INVESTITORI ISTITUZIONALI, OBIETTIVO MILLE MILIARDI

Il mercato, secondo l’ultimo rapporto di Itinerari Previdenziali, è ormai prossimo al traguardo. Intanto però il settore, dopo le difficoltà del 2022, può godersi i risultati di un 2023 che si è rivelato estremamente positivo per l’industria degli investimenti: bene patrimonio, iscritti, flussi e rendimenti

INVESTITORI ISTITUZIONALI, OBIETTIVO MILLE MILIARDI
Il mercato degli investitori istituzionali in Italia potrebbe presto raggiungere un giro d’affari complessivo di mille miliardi di euro. Anzi, per come si sono messe le cose in un 2023 che si è rivelato estremamente positivo per il settore, è anche probabile che il traguardo sia già stato raggiunto e superato senza che neppure ce ne accorgessimo. Lo scorso anno, secondo l’ultima edizione dell’ormai tradizionale rapporto curato dal centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali, il patrimonio di casse privatizzate, fondazioni di origine bancaria e operatori del cosiddetto welfare contrattuale (fondi negoziali, fondi preesistenti e casse di assistenza sanitaria integrativa) si è fermato poco oltre la soglia dei 295 miliardi di euro, più del doppio (+107%) rispetto a quanto si registrava prima dello scoppio della grande crisi finanziaria del 2008. Se a tutto ciò si sommano poi anche i circa 700 miliardi di euro di quello che il rapporto definisce “welfare privato”, ossia fondi aperti, pip e compagnie di assicurazione, si arriva a un patrimonio complessivo di 993,97 miliardi di euro per il settore degli investimenti istituzionali in Italia. Quanto basta per riuscire a coprire il 48% del pil nazionale. 
“Nel 2024 supereremo ampiamente la soglia dei mille miliardi di euro”, si è detto convinto Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali, in occasione dell’evento di presentazione del rapporto che si è svolto lo scorso 4 settembre presso la sede di Borsa Italiana a Milano. A conti fatti, come già accennato, l’obiettivo dei mille miliardi potrebbe essere già stato centrato.

UN’ANNATA IN NETTA RIPRESA

E pensare che nel 2022 le cose erano andate parecchio male per il business degli investitori istituzionali in Italia. L’impennata dell’inflazione e lo scoppio della guerra in Ucraina avevano infatti contribuito a generare una tensione e una volatilità finanziaria che si erano poi tradotte negativamente sui risultati messi a bilancio dagli operatori del settore. Il risultato è che il patrimonio complessivo dell’industria si era fermato a poco meno di 966 miliardi di euro, in calo del 2,2% rispetto all’anno precedente: era dal 2008, ossia dall’inizio della già citata crisi finanziaria, che il giro d’affari del settore non registrava una flessione. E anche i risultati economici si erano rivelati deludenti: i rendimenti del mercato, per la prima volta da ormai molti anni, non erano stati in grado di battere la rivalutazione del tfr, il tasso di inflazione e la media quinquennale del pil, ovvero quelli che da sempre costituiscono i rendimenti obiettivo della previdenza complementare.
Il 2023 ha invece segnato una significativa inversione di tendenza rispetto alle difficoltà dell’anno precedente. Il quadro che emerge è quello di un mercato in netta ripresa, in grado di superare di slancio gli ostacoli del 2022 e pure gli effetti finanziari delle successive tensioni internazionali in Palestina e Medio Oriente, restituendo l’immagine di un Paese che, come si legge nel rapporto, “negli ultimi anni è riuscito a conservare e consolidare il proprio mercato istituzionale, resistendo a scenari avversi e raggiungendo una dimensione ormai piuttosto rilevante anche nel confronto internazionale”.

ANCORA TANTE POTENZIALITÀ

Ed eccolo allora, il confronto internazionale. Il rapporto, come ogni anno, limita in questo caso il raggio d’analisi alla sola dimensione della previdenza complementare, ossia quella che, appunto, maggiormente si presta a una comparazione fra sistemi che possono differire anche in maniera molto significativa fra di loro. Stando ai risultati dello studio, il mercato italiano si piazza al 14esimo posto della classifica dei paesi Ocse, con un patrimonio complessivo di poco più di 260 miliardi di euro e un’incidenza sul pil nazionale dell’11,3%. Bene, forse anche benissimo se si considerano le dimensioni raggiunte dal giro d’affari del settore, ma si può sempre migliorare. Soprattutto se si osserva come in molti altri paesi il rapporto fra patrimonio e pil si spinga oltre la soglia del 50%, in alcuni casi addirittura del 100%.
Basta questo semplice dato per capire come il settore della previdenza complementare, e più in generale degli investitori istituzionali, possa avere ancora moltissimo da offrire. Per dirla con Brambilla, il mercato è già “molto interessante, ma con alte potenzialità di sviluppo”.

LE DIMENSIONI DELLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

Il buon momento del mercato è ben evidente in tutti gli ambiti di analisi messi sotto la lente di ingrandimento dal centro studi e ricerche. Per restare nel settore della previdenza complementare, per esempio, il numero di iscritti ai fondi pensione ha registrato nel 2023 un aumento del 3,7% su base annua e si è attestato a poco più di 9,5 milioni di adesioni. Bene soprattutto i fondi aperti (+5,9%), che si confermano così la forma di previdenza complementare più diffusa, e i fondi negoziali (+5,4%), che invece continuano a beneficiare del meccanismo di adesione contrattuale. In positivo pure i pip (+2,2%) e i fondi preesistenti (+1,7%).
Anche in questo caso restano tuttavia ancora margini di miglioramento. Recuperando i numeri della Covip, il rapporto evidenzia innanzitutto che nel 2023 le posizioni in essere ammontavano a oltre 10,7 milioni di rapporti aperti, dando adito a una discrepanza con il numero di iscritti che trova giustificazione soltanto con il fenomeno delle cosiddette duplicazioni, ossia i casi di lavoratori che risultano contemporaneamente aderenti a più forme di previdenza complementare. Qualche criticità anche sul versante della contribuzione, con il tasso di adesione che scende dal 40% al 29% degli occupati se si considerano unicamente i lavoratori che versano regolarmente parte del proprio stipendio per costruirsi una pensione di scorta.


© Itinerari Previdenziali - Twitter
Un momento della presentazione del rapporto di Itinerari Previdenziali

L’ANDAMENTO DI FLUSSI E RENDIMENTI

Le buone notizie non si fermano comunque qui. Lo scorso anno, stando ai numeri del rapporto, il settore ha raccolto flussi complessivi per 27,46 miliardi di euro, mettendo a segno una crescita del 2,84% su base annua e compensando in questo modo almeno parte della flessione (-2,2%) che era stata registrata nel 2022. Bene soprattutto il segmento delle casse privatizzate, delle fondazioni di origine bancaria e degli operatori del welfare contrattuale, capaci di chiudere l’esercizio con un rialzo del 6,18% dopo il -1,49% messo a bilancio l’anno precedente. Tenendo conto di asset in scadenza stimati in circa 43 miliardi di euro, il rapporto arriva a quantificare un totale di quasi 70 miliardi di euro disponibili per nuovi investimenti.
In positivo infine anche il fronte dei rendimenti. Dopo le già citate difficoltà del 2022, l’andamento dei mercati finanziari, come si legge nel rapporto, “ha beneficiato del raffreddamento dell’inflazione e della conseguente prospettiva di un allentamento delle condizioni monetarie da parte delle banche centrali”. Tutto ciò, prosegue la ricerca di Itinerari Previdenziali, si è riflesso “sui risultati degli investitori istituzionali, che hanno registrato in media rendimenti ampiamente positivi” e che, in questo modo, hanno avuto la possibilità di compensare gran parte delle perdite maturate nell’anno precedente e di recuperare terreno sui rendimenti obiettivo. Sugli scudi in particolare la performance dei pip di ramo III, che hanno chiuso l’esercizio con un rendimento medio dell’8,4%. Bene anche i fondi aperti (+7,9%), i fondi negoziali (+6,7%), le fondazioni di origine bancaria (+4,9%) e i fondi preesistenti (+4,4%), mentre l’andamento delle gestioni separate è rimasto stabile attorno all’1,3%.

SEGNALI DI CRESCITA ANCHE NEL 2024

“Valutando la redditività su orizzonti temporali più coerenti con il risparmio previdenziale, emerge come la buona diversificazione degli investimenti abbia consentito di mantenere un vantaggio nella media a 10 anni, sia per i rendimenti composti sia per quelli cumulati, su inflazione e media quinquennale del pil, pareggiando il rendimento del tfr”, ha commentato Brambilla.
Nonostante la prosecuzione dei conflitti in Ucraina e Palestina e la volatilità generata inevitabilmente dalle numerose tornate elettorali che si sono susseguite negli ultimi mesi (in attesa anche del voto negli Stati Uniti), il buon momento dei mercati finanziari è continuato anche nella prima metà del 2024. E gli investitori istituzionali hanno avuto la possibilità di trarne beneficio registrando, illustra il rapporto, “in media risultati positivi, in particolare nelle gestioni con una maggiore esposizione azionaria, confermando quanto rilevato nel corso del 2023”. Arrivati così al giro di boa dell’anno in corso, le prospettive appaiono positive per il settore: +6,3% per i pip di ramo III, +3,6% per i fondi aperti e +2,9% per i fondi negoziali, mentre le gestioni separate di ramo I hanno messo a bilancio un ben più contenuto rendimento dello 0,7%. Nello stesso periodo, il tfr è cresciuto dello 0,9%, mentre il tasso di inflazione ha registrato una netta decelerazione, con un aumento limitato dello 0,5%. “L’anno in corso dovrebbe caratterizzarsi dunque come un ulteriore recupero rispetto alle perdite registrate nel 2022 per tutti gli investitori istituzionali, migliorando i rendimenti a 5-10 anni”, ha concluso Brambilla. Tutti elementi che vanno in un’unica direzione: per l’obiettivo di un mercato da mille miliardi di euro, se non già centrato, è ormai soltanto questione di tempo.

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