FLEXIBLE BENEFITS, QUANDO IL BUDGET E' ELASTICO
Dare ai dipendenti la possibilità di scegliere le proprie coperture, sulla base di un maggiore livello di personalizzazione, favorisce la diffusione del welfare aziendale. ma servono distinzioni per zone territoriali e tipologia di impresa
30/06/2014
Un settore sospeso a metà tra innovazione e tradizione: è questo, secondo il punto di vista della società di brokeraggio Willis, la situazione del mercato degli employee benefits in Italia. Da una parte il comparto più radicato, ovvero l’assistenza medica aziendale, continua a segnare buone performance, incentivato da una sanità pubblica sempre meno solida e dalla conseguente domanda (anche da parte dei sindacati) di un welfare d’impresa più esteso. Dall’altra, ecco nascere nuovi strumenti improntati alla flessibilità. “Nell’ultimo periodo si parla con grande insistenza di flexible benefits – spiega Cesare Lai, responsabile del settore employee benefits di Willis –. Grazie a questa formula, ogni dipendente gode di un budget elastico che può affiancare al proprio fondo e destinare, ad esempio, al tempo libero o all’istruzione dei figli”. Insomma, anche nel settore del welfare aziendale il futuro è rappresentato dalla profilazione dell’offerta. Viceversa, resta ridotta l’adesione ai piani pensionistici, nonostante i limiti ormai chiari della previdenza pubblica, soprattutto per i lavoratori più giovani.
UNA DIFFUSIONE A MACCHIA DI LEOPARDO
La diffusione delle offerte benefit da parte delle aziende, tuttavia, continua a non essere uniforme e questa disomogeneità, nell’esperienza di Cesare Lai, non dipende solo dalle diverse dimensioni delle imprese: “A volte è importante anche l’area geografica di riferimento – precisa il manager di Willis –. In una regione come il Lazio, ad esempio, le aziende che propongono fondi di tipo medico sono tante, mentre, nell’area del Triveneto, un sistema pubblico affidabile limita l’offerta di piani sanitari integrativi”. Non solo, ma la scelta di proporre o meno dei benefit ai propri lavoratori dipende anche dal settore in cui l’azienda opera. “Una società di consulenza, che ha nel capitale umano la sua più importante risorsa – aggiunge Cesare Lai – più probabilmente investirà nel welfare aziendale rispetto a un’impresa industriale ad alta automatizzazione, costretta a privilegiare l’acquisto e la manutenzione di costosi macchinari”. Al netto di queste distinzioni, il dato di fondo è che spesso le imprese medio-piccole, autentica spina dorsale del sistema produttivo italiano, evitano di investire in strumenti di welfare aziendale. Rinunciando, in questo modo, ad agevolazioni fiscali estremamente utili. “Si tratta, ovviamente, anche di un ritardo culturale – conclude Lai –. Col tempo, sono convinto che sempre più imprenditori comprenderanno i vantaggi degli employee benefits e inizieranno a investire in questi prodotti”.
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Cesare lai,