LA FUNZIONE CHE CREA VALORE
Per evitare gli impatti economici (derivanti dalle sanzioni), e scongiurare il rischio reputazionale e la perdita di quote di mercato, cresce la sensibilità delle imprese verso la compliance. L'adeguamento è un'occasione per supportare il business: ogni compagnia adotta modelli diversi, ma il modus operandi è comune
07/03/2017
Se colta bene, la compliance può diventare un’opportunità strategica per gestire al meglio il business, massimizzare il profitto, evitare perdita di mercato e tutelare il consumatore.
Con questa consapevolezza, si è assistito a un’evoluzione importante di questa funzione (sempre più consulenziale), che oggi si affianca al ruolo di controllo del risk management nella mitigazione dei rischi di non conformità alle normative. Ogni compagnia ha adottato, pur nel rispetto degli standard internazionali, assetti organizzativi e modelli difformi, ma con un approccio comune: trasversale, integrato, preventivo e risk based, per supportare i diversi settori in caso di nuova normativa.
Oggi, la funzione ha un’importanza determinante in termini di “creazione di valore aziendale”, spiega Simona Fanuele, responsabile compliance di Groupama, in quanto, “se adeguatamente strutturata, collocata e ben integrata con le altre funzioni di controllo permette di prevenire danni finanziari e reputazionali che possono determinare una perdita di mercato e di business tale da mettere a rischio la stabilità stessa dell’impresa”.
UN AIUTO NELLA PREVENZIONE DEI RISCHI
La compliance, se posta in posizione centrale e adeguata, spiega la responsabile Groupama, preserva e rafforza il buon nome dell’impresa e la fiducia della clientela nella sua correttezza operativa e gestionale. Non solo: può essere vista anche come valido supporto per i progetti di business laddove analizza, in chiave preventiva, gli eventuali margini/ambiti di rischi sottesi, per garantire uno sviluppo commerciale e aziendale sicuro.
L’IMPORTANZA DI ESSERE RICONOSCIUTI
Alla base di tutto, la funzione deve essere riconosciuta dal business, “ma perché ciò avvenga – sottolinea Vittorio Corsano, responsabile compliance e antiriciclaggio di Unipol – deve saper individuare i problemi e almeno un paio di soluzioni: questo fa percepire il valore aggiunto di una funzione che lavora con competenza”.
Convinti di ciò, in Unipol, la compliance è coinvolta in tutti i momenti chiave e, in caso di cambiamento, contribuisce al processo di decision making. “Se questo riconoscimento non c’è – avverte Corsano – bisogna agire ex post spegnendo molti incendi; viceversa, se il coinvolgimento avviene già nella fase iniziale del cambiamento, si ottiene un risultato win-win”.
GUIDARE IL CAMBIAMENTO
La principale capacità riconosciuta alla compliance è quella di sensibilizzare i vertici sull’importanza dell’adeguamento che deve partire, secondo Corsano, “da quando la normativa si inizia a scrivere”, per evitare che questa accolga solo le particolarità di alcune realtà, o di alcuni Paesi, a scapito di altri.
Dello stesso avviso, il responsabile compliance di Poste Vita, Alessandro Palombo, che vede, nel ruolo di “diffusione della cultura della conformità” e nella possibilità di “trovare una giusta relazione quotidiana con le direzioni di linea e le altre funzioni di controllo”, la grande opportunità.
In linea generale, la principale chance che la funzione detiene è quella di guidare, in modo proattivo, il cambiamento culturale. In questo, secondo Marica Piccioli, local compliance officer di Zurich, le risorse umane, giocano un ruolo importantissimo nel comprendere e applicare i principi e le procedure: “siamo un’azienda di servizi dove ogni singolo dipendente può fare la differenza. È quindi sostanziale il percorso verso le persone che lavorano con noi, per far entrare nella routine lavorativa quotidiana l’approccio alla cultura della compliance”.
INDIPENDENZA E IMPARZIALITÀ
La mancata sensibilità aziendale rappresenta la principale criticità: questa è necessaria per cogliere la centralità e i vantaggi di una corretta composizione della funzione, proporzionata alla natura, alla portata e alla complessità dei rischi inerenti all’attività dell’impresa. Tutto ciò deve essere accompagnato da una “corretta collocazione che ne assicuri l’indipendenza e l’imparzialità”, sottolinea Fanuele.
COSTI PESANTI
In tema di criticità, le più penalizzate sono le realtà medio-piccole, appesantite nei costi e nell’organizzazione da una legislazione, crescente, complessa e impattante: Idd, Priips, gli ultimi regolamenti Ivass su Solvency II e le recenti lettere al mercato sulle polizze legate ai finanziamenti e sulle clausole vessatorie nei contratti vita, senza contare le regolamentazioni in tema di privacy, antitrust, e fondi previdenziali. “La compliance – conferma il responsabile compliance di Helvetia, Giorgio Ottogalli, – rappresenta un costo sempre più difficile da sostenere per le piccole compagnie. Qui il valore aggiunto della funzione sta nel prevenire e mitigare i rischi, evitando sanzioni e danni reputazionali, i quali, seppur non quantificabili come grandezza dimensionale, possono avere ripercussioni considerevoli”.
In Helvetia, si è finora agito “secondo priorità”, non potendo coprire completamente tutte le aree. Si lavora, pertanto, sulla cultura aziendale, sensibilizzando tutte le funzioni, in particolare quelle preposte alla gestione del business attraverso “costante formazione e regolari flussi proceduralizzati informativi, in caso di eventi compliance relevant”.
Nel caso di Poste Vita, un punto di attenzione attiene alla piena integrazione del rischio di non conformità nella complessiva mappa dei rischi aziendali: “si tratta – spiega il responsabile compliance, Alessandro Palombo – di un rischio la cui valutazione è essenzialmente qualitativa, a differenza di altre tipologie, e che presenta profili di diversità anche rispetto agli altri rischi operativi”.
CONFORMITÀ NON SOLO ALLA NORMA
La vera sfida, però, sta nel trovare il giusto bilanciamento fra attese dei clienti, aspettative degli azionisti e normativa vigente. “Questi tre fattori – spiega la responsabile Zurich – non sempre sono allineati fra loro e la chiave è rispettare quel valore, imprescindibile per l’azienda, dato dalla conformità nella sua accezione più ampia ovvero non solo compliance alle norme, ma anche alle attese dei diversi stakeholder: clienti e azionisti”.
In conclusione, si va verso una compliance 2.0: una funzione non di mero controllo ma di supporto continuo e proattivo al business; “un’attività di consulenza interna – conclude Piccioli – che deve aiutare a trovare la giusta soluzione per portare a termine correttamente un progetto o definire un nuovo prodotto, in modo che i rischi siano non solo individuati ma anche gestiti e mitigati”.
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