DEL QUANTO E DEL COME
Il governo torna sul tema del risarcimento per le macro lesioni e promette presto le tabelle nazionali. Ma intanto il mercato ha trovato un suo equilibrio? La giurisprudenze è stata invadente o supplente rispetto al potere legislativo? Un focus con tutti i protagonisti
05/06/2015
Anche Renzi ci prova. Il giovane presidente del Consiglio, che tenta sempre di fare le cose e spesso ci riesce (più o meno), ha provato anche a riformare il mercato delle assicurazioni. Partendo da quella più diffusa perché obbligatoria, l’Rc auto, nell’ultimo intervento (ddl Concorrenza) ha provato persino a intervenire sull’impensabile: la valutazione delle lesioni gravi negli incidenti stradali.
Il testo di legge ribadisce la necessità di un’uniformità nazionale su cui basare il quantum del risarcimento monetario per il danno non patrimoniale. Solo danno non patrimoniale, quindi: considerato unitariamente, senza distinzioni tra biologico, morale e altre declinazioni che persistono ancora nella giurisprudenza di merito.
È fin troppo noto come la questione sia controversa: la speranza della maggior parte degli attori del sistema è che finalmente si giunga a un pronunciamento di legge. Qualcosa che, analogamente a quanto fatto per le micro lesioni, metta il punto. Tuttavia, pochi ci credono, alcuni pensano che questo non basterà a fare chiarezza sul tema, altri ancora ragionano che lo status quo, cioè una sostanziale discrezionalità in capo a ogni singolo giudice, sia da preferire. In questo quadro, s’innestano i tentativi di schematizzare e in parte razionalizzare il sistema dei risarcimenti: il punto di riferimento è il grande lavoro fatto dall’Osservatorio per la giustizia civile del tribunale di Milano, con la redazione e l’aggiornamento costante delle tabelle per le macro lesioni. Lo schema dei risarcimenti basati sulle tabelle milanesi ha ricevuto nel 2011 la dignità di riferimento nazionale, grazie a una celebre sentenza della Cassazione, la 12408, che ne estendeva l’applicazione a tutte le Sezioni civili del territorio italiano. Ma le polemiche non sono finite: le compagnie assicurative continuano a denunciare l’incertezza nella quale lavorano, i tribunali sono oberati di cause civili, gli avvocati delle parti continuano a darsi battaglia su punti, percentuali, personalizzazione del danno.
UNA LEGGE PER UN UNICO DANNO?
L’avvocato Andrea Graziosi, professore ordinario di Diritto processuale civile all’Università di Ferrara, chiarisce la situazione: “non vi è né a livello dottrinale, né a livello giurisprudenziale un modo univoco di concepire il danno non patrimoniale. La giurisprudenza – precisa – ha elaborato la categoria del danno biologico smarcandosi dalle strettoie dell’articolo 2059 del Codice civile. Tuttavia oggi non c’è unità di vedute: per qualcuno il danno non patrimoniale è categoria unitaria che deve ricomprendere in sé tutte le voci di danno, inclusa la lesione alla salute, per altri non è così, e si pensi alla recente sentenza della Cassazione 1361/14 che riprende la figura del danno esistenziale”. Ma non basta. Qualora il danno fosse ricostruito in termini unitari, permarrebbe comunque il problema di tradurlo in un equivalente monetario. Le strade percorribili sono due: “il legislatore detta i parametri attraverso una legge – spiega Graziosi –, considerando però che le fattispecie di lesione possono divergere sensibilmente l’una dall’altra e anche i meccanismi di personalizzazione possono risultare inadeguati; oppure, il sistema si affida a una valutazione equitativa da parte del giudice, come fa l’articolo 1226 del Codice civile. Questo, però, espone al rischio di trattamenti diseguali su tutto il territorio nazionale. A questo problema, in qualche modo, le tabelle di Milano hanno cercato di dare un ordine”.
In verità il legislatore una scelta l’ha fatta, come dimostrano chiaramente gli articoli 138 e 139 del Codice delle assicurazioni. Per le micro lesioni, le tabelle ci sono e sono state recentemente confermate dalla Corte Costituzionale con la sentenza 235 del 2014; per quanto riguarda invece le macro permanenti, manca una definizione per tutto il territorio nazionale. Una soluzione di questo tipo appare una via obbligata, anche se, ormai, le compagnie assicurative, che da anni chiedono dei parametri univoci, non sono più molto ottimiste, come conferma Giovanna Gigliotti, direttore sinistri di UnipolSai. “Se consideriamo – rileva – che sono già trascorsi 14 anni da quando il legislatore si era impegnato a redigere la tabella, con la legge 57/2001, e che l’impegno era stato reiterato nel 2006, appunto con l’articolo 138 del Codice delle assicurazioni, francamente non possiamo parlare di reali aspettative da parte delle compagnie”.
UN SOGNO, OLTRE IL SETTORE ASSICURATIVO
Ma la questione del danno non patrimoniale va oltre il confine del settore assicurativo, nonostante quest’ultimo sia un interlocutore centrale. L’emanazione delle tabelle riguarderebbe solo l’Rc auto e la responsabilità medico-sanitaria, lasciando fuori, e quindi soggetti ad altre valutazioni, gli infortuni sul lavoro e la responsabilità civile in generale. È quanto sostiene anche Damiano Spera, magistrato del tribunale di Milano ed estensore delle celebri tabelle milanesi: “il tema principale è stabilire la correttezza e l’armonizzazione del sistema. Una riforma che si pone ancora in un’ottica settoriale non risolve il problema ma anzi rischia di ampliarlo. Il mio sogno – argomenta Spera – sarebbe la ridefinizione di tutto il sistema del danno, attraverso la riscrittura dei codici 2059 e seguenti del Codice civile, per regolare l’intera materia: solo così si potrebbe superare la discrasia tra chi subisce un danno sul lavoro, chi a causa di un incidente stradale o chi è vittima di malpractice medica”.
Il problema, quindi, non sta solo nella liquidazione del danno ma nell’accertamento stesso. In Italia convivono parametri medico-legali diversi: “da questa confusione – chiosa il magistrato – si può uscire solo con una legge unitaria, omogenea e coerente”.
UN PERCORSO MOLTO FRAGILE
Tornando però alla questione cara al settore assicurativo, la presenza di valori monetari tabellari certi svolgerebbe una funzione orientativa per le parti, che potrebbero così più facilmente risolvere la controversia in sede stragiudiziale. “Più il danno diviene prevedibile, più diventa facile risolverlo senza ricorrere al giudizio civile”, sottolinea Graziosi. Inoltre, aggiunge Gigliotti di UnipolSai, “l’alea che sussiste nella quantificazione dei danni gravi ai fini della riservazione a costo ultimo potrebbe essere ridotta. Le principali difficoltà sul fronte dei danni non patrimoniali – continua – riguardano la personalizzazione del risarcimento. Le tabelle milanesi, diventate il riferimento per tutti i tribunali d’Italia, sono, secondo Graziosi, un passo avanti verso l’omogeneizzazione del sistema ma insieme un baluardo troppo fragile. “La stessa sentenza 12408/11 della Cassazione – spiega il docente dell’Università di Ferrara – è maturata attraverso un percorso interpretativo invero piuttosto fragile: se da un lato riconosce che la quantificazione del danno va fatta in modo equitativo, dall’altro interpreta l’equità non come giustizia del caso singolo ma come uniformità di trattamento. Ragionamento meritorio sul piano degli obiettivi ma discutibile su quello strettamente ermeneutico; inoltre la Cassazione non compie una valutazione di merito sulle tabelle milanesi, ma si limita a riconoscere che, al momento, sono le più diffuse negli uffici giudiziari italiani. Tutta questa incertezza può purtroppo incidere anche sul calcolo globale dei premi assicurativi, poiché se è poco prevedibile l’esito di un sinistro l’effetto può essere quello di alimentare le iniziative giudiziali”.
COME MISURARE IL PRINCIPIO DI EQUITÀ
In questo contesto, il ruolo delle compagnie, ribadisce Gigliotti, “è di contemperare tutti gli interessi in gioco in una logica di bilanciamento solidale: i diritti dei singoli di ottenere il giusto risarcimento e l’interesse della collettività verso premi assicurativi non eccessivamente onerosi”.
È verosimile, almeno secondo quanto sostengono le compagnie, che l’approvazione delle tabelle nazionali e il conseguente minor costo complessivo delle macro lesioni possa portare a una riduzione tariffaria. Tuttavia, non ci sarà automatismo perché permarranno profonde disparità. “Per quanto riguarda il danno cosiddetto da perdita del rapporto parentale, che ingloba il danno da sofferenza morale e l’alterazione delle abitudini di vita – spiega la manager di UnipolSai – vi sono profonde differenze tra le tabelle di Milano e quelle di Roma. È evidente che siamo di fronte a un panorama giurisprudenziale di grande incertezza valutativa, cui fanno da pendant risarcimenti sperequati a scapito del principio di equità sostanziale per cui, a fronte di casi analoghi, la misura del risarcimento dovrebbe essere analoga per tutti i danneggiati”.
UN REGIME IN AUTOGESTIONE
Restano poi da considerare quelle voci di danno che si possono definire emergenti, cioè il danno da perdita del bene vita e quello da lucida agonia. Siamo davvero di fronte a un’anarchia valutativa? In che misura la magistratura ha contribuito ad alimentare la confusione? “La magistratura – risponde Spera – ha avuto un ruolo di supplenza. Ha percepito l’esigenza di uniformità nel sistema e si è fatta carico di eliminare questa disparità istituzionale. Noi (del tribunale di Milano, ndr) con la redazione delle tabelle ci siamo autolimitati e abbiamo fatto bene: però è chiaro che, laddove tutto parte da un’autolimitazione, ci possono essere discrasie: in un regime di autogestione e di supplenza, i problemi non si risolvono mai completamente”. Spera sosteneva la vocazione nazionale della tabella milanese già prima che la sentenza della Cassazione effettivamente la sancisse. “Tuttavia – conclude – la Cassazione avrebbe potuto avere in questi anni, su questo tema, una funzione nomofilattica maggiore: spesso le sentenze si sovrappongono, si contraddicono. La Corte, a mio avviso, è chiamata a pronunciarsi più uniformemente su questi temi”.
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