L’IMPORTANZA DEL BUSINESS CONTINUITY PLAN

Grazie ai piani di continuità operativa è possibile organizzarsi e restare pienamente attivi anche in questa difficile situazione. Ecco come si sono riorganizzati i Lloyd’s, nel racconto in prima persona di Vittorio Scala, country manager per l’Italia, intervenuto nel corso di un webinar online organizzato da JK Underwriting

L’IMPORTANZA DEL BUSINESS CONTINUITY PLAN
Il 23 febbraio 2020 è una data che ha segnato un punto di svolta nel nostro Paese. Una situazione in cui, lo abbiamo visto tutti, ci sono pochissime certezze e una grandissima, enorme, voglia di risposte. Una situazione disruptive che chiama a combattere in prima linea anche coloro che operano nella gestione dei rischi. Come si può gestire un’emergenza di questa portata, e quali sono le implicazioni legali dell’attuale situazione di isolamento per coloro che hanno un’azienda? Se ne è parlato nel corso di un webinar online, organizzato da JK Underwriting, a cui hanno partecipato il chairman della società, Luca Davoli, Vittorio Scala country manager per l’Italia dei Lloyd’s e l’avvocato Antonio Luigi Vicoli, dello studio legale Baker McKenzie.

ARRIVARE PREPARATI ALL’EMERGENZA

Vittorio Scala ha ripercorso le ore convulse di quella domenica di febbraio. Momenti in cui andavano prese decisioni importanti, rapide, e capaci di fare chiarezza tra i dipendenti. “Il 23 febbraio, quando è iniziata la crisi – ha raccontato – ho dovuto in primis stabilire i tre obiettivi prioritari: la salvaguardia della salute dei nostri collaboratori, il rispetto delle ordinanze imposte dall’autorità, e il mantenimento della nostra operatività”. Una volta fissati questi tre paletti all’interno dell’organizzazione, è stato attivato immediatamente il business continuity plan. “La prima cosa da fare – ha detto – era quella di comunicare immediatamente ai miei colleghi e al mio staff cosa avremmo fatto e cosa sarebbe successo l’indomani mattina, lunedì”. L’attivazione del business continuity plan è stata annunciata anche agli headquarter di Londra e Bruxelles. “In questa primissima fase è stato importantissimo – ha sottolineato Scala – comunicare con tutti in modo veloce. Abbiamo inoltre ricevuto il supporto dei nostri colleghi di Londra, i quali avevano già dovuto gestire l’emergenza coronavirus per le sedi Lloyd’s in Cina”. Il primo aspetto del business continuity plan a essere attivato è stato lo smart working, Anche in questo caso è stata utile l’esperienza pregressa, perché già da un anno e mezzo i Lloyd’s avevano avviato forme di lavoro agile. “Era una pratica rodata che nel momento dell’emergenza ci è servita moltissimo”.


NON SOLO UN OBBLIGO DI COMPLIANCE

“Lo dico ai miei colleghi: il business continuity plan non è una banalità, non è un obbligo burocratico che qualcuno ci impone”, ha ammonito Scala. “Spesso – ha aggiunto – non gli viene dato il giusto valore. Ma sono situazioni come questa come dimostrano come esso sia fondamentale”. Soprattutto, il business continuity plan deve essere aggiornato, perché le dinamiche di business cambiano in continuazione. Da questo punto di vista Lloyd’s di Milano sono arrivati preparati a questa emergenza perché il piano di continuità operativa era stato appena aggiornato, nel novembre 2019. 

COME COSTRUIRE UN PIANO EFFICACE

Scala ha quindi sottolineato quelli che a suo parere sono i tre aspetti più importanti di un buon business continuity plan. “Il primo punto importante riguarda la condivisione del piano. Non deve essere un documento che giace nel cassetto di un manager o di un responsabile IT: ciascun collega deve sapere cosa fare in caso di emergenza”. In secondo luogo occorre definire bene la catena decisionale, senza lasciare ambiguità. “È molto importante – ha detto – evitare ogni fraintendimento. Deve essere chiarito immediatamente da chi devono partire le comunicazioni: in questa crisi stiamo osservando quanto in fretta cambiano le cose, pertanto le comunicazioni impartite devono essere ufficiali, non informali”. Infine, il terzo aspetto riguarda l’aggiornamento continuo del piano, cosa non scontata visto che, a differenza di quanto fatto dai Lloyd’s, molte organizzazioni non aggiornano il piano da anni. 

LE RICADUTE NORMATIVE E I RISVOLTI SULLA PRIVACY

L’analisi dei primi impatti normativi di questa emergenza è stata affidata all’intervento dell’avvocato Antonio Luigi Vicoli che si è concentrato su uno degli ambiti più colpiti da questa crisi: le risorse umane. “Le aziende – ha spiegato – si sono trovate da un giorno all’altro a far fronte a una situazione inedita. Appena decretata l’emergenza, il 23 febbraio, c’erano pochi presupposti giuridici su cui lavorare”. Il governo ha introdotto in maniera progressiva direttive sempre più stringenti anche per le attività che producono beni materiali. Il datore di lavoro deve far rispettare le regole, ad esempio far mantenere la distanza di sicurezza di un metro e contingentare gli accessi, ed evitare quanto più possibile il contatto. Ma se da un lato l’evidente necessità principale è quella di proteggere l’incolumità dei lavoratori, dall’altro ci sono le implicazioni sulla privacy. Cosa accade, ad esempio, se un datore di lavoro chiede di poter misurare la febbre al dipendente? “Qui siamo in una situazione di evoluzione continua – ha ammesso Vicoli – anche alla luce delle forti restrizioni. Noi non possiamo fare controlli, non possiamo misurare la temperatura, per motivi di tutela della privacy. Quello che però possiamo fare – ha detto – è coinvolgere il medico della società per concordare con lui una registrazione volontaria di sottoporsi a un check veloce con il termometro”. Detto questo, ha sottolineato l’avvocato, “chiunque presenti sintomi anche banali come un raffreddore deve stare a casa, e il datore di lavoro deve informare i dipendenti nel caso in cui il lavoratore risulti contagiato”, perché anche una banale tosse è diventa una questione di ordine pubblico. 

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