LA CASSAZIONE GENERA IL "DIRITTO A NON NASCERE SE NON SANO"
L’analisi di una legittimazione ad agire, con confini incerti tra filosofia ed etica, nella delicata materia del “danno da nascita indesiderata”. Ipotesi che ricorre quando la venuta al mondo di un figlio avviene contro la volontà del genitore
28/02/2013
Il panorama, spesso variegato, del nostro sistema di risarcimento del danno alla persona, alimentato per la gran parte dalla codificazione giurisprudenziale degli istituti risarcitori degni di tutela nell’ordinamento, si è di recente arricchito di una decisione della Suprema Corte di Cassazione (datata 02.10.2012 n. 16754 - Relatore ed estensore Dott. Travaglino, Presidente Dott. Amatucci) che va segnalata per la assoluta primogenitura del diritto riconosciuto e, a parer nostro, per la “stravaganza” dell’impianto giuridico e motivo che ha portato a detta novità.
La materia è quella, delicatissima e dai confini spesso incerti tra filosofia ed etica, della legittimazione ad agire nella delicata materia del c.d. “danno da nascita indesiderata”, ipotesi che ricorre quando la venuta al mondo di un figlio avviene contro la volontà del genitore (per esempio nel caso di un intervento di “vasectomia” malriuscito), ovvero oltre la volontà del genitore (come nel caso di specie, quando il medico ha errato nella informazione alla gestante circa le malformazioni del feto portato in grembo e la stessa non sia stata quindi posta nella condizione di scegliere se interrompere la gravidanza).
OMESSA DIAGNOSI DI MALFORMAZIONE NELLA FASE PRENATALE
La vicenda che narriamo è legata all’azione promossa dai genitori di una bambina, nata affetta da sindrome di Down, contro il medico ginecologo, al quale veniva imputata l’omessa adozione di strumenti idonei a diagnosticare nella fase prenatale la malformazione e quindi mettere appunto la madre nella condizione di coscientemente decidere in ordine alla possibile interruzione di gravidanza ed optare in ogni caso per la scelta più aderente alla realtà della sua gestazione.
Al medico ginecologo veniva infatti imputata la mancata prescrizione di esami più sicuri sotto l’aspetto della certezza diagnostica, rispetto a quello di fatto consigliato alla cliente gestante (“tritest” notoriamente avente alta percentuale di cd “falsi negativi”), soluzione per altro protocollarmene aderente alla giovane età della puerpera ed all’alto rischio che esami più sicuri hanno di perdita del feto.
Ma l’elemento centrale della vicenda attiene alla legittimazione ad agire in siffatti casi ed alla natura dei danni che si possano pretendere dall’autore della omissione colpevole.
RESPONSABILITA' DEL MEDICO E DIRITTI DEI GENITORI
Nella sentenza citata viene innanzitutto riaffermato il consolidato principio in ordine alla natura della responsabilità del medico verso la gestante, predicabile non soltanto per la circostanza dell’omessa diagnosi in se considerata, ma principalmente per la violazione del diritto di autodeterminazione consapevole della donna “nella prospettiva dell’insorgere, sul piano della causalità ipotetica, di una malattia fisica o psichica”.
Conformemente ad arresti giurisprudenziali della stessa Corte, viene riconosciuto alla madre ed al padre la lesione di un personalissimo diritto alla scelta consapevole in ordine alla procreazione ed alla prosecuzione della gravidanza. Al contrario, quello che esce dal solco delle decisioni precedenti della stessa Corte è il riconoscimento di una legittimazione propria e personale, per un danno ritenuto degno di tutela nell’ordinamento, a favore dei fratelli del bambino nato malformato, che si concretizzerebbe nella “inevitabile, minor disponibilità dei genitori nei loro confronti, in ragione del maggior tempo necessariamente dedicato al figlio affetto da handicap, nonché nella diminuita possibilità di godere di un rapporto parentale con i genitori stessi costantemente caratterizzato da serenità e distensione; le quali appaiono invece non sempre compatibili con lo stato d’animo che ne informerà il quotidiano per la condizione del figlio meno fortunato”.
I DIRITTI DEL NASCITURO
Dove la decisione desta le maggiori perplessità è nel riconoscimento della legittimazione dello stesso bambino nato malformato a chiedere il risarcimento del danno per il fatto contestato al ginecologo e ciò ci colpisce, non tanto sotto il profilo della astratta titolarità del nascituro – in stato fetale al momento della azione od omissione colpevole del medico – a chiedere il ristoro del danno, quanto sotto l’aspetto della natura giuridica del danno stesso.
Al minore malformato in esito alla mancata diagnosi prenatale (che, va rammentato, avrebbe a detta della stessa madre comportato l’interruzione della gravidanza) infatti, non è riconosciuto quale danno la malformazione in se considerata, bensì “lo stato funzionale di infermità, la condizione evolutiva della vita handicappata intese come proiezione dinamica dell’esistenza che non è semplice somma algebrica della vita e dell’handicap, ma sintesi di vita ed handicap, sintesi generatrice di una vita handicappata”.
Insomma, l’interesse giuridicamente protetto “è quello che gli consente di alleviare sul piano risarcitorio, la propria conduzione di vita”. Ed ancora: “l’evento di danno è costituito pertanto, nella specie, dalla individuazione di sintesi della ‘nascita malformata’, intesa come condizione dinamica dell’esistenza riferita ad un soggetto di diritto attualmente esistente”.
PERPLESSITA' SUL PIANO LOGICO E GIURIDICO
Ma la motivazione sul punto, a nostro giudizio, non convince proprio nel contesto che si era proposta (evidentemente quello di innovare il sistema preesistente), sia sul piano logico che giuridico.
Sul piano logico perché – ancorché esclusa come radice di ragionamento – la sentenza porta a sostenere inevitabilmente un “diritto a non nascere se non sano”, atteso che proprio la malformazione non evitata è radice giuridica del danno riconosciuto, mentre non si evita l’incongruenza nel ragionamento laddove si consideri che la scelta consapevole che la madre avrebbe adottato, se ben informata, avrebbe portato a privare l’odierno titolare del diritto riconosciuto della soggettività non in un contesto giuridico, bensì semplicemente vitale.
Ma è soprattutto sul piano delle regole giuridiche che la decisione non ci convince, laddove ritiene rispettato il principio del nesso di causa tra omissione e danno risarcibile e persino sul piano della ingiustizia del danno ideato.
Sotto il primo profilo viene meno, nella motivazione della Corte, il principio della causalità diretta ed immediata tra l’evento di danno e la condotta colpevole, secondo l’inemendabile accezione contenuta nell’art. 1223 c.c.
L’omissione colpevole del medico, infatti, agisce – sia sul piano fattuale sia su quello della prevedibilità causale della propria condotta – esclusivamente, come è sempre stato riconosciuto, sulla libera scelta discrezionale della gestante titolare in via assoluta del diritto normativamente assistito, non oltre ad esso, non potendo incidere direttamente sulla malformazione di origine genetica.
Né il danno come qualificato e definito innovativamente (soggezione allo stato funzionale di infermità) pare assolvere al requisito dell’ingiustizia del danno e della rilevanza primaria dell’interesse che si assume leso.
La nostra opinione, dunque, è che la ampia e stimolante motivazione della sentenza in commento ceda di fronte alla freddezza degli inderogabili principi del diritto e delle poste di danno risarcibili secondo i principi generali del nostro ordinamento, dai quali al fine la sentenza n. 16754 ci pare si sia inevitabilmente affrancata.
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