AGENTI E COMPAGNIE, UN MATRIMONIO DI INTERESSE?
L'editoriale dell'edizione di giugno 2017 di Insurance Review
11/06/2017
L’assicurazione è un mercato di offerta e non di domanda. È una convinzione diffusa, che contraddice i tanti sforzi delle compagnie per sovvertire un paradigma consolidato negli anni, per suscitare la domanda, sensibilizzare la clientela e renderla maggiormente consapevole verso il bisogno di coperture assicurative.
Una convinzione da cui consegue anche che l’agente continua a fare un lavoro duro, attraverso cui, giorno dopo giorno, deve “strappare” a fatica la sottoscrizione della polizza da parte del cliente. Il tutto senza perdere di vista la necessità di far quadrare i conti dell’agenzia, condizionata da costi che aumentano tra quote di mercato che vanno via via erodendosi e richieste delle compagnie. E questo giocare in prima persona, su un campo fitto di difficoltà, esprime, secondo molti intermediari, un rapporto di naturale distanza tra agenti e compagnie: un matrimonio di interesse e non di amore.
In quest’ottica, le rappresentanze di categoria dovrebbero allora operare, secondo alcuni, su posizioni conflittuali per definizione, dove la mandante non può che essere una controparte da combattere.
Le tante iniziative delle compagnie dovrebbero allora strapparci un sorriso, considerando il digital, la centralità degli agenti nei processi di innovazione (per non parlare del contributo delle Insurtech e start up varie) come un miraggio lontano.
Il sorriso, poi, può trasfromarsi in stupore quando, nonostante gli investimenti profusi per sistemi paperless e Crm, i rappresentanti delle reti agenziali, in generale, dichiarano ripetutamente che gli strumenti messi a loro disposizione non solo non aiutano nella relazione con il cliente, ma nemmeno servono a migliorare l’attività quotidiana (e anzi, a volte la bloccano).
In questo contesto, stando al peso che ancora detiene il canale agenziale nell’assicurazione “omnichannel”, il valore della distribuzione non può che provenire (almeno fino a oggi) dalla capacità degli agenti di presidiare il territorio e la popolazione che vi abita.
Non tutti gli agenti sono consapevoli che non bisogna temere la digitalizzazione, ma nemmeno trascurarla. Proprio perché i confini del territorio conosciuto non sono più gli stessi.
Ecco allora che la “politica della contrapposizione” dovrebbe tener conto del fatto che la centralità delle reti agenziali passa, inevitabilmente, dalla loro capacità di seguire, e anche in pochissimo tempo, una trasformazione radicale con cui tutte le compagnie si stanno confrontando.
Se proprio il matrimonio non può che essere generato dall’interesse, come qualcuno sostiene, sarebbe dunque più saggio, per la categoria intera, che una parte (gli agenti, tutti) si presentasse compatta e unita verso la “controparte” (le compagnie), dimostrando di essere davvero coesa almeno nei contenuti fondanti che la anima. Pur nelle diversità di visione, le rappresentanze sindacali sarebbero così in grado di affrontare un’evoluzione che sembra epocale, ineludibile, affermando la propria identità basata su valori comuni da difendere.
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