TERREMOTO, TRA POLIZZE E PREVENZIONE

L'Italia è il paese europeo più esposto agli eventi sismici: ne è minacciato il 58% del territorio. Eppure solo sei italiani su 100 hanno una percezione adeguata del pericolo che corrono

TERREMOTO, TRA POLIZZE E PREVENZIONE
Non si sa quando, né esattamente dove. Però c’è una certezza: prima o poi, sul territorio italiano, si verificherà un nuovo terremoto. A dirla tutta, esiste anche un’altra certezza: con ogni probabilità, anche dopo il sisma che ha colpito il centro Italia lo scorso 24 agosto, non vedremo masse di proprietari di casa, in preda al panico, affollare le agenzie assicurative per tutelarsi da questo rischio. 
La minaccia di un evento così distruttivo incombe sul 58% del territorio italiano: sono a rischio il 64% dei Comuni. Eppure, così come accade da decenni, è plausibile ritenere che la maggioranza dei cittadini residenti in zone sismiche continuerà a snobbare le polizze, giacché all’indomani del terremoto i danni continuerà a pagarli, come sempre, un noto assicuratore chiamato Repubblica Italiana. 
Oltre alle certezze, naturalmente, esistono anche diversi dubbi. Uno di questi, ad esempio, riguarda la capacità dello Stato di poter essere, nei secoli dei secoli, il principale assicuratore degli italiani. Una capacità che sta diventando sempre più faticosa da sostenere, nell’era dei rigidi vincoli di bilancio imposti da Bruxelles. 


PAGA SEMPRE LO STATO ITALIANO

Per rendersi effettivamente conto di quanto un terremoto possa pesare sulle casse pubbliche, è sufficiente ricordare alcuni casi recenti. Ad esempio il sisma del 2009 in Abruzzo, che, secondo alcune proiezioni, avrà un costo a carico dello Stato italiano pari a 14,7 miliardi di euro. Altre stime ci dicono che in un trentennio (1968-1998) la spesa dovuta a soli quattro terremoti (Belice, 1968; Friuli, 1976; Irpinia, 1980; Marche-Umbria, 1997) corrisponde a una cifra superiore ai 100 miliardi di euro. Questo significherebbe che l’Italia, a causa dei terremoti, sborsa più di tre miliardi di euro ogni anno. 
Ha avuto modo di sottolinearlo, recentemente, anche Standard & Poor’s, in un’analisi sull’impatto del sisma in centro Italia, che nel titolo riassume già tutto: I costi del terremoto cadranno più sul Governo che sugli assicuratori. Per l’agenzia di rating, “il settore assicurativo italiano dovrà far fronte a costi relativamente bassi. Dato che in Italia il comparto delle assicurazioni sulla proprietà non è particolarmente ben sviluppato – si legge nel report – il costo della ricostruzione ricadrà principalmente sul Governo”. Sempre secondo l’analisi di S&P, considerando che la provincia di Rieti non è densamente popolata ed è caratterizzata da un basso livello di attività industriale, il costo lordo del terremoto dovrebbe essere inferiore rispetto a quello del terremoto del 2012 (Emilia Romagna) e di quello abruzzese del 2009, “con perdite assicurative lorde che non eccederanno i 200 milioni di euro”. 





CITTADINI INCONSAPEVOLI DEL RISCHIO
 
Non è solo la cieca fiducia nell’intervento dello Stato a scoraggiare i cittadini dall’assicurarsi, ma anche una preoccupante inconsapevolezza su questo rischio. È quello che ha rilevato l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv). L’Ente nel 2015 ha condotto, in collaborazione con il Cnr e l’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale di Trieste (Ogs), un’indagine su come la pericolosità sismica è percepita dalla popolazione. A dispetto delle mappature sul rischio sismico, solo il 6% degli intervistati è risultato avere una percezione adeguata del pericolo presente sul territorio in cui vive; il 33% si ritiene abbastanza informato, mentre il 38% pensa di essere informato in modo superficiale, e il 23% di non esserlo affatto. Meno del 5% degli intervistati ha partecipato personalmente a un’iniziativa per la riduzione del rischio sismico. Da osservare che l’indagine è stata svolta su un campione che, per il 41,3%, risultava composto da cittadini residenti in zone sismiche con elevata pericolosità.


POLIZZA OBBLIGATORIA, RIMANDATA SINE DIE

Se da un lato, dunque, gli italiani appaiono come dei pessimi risk manager delle proprie case, dall’altro si invoca da decenni l’introduzione dell’obbligatorietà della polizza, secondo un modello misto pubblico-privato che “comporterebbe benefici di portata generale: maggiore certezza, rapidità e trasparenza nei risarcimenti, minore onere per le finanze pubbliche, attenzione maggiore per la prevenzione del rischio”. A spiegarlo a Insurance Review, il direttore generale dell’Ania, Mauro Montagnini, secondo il quale “solo l’Italia, tra i principali Paesi, non ha ancora un sistema pubblico-privato per la gestione del rischio catastrofale, in particolare per le abitazioni”. Tra le proposte dell’Ania, la riduzione delle imposte sui premi delle polizze contro le catastrofi, la deducibilità/detraibilità del premio, l’obbligo della garanzia contro i danni da catastrofi in tutte le polizze emesse per l’incendio (semi-obbligatorietà), l’obbligo di assicurazione in capo a tutti i proprietari di abitazione. Per Montagnini, si dovrebbe inoltre tendere “alla più ampia diffusione della copertura, per garantire un’adeguata mutualità fra i rischi assicurati, e consentire di avere prezzi a livello accettabile e sostenibile anche per le abitazioni ubicate nelle zone più esposte”. 
Questa soluzione, però, oggi come in passato, non ha mai entusiasmato i governi di turno. Il motivo è noto: il timore che l’obbligatorietà venga percepita come l’ennesima tassa sulla casa. “Non c’è dubbio che l’effetto possa essere questo”, ha ammesso il presidente dell’Ivass, Salvatore Rossi, in una recente intervista, osservando però che “quando l’ombrello pubblico si apre a disastro avvenuto, a quel punto diventa una tassa implicita per tutti”. 
L’ultimo tentativo di introdurre l’obbligo di assicurarsi contro il terremoto è stato fatto nel 2012 dal governo di Mario Monti, in occasione della riforma della Protezione Civile, ma il progetto non fu mai convertito in legge. La posizione dell’attuale Governo è di sostanziale chiusura verso questa ipotesi: “L’assicurazione obbligatoria sulle abitazioni – ha spiegato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi a margine di un incontro sul piano Casa Italia – non è oggi la soluzione giusta. Non possiamo gravare di ulteriori spese la classe media, a maggior ragione visto che abbiamo tolto la tassa sulla prima casa. Oggi il tema dell’assicurazione non è all’ordine del giorno”. 


LA PROPOSTA DEL CAT BOND EUROPEO

Come si accennava all’inizio, per continuare a essere l’assicuratore di tutti, lo Stato italiano dovrà sempre di più fare lo slalom tra gli innumerevoli paletti imposti dall’Europa alla spesa pubblica. L’Italia si appresta a chiedere all’Ue un margine di flessibilità sui conti, non una tantum, ma finalizzato agli investimenti. Su questo fronte una interessante proposta è stata recentemente avanzata da Alberto Quadrio Curzio, professore, economista nonché attuale presidente dell’Accademia dei Lincei. Intervenendo dalle colonne de Il sole 24 ore, Quadrio Curzio ha ipotizzato la creazione di un segmento del Piano Junker atto a finanziare investimenti in progetti di partenariato pubblico-privato. “Ancor meglio – ha affermato – sarebbe se la Bei emettesse una obbligazione di scopo per le ricostruzioni e prevenzioni su catastrofi, che potrebbe essere acquistata all’emissione dalla Bce”. Secondo l’economista, dovrebbero essere le stesse norme europee a “rendere obbligatoria l’assicurazione dei privati, fornendo però alle compagnie una garanzia riassicurativa pubblica, in parte nazionale e in parte sul bilancio europeo”.

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