QUANDO IL BELLO MIGLIORA L’UOMO E LA PRODUTTIVITÀ
Le persone sono naturalmente portate a essere positive se messe in contatto con la bellezza. Creare un ambiente accogliente, dal punto di vista umano prima che fisico, contribuisce all’autostima e quindi alla creatività e alla partecipazione consapevole. Un sentire che confina con l’etica del lavoro
21/02/2020
Non possiamo vivere senza la Bellezza. Anche per gli antichi greci il concetto di bellezza era fondamentale: καλός κἀγαθός, (kalòs kai agathòs), significa “bello e buono” inteso come “valoroso in guerra” e come “in possesso di tutte le virtù”: la bellezza era (ed è) quindi indice di virtù, di rettitudine, consente di capire cosa è buono. Il genere umano è strettamente legato alla bellezza perché è un concetto etico: l’etica infatti è la branca della filosofia che si occupa del bene e del male.
Portare la Bellezza al lavoro, quindi, significa orientare il nostro lavoro a fare cose buone. Attenzione: non giuste, efficaci o efficienti ma buone, che hanno un senso, che accrescono il valore dell’azienda.
Già da questi primi passaggi, sulla sola etimologia della Bellezza e delle sue implicazioni nel mondo del lavoro si capisce che è un concetto rivoluzionario, alcune volte anche visto dalle aziende come pericoloso.
Ma l’uomo è strettamente connesso con la Bellezza: egli è Bellezza.
L’estetica è fondamentale: deriva dal greco aisthētikós che significa “che gli è permesso di sentire”. Il concetto si capisce meglio se pensiamo alla forma avversativa della parola stessa “anestetico”, ovvero “che non può sentire”. Possiamo scegliere se vivere una vita estetica piena di sentimenti, di sensazioni o una vita anestetizzata, in cui ci omologhiamo ai sentimenti che vengono proposti e il nostro sentire è dettato dagli altri, dalle mode, dai processi, dal “si è sempre fatto così”.
I nuovi trend della cultura manageriale parlano molto di positività al lavoro, di intelligenza, emozioni, di mindfullness, di empatia: tutti concetti estetici, tutti collegati alla nostra innata necessità di sentire, di provare, di essere nel bello.
L’IMPORTANZA DELLA POSITIVITÀ
Analizziamo meglio i costrutti teorici e sperimentali che legano la Bellezza alla produttività o alla capacità di leggere il mondo che ci circonda.
Un primo fondamentale contributo teorico risale agli anni ’50 e ci arriva da Kurt Lewin, un importante esponente della psicologia gestaltica. Egli ci dice che i nostri comportamenti sono in funzione delle persone che frequentiamo e dell’ambiente in cui viviamo, e che quindi se viviamo in un mondo bello, circondati da persone belle, percepiamo (e agiremo di conseguenza) in modo positivo; se invece viviamo in un mondo brutto vedremo solo la bruttezza del mondo e ci comporteremo in modo brutto.
Dove viviamo e con chi ci interfacciamo sono fondamentali per capire chi siamo. Ma se questo è vero, al lavoro e nella nostra vita scegliamo veramente con chi entrare in relazione e in che ambiente vivere?
Ad Harvard hanno da sempre studiato le relazioni tra uno stimolo e la prestazione o la presa di decisione. Gli studi sul priming, o meglio influenzamento, sono fondamentali per capire quanto siamo legati alle esperienze che facciamo. Negli esperimenti eseguiti, ad alcuni soggetti veniva prima proposto uno stimolo positivo e poi chiesto di eseguire un compito, mentre ad altri veniva proposto uno stimolo negativo e poi chiesto di eseguire il compito previsto. Ne è emerso che se lo stimolo proposto è positivo la produttività sul compito eseguito aumenta, se lo stimolo è negativo la produttività diminuisce. Ma gli studiosi hanno anche scoperto che l’effetto dello stimolo negativo è tre volte più potente dell’effetto dello stimolo positivo, e che ci vogliono tre stimoli positivi per annullare lo stimolo negativo.
Ora, quanti feedback positivi ricevete dal vostro capo o dai colleghi e quanti negativi? Se quelli negativi sono tre volte più forti di quelli positivi, voi state vivendo in un ambiente positivo, bello? E se il positivo aumenta la produttività, perché le aziende sono concentrate sul negativo?
Un esercizio facile, ma che mette sempre in difficoltà i capi nelle aziende quando lo propongo, è di mettere per iscritto quali sono le caratteristiche positive dei collaboratori. I manager entrano in crisi perché sono stati da sempre addestrati e riconoscere cosa non va nelle persone e sono ciechi su cosa invece le persone sono brave a fare.
IL KPI DEL BELLO
Ecco perché dobbiamo portare la Bellezza al lavoro: perché portare le persone a vivere in un ambiente bello e ad avere interazioni con persone belle è la base per essere positivi, stare bene al lavoro, essere aperti agli altri e quindi produrre di più. Sì, la Bellezza è una variabile di produzione.
Perché Adriano Olivetti portava gli artisti in fabbrica per dipingere sui muri? Perché sapeva che le persone lavorano meglio se il loro ambiente di lavoro è bello e fanno cose migliori, sono più creative, se sono vicine a un’opera d’arte. Olivetti portava la bellezza in azienda perché era (ed è) un fattore di redditività della stessa, perché se l’uomo prova sentimenti positivi e produce qualcosa di buono per sé e per gli altri, è più motivato, lavora di più e sente meno la fatica.
Quindi dedicarsi all’estetica e all’etica del lavoro non è una cosa superflua, è invece l’elemento fondante dell’attività. Noi tutti lavoriamo anche per sentirci utili, per realizzarci, per provare quella stupenda sensazione di poter dire “io lo so fare, lo voglio fare, mi piace farlo”.
Il rovescio della medaglia è una vita anestetizzata, dove la stanchezza e la routine definiscono ciò che fai e ciò che sei. Lo chiamo lo stato del bruto, che subisce in modo acritico tutto ciò che viene proposto. Il bruto non si ricorda più perché lavora, non trova stimoli e fa le cose come sono sempre state fatte.
Scegliete se volete vivere come bruti o invece vivere nella Bellezza.
L’uomo è nato per essere curioso, per capire di più, non si può abbrutire davanti a ciò che gli viene detto o imposto. Quante volte al lavoro ci atteniamo alle regole o al “si è sempre fatto così”, anche se palesemente sbagliato, e non ci ribelliamo. Non siamo nati per vivere come bruti, facciamo un atto rivoluzionario e scegliamo di non seguire le cose con l’autopilota, scegliamo la consapevolezza del bello, ricerchiamo il buono e il vero nel nostro lavoro.
Solo allora diventeremo positivi, proveremo sentimenti e comprenderemo le nuove tendenze manageriali del well-being, positivity, intelligenza emotiva etc.. Jon Kabat Zinn, il padre della mindfulness, ci spiega che per star bene l’uomo deve prestare attenzione a ciò che sta facendo, a ciò che sta provando, deve vivere in modo consapevole, con un assetto non giudicante.
Scegliere, tutto qui: scegliere uno scopo che ci renda vivi, consapevoli, scegliere di vedere il bello nelle persone.
Vivere nel bello è scegliere, non scegliere è vivere nell’abbrutimento. Scegliere significa metterci energia, essere presenti e attenti a ciò che stiamo facendo. Altrimenti possiamo continuare a farci portare dalla corrente, ma in un mondo così in cambiamento, con una velocità di trasformazione incredibile, lasciarsi portare dalla corrente è il vero? È buono?
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