PREVIDENZA, UNA RISPOSTA AL BISOGNO DI PROTEZIONE
Nella gestione del risparmio il settore assicurativo può trovare nuovo slancio, ma senza dimenticare la propria ragione sociale: proteggere il consumatore. Intanto, ai player del comparto si chiedono nuovi contributi per la crescita del Paese
06/06/2017
Per convincere gli italiani a investire i propri (tanti) risparmi, la tecnica migliore da usare non è infondere la paura, per il semplice motivo che la paura c’è già e non sta producendo grandi risultati.
La quasi totalità (il 97%) dei risparmiatori italiani intervistati dalla società di ricerche Demia, all’investimento chiede soprattutto protezione. Di fronte a questa parola, il settore assicurativo dovrebbe scattare e battere un colpo per far sentire la propria presenza. Tuttavia non sempre è così, e il comparto rischia di sprecare quel credito che i consumatori ancora gli concedono, puntando su prodotti che scaricano il rischio sull’assicurato. Ma del resto, questo prolungato periodo di stagnazione dei tassi, inedito nella storia dell’economia mondiale (e che non accenna a finire) continua a mettere a dura prova il settore vita e previdenza, intralciando anche i piani più nobili di compagnie e fondi pensione, chiamati da un lato a offrire protezione al consumatore e, dall’altro, a contribuire alla crescita del Paese.
Secondo Ugo Loser, ad di Arca Sgr “la strada maestra per la previdenza è la creazione della capital market union: una svolta che ci consentirà la portabilità dei fondi aperti e le fusioni per consolidare il mercato, così da poter investire diversificando meglio”. Dal 2015, i tassi sono stati molto negativi e investire in economia reale per un fondo pensione è diventata una buona opportunità: “tuttavia – continua Loser – la dimensione del mercato è ancora scarsa”.
DUEMILA MILIARDI DAL PEPP
Diversificazione sembra quindi la parola magica in un settore che di magico ha poco. Come noto, la previdenza complementare in Italia ha un giro d’affari ancora scarso, pari a circa 150 miliardi di euro, secondo quanto si legge nell’ultimo Bilancio del sistema previdenziale italiano, curato da Alberto Brambilla di Itinerari Previdenziali. Al contrario di quanto s’immagina, però, in Europa le cose non stanno andando molto meglio, soprattutto se escludiamo dal computo il Regno Unito, patria della pensione privata.
Nathalie Berger, responsabile dell’unità che si occupa di assicurazioni e pensioni presso la Commissione Europea, ha recentemente ricordato che “soltanto il 27% dei cittadini europei di età compresa fra 25 e 59 anni ha volontariamente sottoscritto un piano pensionistico”.
Il welfare legato alla previdenza è del resto da tempo al centro dei piani della Commissione, che immagina di risollevarlo con il Pepp, il piano pensionistico paneuropeo che, secondo la previsione di Bruxelles, potrà raccogliere oltre 2.000 mila miliardi di euro nei prossimi anni: ma la strada da percorrere resta ancora lunga. La Commissione ha iniziato a lavorare su diverse opzioni normative che però, è il timore degli operatori, rischiano di sovrapporsi alle legislazioni dei singoli Paesi. “Il nostro obiettivo – ha precisato Berger – è quello di rendere più efficaci le legislazioni nazionali, dando agli stakeholder uno strumento utile a costruire prodotti che possano essere venduti ovunque in Europa, all’interno di un mercato unico per piani pensionistici”.
LO IATO TRA COSCIENZA E INTENZIONE
A parole, i cittadini europei accoglierebbero favorevolmente questo tipo di prodotto previdenziale. Il 70% delle associazioni dei consumatori continentali, ha fatto sapere Eiopa, dichiara di volere prodotti innovativi e, specificatamente, un nuovo tipo di strumento capace di superare le frammentarietà nazionali, che sappia essere semplice, standardizzato e di lungo periodo.
Sulla carta emergono potenzialità e prospettive interessanti, alimentate anche dalle iniziative recenti delle istituzioni nazionali. “Con la diffusione della Busta arancione – ha sottolineato Stefano Pironi, senior product manager di Gfk – le famiglie italiane hanno iniziato a prendere coscienza del tema. Ma i dati ci dicono che a una presa di coscienza non corrisponde una maggior intenzione di ricorrere a prodotti previdenziali strutturati”. La gestione patrimoniale integrata non può prescindere dall’allocazione di risorse in protezione e dalla conseguente riduzione dell’accumulo del risparmio. In altre parole: con il fai da te non si va più da nessuna parte.
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