del potere d’acquisto del salario, attraverso attività e possibilità che corrispondono alle proprie esigenze, individuali e familiari, sia per l’impresa, che usufruisce di un vantaggio fiscale e di una fidelizzazione del capitale umano.
I flexible benefits, ovvero l’offerta di beni e servizi di natura non monetaria che l’azienda corrisponde ai propri dipendenti in aggiunta alla retribuzione, rientrano nel concetto di welfare aziendale che affonda le proprie radici all’inizio del secolo scorso, quando Adriano Olivetti si dimostrò attento al benessere degli operai della fabbrica di Ivrea.
Quattro le principali leve che hanno permesso lo sviluppo del welfare aziendale anche nel nostro Paese: una tassazione favorevole che defiscalizza completamente alcune prestazioni; una forte domanda di miglioramento dell’equilibrio temporale tra attività lavorativa e vita familiare (work-life balance); una costante riduzione del welfare pubblico; la crisi economica che, riducendo il potere di acquisto dei salari, unitamente all’elevata tassazione, spinge verso soluzioni di recupero di efficienza fiscale.
Presente nella gestione dei benefit da oltre 30 anni, con circa 200 milioni di raccolta di contributi, Aon continua a rivolgere la sua attenzione ai flexible benefits. “Grazie alle leve fiscali e contributive – conferma Roberto Lo Schiavo, vice direttore generale di Aon Hewitt Risk & Consulting – negli ultimi anni stanno prendendo sempre più quota i benefit flessibili che consentono al dipendente di scegliere, attraverso tool informatici, le attività che meglio corrispondono ai diversi cicli di vita professionale: assistenza sanitaria, previdenza, palestra, attività ricreative, vacanze e altro ancora.
La crisi economica – continua – ha favorito l’utilizzo di questo strumento perché consente di avere soldi in più, non tassati, sotto forma di servizio, il cui valore percepito è anche maggiore rispetto al denaro, grazie a economie di scala che un grande gruppo di acquisto può ottenere sul mercato”.
NON PRODOTTI, MA SERVIZI
Il concetto di welfare aziendale sta subendo un’evoluzione verso un modello più anglosassone. “Quando parliamo di benefit – sottolinea Luca Morandi, employee benefits specialty director di Aon – intendiamo soluzioni che le aziende scelgono di mettere nella politica retributiva, al posto del salario, incentivate dalla leva contributiva e fiscale. Ma, se prima l’employee benefits riguardava solo la garanzia infortuni o il rimborso delle spese mediche, ora l’evoluzione va verso l’erogazione, non più di semplici prodotti, ma di servizi da scegliere, per massimizzare la percezione positiva del dipendente. Questo sta portando il mercato italiano a crescere in modo significativo, pur avendo ancora una quota inferiore rispetto ad altri benefit assicurativi”.
VERSO L’EUROPA
Anche in questo settore, l’Italia paga un ritardo culturale e legislativo, rispetto all’Europa e soprattutto al mondo anglosassone. “I primi a muoversi – racconta Andrea Canonico, flexible benefits unit director di Aon – sono stati i bancari e le multinazionali di matrice anglosassone, spinti da una normativa defiscalizzante.
In Italia, invece, scontiamo dieci anni di arretratezza e, nel nostro ordinamento, vi sono solo due articoli che regolano la questione, limitandosi però a delineare gli ambiti di intervento del welfare aziendale, senza definirne i perimetri. Ed è per ovviare a questi limiti che Aon offre la propria consulenza, supportando i propri clienti nel proporre le soluzioni migliori, studiate su misura.
ATTRARRE NUOVI TALENTI
Oggi – continua Andrea Canonico – le aziende si stanno avvicinando molto ai flexible benefits anche perché consentono, non solo di aumentare la capacità di acquisto dei dipendenti, ma soprattutto di trattenere e attrarre nuovi talenti. Una tematica, questa, che va a inserirsi come parte integrante dell’orientamento che è proprio di quelle aziende che vogliono distinguersi per creatività, brand value, innovazione e attenzione al dipendente. È assodato che migliorare la qualità della vita e la gratificazione personale dei lavoratori significa rendere l’ambiente di lavoro un luogo migliore e di maggior appeal per i giovani talenti”.
SERVE UN RIORDINO DELLA NORMATIVA
In futuro, si prevede uno sviluppo più ampio dei benefit flessibili rispetto a quelli tradizionali, anche se molto dipenderà dal legislatore “È auspicabile – conclude Lo Schiavo – un riordino della normativa fiscale e contributiva che potrebbe uniformare gli attuali tetti di deducibilità assistenziali, previdenziali e il fringe benefits di 258,64 euro, riservato alle liberalità aziendali: avere un tetto unico consentirebbe lo sviluppo di un welfare più integrato con evidente incremento dei flexible benefits, considerando anche, nel medio periodo, il recupero per lo Stato derivante dalle attività spesso sommerse di benefit quali, ad esempio, baby sitter e badanti.
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