GENERALI, LA BATTAGLIA VINTA DA DONNET

L’assemblea del Leone di Trieste più combattuta degli ultimi anni vede prevalere la lista presentata dal cda uscente su quella di Caltagirone. Ma il board resta spaccato, e servirà del tempo per capire se e quando le tensioni riusciranno a essere sopite

GENERALI, LA BATTAGLIA VINTA DA DONNET
👤Autore: Beniamino Musto Review numero: 95 Pagina: 18
È stata un’assemblea degli azionisti più combattuta che mai, preceduta da mesi di tensioni roventi che sono sfociate in accuse reciproche, ripetute manovre strategiche e ricorsi alle autorità di vigilanza, quella che il 29 aprile scorso ha riconfermato Philippe Donnet al timone di Generali per il prossimo triennio. Si contrapponevano da un lato la lista presentata dal cda, appoggiata dal primo azionista Mediobanca, e dall’altro quella proposta da Francesco Gaetano Caltagirone, ex vice presidente vicario della compagnia, vale a dire colui che ha aperto il fronte di guerra contro la governance del Leone, il quale ha sperato fino all’ultimo di poter prendere il controllo della compagnia per disegnare un futuro diverso per il principale gruppo assicurativo italiano. 

IL CONTROPIANO E LE TENSIONI NELLA GOVERNANCE

Una delle carte che l’ingegnere romano ha provato a giocare è stata quella di presentare un piano industriale alternativo intitolato Awakening the Lion e contenente target molto più ambiziosi rispetto a quello ufficiale di Donnet. Lo avevano illustrato alla stampa e agli analisti Claudio Costamagna, candidato presidente per la lista di Caltagirone, e Luciano Cirinà, candidato ceo nonché ex responsabile di Generali per l’Europa centro orientale. Proprio a seguito di questa scelta il Leone di Trieste, a fine marzo, aveva licenziato il manager a causa della “violazione degli obblighi di lealtà e dalla grave violazione di altri obblighi previsti dal contratto”. 
Ma liti e polemiche sono andate ben oltre, con numerosi ricorsi alle autorità di vigilanza. L’ultimo, in ordine di tempo, è stato quello presentato dal cda di Generali alla Consob in seguito a quelle che sono state definite “dichiarazioni infondate e diffamatorie”, riportate in alcune interviste, da parte di Caltagirone e di Cirinà.


Philippe Donnet, group ceo di Generali

IL VOTO IN ASSEMBLEA

Ad ogni modo, che il vento stesse soffiando a favore della lista del cda lo si era capito già nelle settimane immediatamente precedenti all’assemblea, quando era arrivato l’appoggio dei proxy advisor (Iss, Glass Lewis, Frontis), che hanno espresso all’unanimità il proprio sostegno alla lista del cda.
Tra i fondi che hanno dichiarato il voto per la lista di Donnet figurano Union Investments, Calpers (il principale fondo pensione Usa), Sba Florida, British Columbia Investment, Cpp Investment Board, la texana Ers, e il fondo sovrano della Norvegia (Norges Bank). 
A questi si aggiunge ovviamente Mediobanca, principale azionista con una quota del 12,84%, che aveva preso in prestito un ulteriore 4,43%, e la famiglia De Agostini, con l’1,44%.
Sul fronte opposto c’era in primis Caltagirone con il  9,95% del capitale, i suoi principali alleati, Leonardo Del Vecchio e Fondazione Crt che hanno rispettivamente l’8% e l’1,7%, e la famiglia Benetton, che al momento dell’assemblea aveva il 4%.
Nel dettaglio, la lista presentata dal board uscente ha ottenuto il 55,992% del capitale presente in assemblea (corrispondente al 39,6% del capitale totale di Generali). A favore della principale lista concorrente, quella di Caltagirone, ha votato il 41,73% del capitale presente in assemblea (corrispondente al 29,5% del capitale ordinario). Più defilata Assogestioni, che ha ottenuto l’1,929% dei voti. L’affluenza è stata da record, pari al 70,73% del capitale, un numero enorme soprattutto se confrontato con il 55,9% dell’assemblea di tre anni fa. 
Dalla lista di maggioranza sono stati eletti: Andrea Sironi (nuovo presidente), Clemente Rebecchini, Philippe Donnet, Diva Moriani, Luisa Torchia, Alessia Falsarone, Lorenzo Pellicioli, Clara Furse, Umberto Malesci, Antonella Mei-Pochtler. Dalla lista di minoranza sono stati eletti: Francesco Gaetano Caltagirone, Marina Brogi, Flavio Cattaneo.



IL RUOLO DI MEDIOBANCA 

Un risvolto non secondario della votazione finale è che tra il blocco di chi ha appoggiato la lista del cda e quello degli imprenditori italiani che hanno votato Caltagirone c’è un distacco superiore rispetto alla quota di titoli presi in prestito da Piazzetta Cuccia prima di presentarsi in assemblea: un margine che ha messo il nuovo consiglio al riparo da contestazioni e da richieste di nuove convocazioni d’assemblea. 
Ma le tensioni restano forti, e lo si è visto il 12 maggio scorso, in occasione della seduta del cda per l’istituzione e la nomina dei comitati endoconsiliari. Tutti i consiglieri di minoranza, cioè Caltagirone, Cattaneo e Brogi, hanno rinunciato a farne parte: alla base dello strappo ci sarebbe la gestione delle operazioni strategiche.
Per il bene della compagnia sarebbe auspicabile un riavvicinamento delle parti (anche se la strada appare in salita), magari grazie all’opera di mediazione del neo presidente, Andrea Sironi, e alle iniziative diplomatiche di alcuni grandi azionisti, ad esempio i Benetton che, pur avendo votato per Caltagirone, sono molto vicini a Mediobanca, essendo Piazzetta Cuccia l’advisor di Edizione per alcune operazioni delicate come l’opa su Atlantia e il progetto di fusione tra Autogrill e Dufry
In prospettiva, sarà anche da capire come si giocherà da qui a un anno e mezzo la partita della governance del primo azionista di Generali, quella stessa Mediobanca in cui sono grandi azionisti sia Del Vecchio con il 19,4% (e proprio il 17 maggio scorso è arrivato dalla Bce l’altolà ad arrotondare la quota di Delfin), sia Caltagirone, al 5,5% del capitale di Piazzetta Cuccia.

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