SOLVENCY II ALLA RICERCA DI SVILUPPO
La cultura del rischio è la sfida più importante in vista della direttiva, ma serve un cambiamento di mentalità: da parte delle istituzioni, per una politica di crescita coerente, e da parte degli assicuratori, per una maggior capacità finanziaria. Il primo passo è l'adeguamento del capitale, con investimenti pubblici e privati in formazione
25/03/2015
Non solo modelli, procedure, attività e requisiti. Il traguardo Solvency II può essere raggiunto solo con un cambio di mentalità di tutti gli attori coinvolti: le istituzioni, le assicurazioni e il mondo finanziario in generale.
“Per agevolare l’adeguamento alla nuova normativa – spiega Paolo Garonna (nella foto in apertura), segretario generale di Febaf – serve prima di tutto un forte investimento in formazione: dei consigli di amministrazione, dei risk manager, dei cfo e cio, ma anche dei policy maker, dell’opinione pubblica e dei media. Senza questo primo fondamentale tassello, rischiamo di arrivare a questo appuntamento impreparati”. Tra gli operatori, i più attivi in questo senso restano le associazioni di categoria: “sia Abi sia Ania stanno facendo molto, anche col sostegno della Febaf”.
A essere chiamate in causa, le istituzioni, sia nazionali sia europee. “Partendo dall’Europa, per arrivare al terreno nazionale, si doveva promuovere la formazione attraverso la leva dell’agevolazione fiscale, ma su questo registriamo un ritardo importante da parte di entrambe le istituzioni. Così non è stato, in altri casi, ad esempio quello dell’allargamento dell’Europa o della moneta unica, quando si è lavorato per incentivare l’adeguamento e la necessaria modernizzazione. Con Solvency, invece, si dà tutto per scontato”.
Le ragioni di questo diverso approccio risiedono nel fatto che la normativa, che fra nove mesi entrerà in vigore, è associata all’Europa e, dunque, vista come qualcosa di astratto. “Solvency – conferma Garonna – è considerato un problema europeo e, quindi, lontano. A questo si aggiunge l’incapacità di portare avanti in parallelo regolazione e sviluppo in modo coerente: se da un lato, la regolamentazione procede in modo spinto, imponendo alle imprese di aumentare i requisiti di capitali, gli accantonamenti e le riserve, dall’altro, ci si lamenta che le assicurazioni non investono a sufficienza nell’economia. C’è un’evidente contraddizione in questo”.
CREARE MERCATO
In questo senso, sottolinea il segretario generale di Febaf, è mancata una regia in grado di gestire il trade off che si è aperto, soprattutto dopo la crisi, fra stabilità e sviluppo creando un “circolo vizioso in cui gli eccessi della regolamentazione hanno impedito un governo coerente dello sviluppo”.
Ancora una volta, a essere chiamate in causa, sono le istituzioni: “se è vero che le Autorità devono essere indipendenti dalla politica, dalle lobby e dall’industria, devono anche essere consapevoli del fatto che, senza mercato e sviluppo, la stabilità non serve a niente”.
FARE BUONA FINANZA
Anche le assicurazioni, però, devono fare la loro parte. “Fino a oggi – spiega Garonna – è stato talora considerato un vanto avere un’industria assicurativa finanziariamente arretrata, ma questo atteggiamento è sbagliato: le assicurazioni devono fare buona finanza, spostando, con le opportune cautele, la gestione degli attivi dal debito pubblico agli investimenti sulle Pmi e sull’economia reale. Questa sfida va affrontata sviluppando cultura finanziaria e portando avanti, in parallelo, l’integrazione tra banche, assicurazioni e industria (soprattutto su temi quali sanità e scatole nere), così come la modernizzazione tecnologica”.
E, restando sul fronte assicurativo, la strada da intraprendere, a livello comunitario, passa per l’integrazione dei mercati assicurativi. “Oggi – sottolinea Garonna – abbiamo 28 regimi assicurativi, disciplinati in modo diverso in materia di fisco, regolamentazione, supervisione e controllo. Ma, come il settore bancario ha un unico Regolatore e un unico sistema di garanzia dei depositi, così anche quello assicurativo deve tendere verso un mercato unico dei servizi assicurativi in Europa, partendo dall’armonizzazione dei sistemi fiscali e regolamentari. In questo, l’industria assicurativa italiana è tra le più aperte ed esposte ai processi di internazionalizzazione e non è affatto spaventata dai processi di cambiamento; tuttavia, è necessario che sia i mercati sia le istituzioni spingano in quella direzione, attraverso uno scatto di capacità e velocità”.
In sintesi, quindi, la cultura del rischio è il pendant della cultura dello Stato: “non abbiamo ancora una cultura pubblica che si faccia garante di quei rischi che il mercato non è in grado di assumersi; a questo si aggiunge una tassazione penalizzante, che finora ha guardato al settore assicurativo come a un bancomat da cui attingere risorse senza preoccuparsi di penalizzare il risparmio assicurativo. Il primo vincolo, però – conclude – resta l’adeguamento del capitale umano: su questo, si gioca il futuro di Solvency anche se, a oggi, lo Stato è il grande assente e le uniche iniziative sono quelle private e associative, quali la nuova Fondazione sull’educazione finanziaria e al risparmio”.
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