GLI ITALIANI E IL RISCHIO
Secondo una ricerca Eumetra-Anra, cresce la sensibilità degli imprenditori, anche a seguito del recente terremoto nel Centro Italia, mentre resta diffuso lo scetticismo tra la popolazione sul ricorso alle assicurazioni
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10/11/2016
Solo il 52% di chi vive in Italia ritiene importante ricorrere a polizze assicurative per proteggersi dai rischi. Cresce, invece, la consapevolezza a livello delle aziende: due imprese su tre integrano la figura del risk manager, e il 31% afferma di fare un uso massiccio di assicurazioni, nell’ottica di una stabilizzazione dei risultati attesi. Questi i risultati dell’indagine, La gestione del rischio nella percezione delle medie aziende e della popolazione, condotta da Eumetra Monterosa e promossa da Anra e Strategica, in occasione del convegno annuale dell’associazione nazionale dei risk manager.
La ricerca si è concentrata su due filoni di indagine: la percezione del rischio nella popolazione, e l’atteggiamento delle medie aziende verso il risk management.
Sul primo fronte, emerge che, per sei persone su dieci (59%) è generalmente importante prestare attenzione ai rischi, mentre per il 41% prevale un atteggiamento più fatalista. Il campione, poi, si spacca in due sul ricorso alle polizze in ottica di prevenzione del rischio: per il 48% “è inutile spendere soldi in assicurazioni, tanto quello che deve capitare capita”.
Le due minacce considerate più probabili, per sè e la propria famiglia, sono malattia (abbastanza o molto probabile per l’83%) e perdita del potere d’acquisto, con conseguente riduzione del tenore di vita (73%). L’incendio (43%) e la responsabilità civile (49%) sono invece in coda alle preoccupazioni, così come è ancora bassa la percezione dei nuovi rischi, quali essere vittima del terrorismo (poco o per nulla probabile per il 53%) o l’utilizzo dell’identità digitale (per il 61%).
“L’atteggiamento fatalista degli italiani verso la dimensione del rischio – commenta Renato Mannheimer (nella foto), partner e membro dell’advisory board di Eumetra Monterosa – è specchio dell’opacità del settore. Si conferma inoltre controverso il rapporto con intermediari e assicuratori, così come è forte la ritrosia a riconoscere l’importanza di ricorrere alle assicurazioni per prevenire i rischi”.
AZIENDE PIU' SENSIBILI
Sul fronte aziendale, invece, la gran parte degli intervistati ha pensato o pensa di instaurare politiche di risk management (84%), e in un terzo delle imprese si osserva un atteggiamento di timore verso l’aumento delle minacce, dopo la crisi del 2008.
Tra le aziende che hanno avviato politiche di gestione dei rischi, i primi tre pericoli per cui si ipotizza di instaurare una politica di gestione organizzata e consapevole sono: danni materiali diretti ai beni, con il 51% (che è diventato 76% dopo una seconda rivelazione, effettuata all’indomani del terremoto del centro Italia); responsabilità civile, con il 43% (che è diventato 41% a fine settembre); continuità del business, con il 43% (che è diventato 60% nella seconda rilevazione); solo l’8% vede rischi nell’utilizzo di identità digitali, (dato sceso al 7% a settembre).
“Merita attenzione – sottolinea Mannheimer – anche l’atteggiamento che abbiamo rilevato nel riproporre al panel delle imprese alcune domande a seguito del terremoto avvenuto in centro Italia. L’onda emotiva della catastrofe ha naturalmente determinato un incremento del 45% nell’ipotizzare una gestione organizzata e consapevole di rischi e minacce come gli eventi naturali e le catastrofi, con il 44% del campione che ammette di aver cambiato atteggiamento su queste specifiche minacce”.
Il principale vantaggio che gli intervistati intravedono nella gestione consapevole dei rischi è dato dalla stabilizzazione dei risultati attesi (48%), mentre per il 37% si intravede un maggior ritorno del capitale investito, e per l’11% una maggiore capacità di accesso al credito, come spinta per attuare strategie di risk management. Per il 90% degli intervistati, poi, dal 2008 a oggi si assiste a un aumento dei rischi come effetto della crisi, e per il 44% del campione sondato in settembre, a seguito del terremoto, si rileva una diversa percezione verso l’ipotesi di gestione del rischio di eventi catastrofali”.
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RISK MANAGER CRESCONO
Due aziende su tre dedicano una specifica figura al risk management e, tra chi non la possiede, emerge l’intenzione di inserirne una (62%). Nel 55% dei casi è l’ufficio legale a decidere e gestire le politiche in relazione ai rischi (seguono, a distanza, l’assicuratore, 14%, e l’amministratore delegato, 13%).
“Nelle grandi aziende e in quelle quotate – spiega Alessandro De Felice, presidente di Anra – è ormai diffusa la figura del risk manager, che valuta i rischi di ogni genere connessi all’attività aziendale e delinea i modi per gestirli efficacemente. L’indagine mostra che esiste una certa confusione di fondo tra la gestione dei rischi e le attività di tipo assicurativo, come si vede dal fatto che la pratica, internamente, è delegata in molti casi all’ufficio legale”.
UN SERVIZIO, NON UNA COMMODITY
Infine, per quanto concerne le assicurazioni, come già accennato il 31% del campione dichiara di farne un ricorso massiccio. L’ufficio legale appare come il primo soggetto a cui le aziende delegano la gestione delle polizze (40%); seguono altre figure aziendali (22%), il direttore generale (14%) e il nostro assicuratore (14%).
“Osservando lo scenario – conclude De Felice – si percepisce una sostanziale trascuratezza nell’approccio alla gestione dei rischi. Perché, se anche c’è sensibilità dal parte del mercato, vi è un’evidente incapacità da parte del mondo assicurativo e degli intermediari nel proporre soluzioni adatte alle diverse tipologie di aziende del nostro tessuto economico. Le assicurazioni, e i broker, cercano di proporre e vendere un prodotto, come se la gestione dei rischi fosse una commodity e non un servizio a valore aggiunto: serve una migliore offerta, e una valida capacità di capire bene i rischi dell’azienda”.
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