USCIRE PIÙ FORTI DALL’HARD MARKET

Nel corso del 2023 è sembrato chiudersi il lungo periodo in cui il mercato assicurativo si era attestato su condizioni molto rigide per i clienti corporate dopo anni di soft market. L’esperienza ha rappresentato per le imprese un momento di riflessione sulle proprie politiche di trasferimento del rischio, ed emerge ora la richiesta di un confronto più aperto e costruttivo con le compagnie

USCIRE PIÙ FORTI DALL’HARD MARKET
Il 2023 ha probabilmente segnato la fine degli effetti del periodo di hard market e si può guardare ora al (prossimo) futuro con una maggiore apertura. Tanto è stata repentina nel 2019 la fase di stretta del mercato, con tassi rapidamente aumentati a due cifre, quanto è stato lungo e graduale il periodo di uscita; solo dallo scorso anno si è assistito a un aumento delle capacità, la stabilità ha permesso una riduzione dei tassi e gli assicuratori hanno potuto fornire ai propri clienti coperture più flessibili e ampie seguendo le loro esigenze. Salvo sorprese, quello che si prospetta è un periodo che non vedrà il ritorno a tassi bassi simili a quelli del periodo 2010-2019, ma si offre la possibilità, a compagnie e clienti, di imparare da quanto è avvenuto e intraprendere azioni migliorative a riguardo delle soluzioni assicurative. È di questa opinione Giuseppe Pietrosanto, da due anni head of corporate insurance di Menarini Group (dopo 20 anni nelle Ferrovie dello Stato), in cui è cresciuto fino alla responsabilità delle coperture assicurative di gruppo. 
“Pur con le sue peculiarità – spiega Pietrosanto – il settore farmaceutico non diverge dagli altri comparti industriali per quanto riguarda le categorie da assicurare: parliamo di responsabilità civile, property, interruzione di attività, directors & officers liability (D&O), poi le minacce trasversali come il rischio cyber, le catastrofi naturali. Particolare attenzione va alla supply chain, che risente delle tensioni geopolitiche”. Inoltre, riguardo ai rischi emergenti, guardiamo con attenzione a come cambieranno i profili di rischio a seguito delle direttive dell’Unione Europea sulla supply chain e sulla sostenibilità Esg, agli effetti del cambiamento climatico e alle mutevoli minacce cyber”.
Di fronte a rischi conosciuti ed emergenti, è fondamentale per le imprese poter costruire la propria politica di trasferimento del rischio e su questo è importante contare sulla collaborazione delle compagnie assicurative, aspetto che diventa complesso in una fase di hard market. “L’ultima fase di mercato difficile è partita inattesa e un po’ di nascosto, cogliendo tutti di sorpresa. Le capacità si sono contratte, i prezzi aumentati, si sono create condizioni per cui le compagnie si sono irrigidite ed è stato impossibile parlare di wording o di nuove garanzie”, riflette Pietrosanto. “L’urgenza di adottare soluzioni correttive di impatto immediato – aggiunge – ha fatto sì che le conseguenze si siano riversate sui clienti. In simili condizioni di mercato quanto descritto è un comportamento generalizzato, anche se in realtà ogni assicuratore può scegliere di adottare politiche proprie sul livello di flessibilità in relazione alla propria forza su un territorio specifico, o in un settore, o per ramo assicurativo”.


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ALLA RICERCA DI UN NUOVO CONFRONTO

Per il responsabile dell’insurance di Menarini l’attuale momento è descrivibile non come ritorno a condizioni di mercato soft ma come una fase di adattamento, con una nuova apertura al confronto verso le esigenze delle imprese. “Oggi, le aziende cercano di approfittare di questa possibilità per migliorare le proprie coperture. Il comportamento consigliato è di evitare di inseguire una corsa al ribasso per cogliere invece l’occasione di discutere di wording, di capacità, di nuove garanzie, con la prospettiva di pensare a programmi pluriennali che negli anni di mercato rigido non erano concessi”, afferma Pietrosanto. 
Gli esempi sono molteplici. Le imprese potrebbero prepararsi a un allargamento delle garanzie in prospettiva, ad esempio pensando a prodotti innovativi come le coperture Non-physical damage business interruption (Ndbi), che tutelano da un’interruzione di attività che non dipende da danni fisici subiti dall’azienda. 
Dall’altra parte, considera ancora Pietrosanto, “le compagnie possono ragionare per rimettere in campo la tecnica assicurativa e fare in modo che le ritenzioni e i massimali delle polizze per le imprese vengano calcolati in maniera attuariale, evitando considerazioni aprioristiche. Un’altra via da sviluppare è incentivare lo sviluppo delle polizze parametriche, anche intervenendo presso il legislatore per rafforzarne il riconoscimento”. 
Attualmente pare riaffermarsi una disponibilità al confronto da parte degli assicuratori; rimane da vedere se, alla luce di un nuovo eventuale periodo di hard market, daranno buoni frutti le riflessioni su come ridurre l’impatto sui clienti delle difficili condizioni di mercato e su quali misure potrebbero essere intraprese: “molti assicuratori hanno già dimostrato attenzione al cliente durante il periodo vissuto, vediamo se alla prossima occasione la volontà sarà riconfermata”, osserva Pietrosanto.


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COSA POSSONO FARE LE AZIENDE

Nel dubbio, è opportuno che anche le imprese imparino dall’esperienza e non si facciano trovare impreparate. Non si deve più cadere nell’errore di basare le proprie scelte di trasferimento del rischio solo (o quasi) sul prezzo. Dove è possibile, cioè in quelle aziende che hanno già un sistema di analisi e gestione del rischio, è opportuno individuare sistemi di ritenzione e forme alternative per il suo trasferimento, “ad esempio costruire franchigie, calcolare scoperti che siano adeguati al proprio bilancio, individuare e attrezzarsi con forme alternative di ritenzione del rischio come possono essere le captive. È inoltre fondamentale far arrivare alla controparte assicurativa una fotografia positiva del proprio rischio: partire da un’attenta analisi dei rischi per consolidarne il presidio e impostare le opportune misure di mitigazione, così da ridurre la dipendenza dal settore assicurativo”. Con questa visione, sottolinea Pietrosanto, la collaborazione tra risk manager e insurance manager è fondamentale, così come è importante creare e mantenere una cultura del rischio nelle aziende, a partire dal top management, “che deve condividere il fatto che le azioni di mitigazione non sono un costo ma un investimento che serve a creare valore”, fino ai responsabili di settore e ai lavoratori.

LA CULTURA DEL RISCHIO DEVE PARTIRE DAGLI INTERMEDIARI

Quanto detto finora vale per il mercato corporate in cui i clienti sono le grandi imprese, che hanno mezzi, struttura e competenze interne per gestire le proprie esigenze di copertura con un accesso diretto al mercato assicurativo. Diverso è il caso di migliaia di Pmi: sono la quasi totalità del tessuto produttivo del Paese ma hanno una scarsa sensibilità verso i temi della protezione (percepita come obbligo, se è tale, o come costo), atteggiamento che è tra le cause della sottoassicurazione delle imprese. La questione è sempre quella della mancanza di cultura assicurativa. Per Pietrosanto questa non è il peccato originale delle imprese, ma una carenza che affonda le radici nelle reti distributive delle compagnie: “nella maggior parte dei casi le Pmi non hanno accesso ai grandi broker, potrebbero affidarsi a piccoli intermediari capaci, ma è una eventualità rara. Le aziende con meno di 500 milioni di euro di fatturato si affidano normalmente a persone che, spesso, non solo non hanno le competenze per costruire una copertura completa a più layer ma non sono neppure in grado di fornire una consulenza sulle esigenze reali dell’impresa. È da questo rapporto sbilanciato che nasce la carenza di protezione delle Pmi e che fa ritenere che la vera cultura del rischio manchi prima di tutto tra gli agenti”. Un messaggio per le compagnie, perché pensino a strutturare la formazione per le reti agenziali come crescita professionale anche nel comparto corporate.

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