L’IMPORTANZA DI GESTIRE I FLUSSI MIGRATORI

Accogliere i migranti significa organizzare, preparare la strada, favorire l’integrazione: da questo punto di vista l’Unione Europea non sta mettendo in atto politiche orientate a incanalare una tendenza che è irreversibile, e che potrebbe rappresentare un’occasione di crescita per il Vecchio Continente come per i paesi africani

L’IMPORTANZA DI GESTIRE I FLUSSI MIGRATORI
Tempo di globalizzazione è tempo di migrazione. Gli abitanti dell’emisfero boreale hanno assunto negli anni un approccio aperto e positivo verso l’opportunità di spostarsi per ragioni professionali da un paese all’altro, in Europa ma anche in nord America e nell’estremo Oriente. Anzi, spesso queste migrazioni ricche sono considerate uno status symbol, una formazione personale per i ragazzi e un traguardo nella carriera, il riconoscimento della capacità di confrontarsi con società e ambienti differenti, anche se, in effetti, sempre più simili per stili di vita. E allora perché, se la migrazione ricca è considerata un potenziamento della persona e del sistema, non lo è allo stesso modo la migrazione povera? A questa domanda ha provato a dare risposta uno studio realizzato dall’Ispi, l’istituto per gli studi di politica internazionale, dal titolo The future of migration to Europe curato dal research fellow Matteo Villa. La raccolta di analisi svolte da alcuni studiosi si pone l’obiettivo di modificare la prospettiva della migrazione verso l’Europa, a partire dalle previsioni sui flussi d’arrivo, su come questo fenomeno interagisce con temi politici quali la gestione delle frontiere e l’integrazione, e in che modo poter gestire la realtà inevitabile delle migrazioni per trasformarla in una risorsa.
 
EUROPA, LA META AMBITA

Il tema è ancora di grande rilevanza per l’opinione pubblica europea. Secondo un sondaggio Eurobarometer realizzato a fine 2019, il 34% dei cittadini europei ritiene che il problema immigratorio sia tra le prime questioni che l’Unione dovrebbe affrontare, tema seguito a distanza dai cambiamenti climatici (22%) e dalla situazione economica (18%). Il dato è molto inferiore a quello registrato nel 2015, quando l’immigrazione era ritenuta il primo motivo di preoccupazione dal 58% dei cittadini europei, ma la ragione non va ricercata in un miglioramento nella percezione del problema quanto come la sua riduzione a una questione di minore urgenza, determinata dall’attuale rallentamento dei flussi di migranti rispetto alla cosiddetta crisi migratoria del periodo 2013 - 2017. 
Sono stati quelli gli anni dei flussi incontrollati sulla rotta tra Turchia e Grecia (2015), con la conclusione dell’accordo tra l’Unione Europea e il presidente turco Recep Tayyp Erdoğan per il controllo degli arrivi (tema tornato di grande attualità ora con le migliaia di disperati provenienti in gran parte da Afganistan e Siria, ora ammassati nei campi profughi in Grecia); il 2017 ha registrato invece l’apice delle migrazioni sulla rotta del Mediterraneo centrale, che ha visto in prima linea le coste italiane e ha determinato gli accordi con i Paesi di transito nell’Africa sub-sahariana e con la Libia per l’aumento dei controlli.

ORGANIZZARE UN AFFLUSSO CHE NON SI FERMERÀ

Nonostante la pressione interna e ai confini, l’Unione Europea non pare però interessata ad adottare soluzioni che favoriscano una migrazione sicura, con percorsi regolari e rotte riconosciute, unica soluzione possibile per tutelare chi vuole giungere in Europa per trovare un lavoro, per ricongiungersi con la famiglia, o per necessità di protezione. Soprattutto, non si intravede una determinazione nel mettere in atto azioni di prospettiva e relative pianificazioni, a supporto di un movimento di popolazione che, se gestito, incontrerebbe minore resistenza e potrebbe portare a una più fruttuosa integrazione. Ne è un esempio lo stato dell’accordo del 2015 tra i paesi UE che, per venire incontro alle difficoltà di Italia, Grecia e Spagna, prevedeva la ridistribuzione di 100mila richiedenti asilo in due anni: tra il 2015 e il 2019 i migranti trasferiti nei diversi Paesi sono stati appena 35mila, mentre nello stesso periodo ne sono approdati altri 600mila nei tre Paesi del Mediterraneo più esposti.   
Gli autori dello studio si concentrano su quanto potrà avvenire nei prossimi decenni. Le crisi migratorie sono spesso conseguenza di forti turbolenze socio-politiche, come sono state le primavere arabe, e non si risolvono prima di un paio di decenni. Tuttavia, esistono anche altri importanti fattori: l’Africa è un territorio a forte crescita demografica e si prevede che entro il 2040 la popolazione sarà passata da 1 a 2 miliardi di persone (anche di fronte a una tale pressione gli autori ritengono però che il trend di migrazioni non dovrebbe aumentare con lo stesso ritmo). Ci sono poi ragioni che non sono strutturali e che seguono esigenze di altro tipo, non ultima la possibilità di avere accesso a maggiori opportunità personali.

UNA PIATTAFORMA PER FAVORIRE L’INTEGRAZIONE

In prospettiva appare quindi sempre più necessario trovare i modi più efficaci per controllare i flussi migratori in maniera adattiva, creando corridoi controllati e sicuri in modo da rendere meno traumatico il viaggio e più breve il periodo di adattamento nella nuova società. Una politica migratoria orientata può venire incontro agli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, può rappresentare una risorsa per l’Europa in termini di nuove forze, ma anche per i Paesi di provenienza dei migranti ai quali tornerebbero le rimesse finanziarie e opportunità di investimenti privati.    
In un modello vincente di integrazione possono giocare un ruolo importante anche le nuove tecnologie, come piattaforma comune tra i migranti e i Paesi che li accolgono. L’utilizzo dei dispositivi elettronici accomuna oggi tutte le società del pianeta e il loro utilizzo può facilitare il processo che va dalla migrazione regolata fino all’integrazione: diventano un mezzo sul quale operare per facilitare ogni necessario passaggio, dalla migliore conoscenza della società in cui si andrà a vivere fino alla lingua e all’accesso ai servizi utili alla vita quotidiana, dalle pubbliche amministrazioni alla sanità. Se utilizzate come uno strumento strategico, le nuove tecnologie (inclusi Big data, intelligenza artificiale e blockchain) possono fornire il collegamento di integrazione mancante e dare risultati migliori sia per i migranti, sia per la popolazione del Paese d’accoglienza, limitando l’inevitabile gap tra le differenti culture.  

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