ARTICOLO 139 DEL CAP: ALLA RICERCA DELLO STRUMENTO PERDUTO
Prosegue il dibattito intorno alla norma sui cosiddetti “colpi di frusta”, sulla loro verificabilità strumentale obiettiva o meno e di conseguenza sulla risarcibilità di queste menomazioni. Una parte importante del danno biologico su cui si sono espresse più volte le Corti
14/03/2022
Le regole risarcitorie contenitive, già imbastite (almeno) sin dall’entrata in vigore del Codice delle assicurazioni private (e in realtà sin dalla legge 57 del 2001) si sono arricchite nel 2012 di un nuovo intervento (l’articolo 32 commi 3-ter e 3-quater della legge 27 del 24 marzo 2012) rivolto allo specifico settore delle lesioni di lievi entità e mirato, senza ombra di dubbio, ad arginare il fenomeno dei rachidi cervicali distorti.
La norma introduceva un preciso limite alla risarcibilità delle menomazioni di grado inferiore al 9%, le quali, già allora, non avrebbero potuto dar luogo a un risarcimento del danno biologico permanente qualora non derivanti da lesioni suscettibili di un accertamento clinico strumentale obiettivo. La peculiarità di un così drastico intervento normativo aveva, ovviamente, suscitato reazioni critiche anche adombrando una pretesa illegittimità costituzionale sul presupposto che una lettura letterale e razionale, avrebbe teoricamente escluso il risarcimento di un danno potenzialmente esistente, per il solo fatto che non fosse strumentalmente accertabile.
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L’INTERVENTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE
A superare tali dubbi di incostituzionalità ci pensò, prontamente, proprio la Consulta, con due pronunce (la sentenza 235 del 16 ottobre 2014 e la successiva ordinanza del 21 ottobre 2015, n. 242) con cui si affermava la piena legittimità della “prescrizione della (ulteriore e necessaria) diagnostica strumentale ai fini della ricollegabilità di un danno ‘permanente’ alle microlesioni di che trattasi”.
La Cassazione, invece, ha affermato a più riprese che lo strumento non serve ai sensi dell’articolo 139 del Cap novellato ai fini della prova sicura che la legge esige per obiettivare le lesioni micro permanenti, ma invece, e allo stesso tempo, è necessario nel caso in cui la modestia della lesione lo richieda ai fini della obiettività accertativa.
Sennonché, tale esigenza di rigore accertativo sarebbe stata presidiata, secondo la Cassazione, ben prima degli interventi legislativi del 2012 e del 2017, sulla base di un principio “già insisto nel sistema, e cioè che il risarcimento di qualsiasi danno (e non solo di quello alla salute) presuppone che chi lo invochi ne dimostri l’esistenza al di là di ogni ragionevole dubbio; e che per contro non è nemmeno pensabile che possa pretendersi il risarcimento di danni semplicemente ipotizzati, temuti, eventuali, ipotetici, possibili ma non probabili” (Cassazione, 28 novembre 2019, n. 31072). E dunque ancora una volta, secondo la Cassazione, l’articolo 139 del Cap riformato non aggiungerebbe nulla di nuovo e non integrerebbe una norma di “tipo precettivo, ma una di quelle norme che la dottrina definisce ‘norme in senso lato’ (cioè prive di comandi o divieti, ma funzionalmente connesse a comandi o divieti contenuti in altre norme)” (Cass., 28 novembre 2019, n. 31072).
In definitiva, gli accertamenti necessari per affermare l’esistenza del danno alla persona sarebbero quelli fissati da una secolare tradizione “e dunque l’esame obiettivo (criterio visivo); l’esame clinico gli esami strumentali”, criteri questi fungibili e alternativi e non già cumulativi.
UNA LETTURA PIÙ RADICALE
Nel corso del 2019 la Cassazione (Cass. 10816/2019) ha fornito una lettura in qualche misura ancora più radicale ribadendo che “l’accertamento medico non può essere imbrigliato” dalla necessità di un previo, positivo, esperimento di un accertamento diagnostico strumentale e chiarendo (Cass. Civ. ordinanza 12 giugno 2020 n. 9865/2020) che l’esame strumentale non è affatto indispensabile perché valgono ai fini probatori l’anamnesi, l’esame obiettivo, l’ispezione, la palpazione, la percussione, l’auscultazione. Inoltre, andando oltre il necessario, la Cassazione ha anche ricordato che “necessità dello strumento in caso di patologie difficilmente verificabili” non ha ragion d’essere perché l’articolo 139 “non è nè una norma che pone limiti ai mezzi di prova (essa non impedisce, dunque, di dimostrare l’esistenza d’un danno alla salute con fonti di prova diversi dai referti di esami strumentali), nè una norma che pone limiti alla risarcibilità del danno, e non impone dunque di lasciare senza ristoro i danni che non attingano una soglia minima di gravità” (Corte di Cassazione sez. III Civile, ordinanza 26 giugno – 25 agosto 2020, n. 17692).
In coda a questo percorso un poco tormentato è stata discussa recentemente in Cassazione (Cass. terza Sez. Civ. n. 40753 20 dicembre 2021) una causa nell’ambito della quale il giudice di merito aveva d’altronde evidenziato che “[...] in assenza di prova tramite accertamento obiettivo strumentale che l’evidenziata modifica della fisiologica lordosi possa essere correlata al sinistro stradale per cui si procede nessun danno permanente indennizzabile può essere riconosciuto [...]”.
LA MANCATA PROVA DEL NESSO CAUSALE
L’esito, nel solco dei precedenti, pareva scontato. La Cassazione, invece, senza espressamente pronuciarsi sulla interpetazione dell’articolo 139 e limitando il rigetto delle censure a una declaratoria di inammisisbilità, ha fornito qualche spunto ulteriore ad alimentare il dibattitto che, prospetticamente, potrebbe infrangere gli equilibri interpretativi fin qui consolidati. È stato ribadito che il giudizio sulla relazione causale non è sindacabile in sede di legittimità perché “le affermazioni del ricorrente, quindi, tendono a offrire un apprezzamento di fatto divergente da quello svolto dal giudice di merito, posto che, in thesi, l’invalidità permanente sarebbe rilevabile al di là di ogni ragionevole dubbio mediante le radiografie, la risonanza magnetica e la documentazione clinica osservate dal Ctu, mentre per il tribunale, per quanto sopra detto, tale conclusione non può trarsi in relazione all’esito di detti esami strumentali, essendo mancata la prova del nesso causale tra il danno riscontrato e l’incidente occorso”.
La Cassazione, confermando quindi la decisione del giudice di merito, ha evidenziato che “non potesse essere stabilito un collegamento causale tra la modifica della fisiologica lordosi cervicale e lombare e il trauma non essendo neanche nota la condizione del danneggiato prima dell’incidente”.
Al netto dei profili strettamente processuali, la Cassazione sembra quasi andar oltre il dibattito strumentale (almeno nei termini fin qui conosciuti) registrando che in ragione della modestia della lesione la prova della relazione causale con il sinistro deve essere particolarmente rigorosa e, oseremmo dire, al limite della probatio diabolica.
OGGETTIVAZIONE IMPOSSIBILE?
D’altronde se fosse stato applicato il principio fin qui conosciuto il giudice non avrebbe potuto disattendere la Ctu solo perché non strumentale. In questo caso, invece, è stata affermata la possibilità di poter liberamente apprezzare i fatti sottotesi al giudizio di causalità e, in particolare, di ritenere che la sintomatologia rilevata dai medici (algia al tatto lombare) nonché gli esami clinici obiettivi effettuati (Rnm e radiografie), nonostante la lettura clinica del Ctu confermasse l’esistenza della menomazione, non fossero indicativi della sussistenza di un nesso di causale tra fatto ed evento, aderendo alle critiche del c.t. della parte convenuta sul punto. La partita, dunque, a ben vedere, non è solo (o non tanto) strumento sì o strumento no ma è su quali fatti e/o rilievi diagnostici, eventualmente filtrati dalla scienza sapienziale medica, il giuidice può affermare che la distorsione del rachide è stata causata da quel sinistro. Ora, nell’ambito della medicina legale sono noti i diversi orientamenti che in materia, da tempo, dividono la categoria. A chi afferma l’assoluta possibilità di attribuire al trauma minore del collo, con piena evidenza e sulla base della semplice visita medica o medico legale, un danno permanente specifico, perfettamente individuato e tale da non confondersi con le manifestazioni di altri stati patologici, si contrappone chi invece sostiene che in quei casi la oggettivizzazione dei postumi non possa essere mai raggiunta.
Considerazioni queste che, se adeguatamente sostenute in sede di contraddittorio tecnico, potrebbero a maggior ragione restringere le possibilità di accertare l’esistenza della menomazione e, quindi, di un danno biologico permanente risarcibile.
Con buona pace del dibattito, solo, strumentale.
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