ALLA RICERCA DEL SISTEMA PREVIDENZIALE IDEALE
Viaggio intorno al mondo per analizzare gli schemi pensionistici, scoprire quali sono le caratteristiche che li rendono più forti e capaci di proiettarsi nel futuro. Allianz mette in fila i migliori e i peggiori, quelli più completi e quelli che hanno ancora bisogno di riforme

08/04/2025
👤Autore:
Fabrizio Aurilia
Review numero: 122
Pagina: 32-33
☁Fonte immagine: © Inside Creative House- iStock
Il mondo è pieno di sistemi pensionistici: dai modelli tipici dell’Europa occidentale, dove il pilastro pubblico è preponderante sugli altri di natura privatistica, fino a quelli più liberisti, dove la capitalizzazione e il ruolo dei privati sono essenziali per gli assegni pensionistici. Ma qual è, se esiste, “lo schema pensionistico ideale”? Rispondere a questa domanda è quasi impossibile, ma Allianz, nel suo Global Pension Report, lo studio che analizza 71 sistemi pensionistici in tutto il mondo e che indica il livello di “urgenza per una riforma della previdenza”, ci prova: secondo la compagnia il modello ideale è “quello che tiene insieme sistemi a ripartizione con solidi pilastri finanziati dal capitale”. I paesi che li combinano sono quelli “meglio preparati a resistere al cambiamento demografico e a governare l’equilibrio tra sostenibilità e adeguatezza nel lungo periodo”.
UN’ITALIA MEDIA
Per valutare l’adeguatezza degli schemi pensionistici nazionali, Allianz ha creato un indice (Allianz Pension Index) composto da tre pilastri: un’analisi della situazione demografica e fiscale, una valutazione della sostenibilità, che considera, per esempio, il periodo di finanziamento e contribuzione, e una verifica sull’adeguatezza del sistema, che comprende la copertura e i livelli del montante pensionistico. All’interno di questi tre pilastri, l’indice prende in considerazione 40 parametri, con punteggi compresi tra uno (nessuna necessità di riforma) e sette (acuta necessità di riforma).
L’Italia, in questa particolare graduatoria, ha un valore di 3.4, così come la Francia, la Svizzera e il Lussemburgo, lontana dal 2.3 della Danimarca, ma anche lontanissima dal 5.0 dello Sri Lanka. Il nostro paese, è quindi esattamente in mezzo.
LE RIFORME MANCATE, ANNUNCIATE, DEPOTENZIATE
Il punteggio medio complessivo dei 71 paesi analizzati per l’edizione 2025 dell’indice è di 3.7, in leggerissimo peggioramento rispetto alla scorsa edizione (3.6): ci sono stati alcuni movimenti, “ma non sempre nella giusta direzione”, precisa Allianz.
Dall’ultimo report di due anni fa, i sistemi pensionistici globali sono cambiati, ma non sono sempre andati verso una maggiore sostenibilità e adeguatezza a lungo termine. La buona notizia, scrivono gli analisti, è che un numero crescente di paesi intende adeguare le proprie età pensionabili agli sviluppi dell’aspettativa di vita. Ci sono stati miglioramenti nel garantire una transizione più flessibile dal lavoro alla pensione e per mantenere più a lungo lavoratori anziani nel mercato del lavoro, una tendenza in alcuni casi accelerata dalla carenza sempre più evidente di lavoratori qualificati nel mercato del lavoro.
Tuttavia, in alcuni casi, le riforme pensionistiche che erano state annunciate e adottate sono state depotenziate dai governi o la loro attuazione è stata posticipata. Inoltre, nel caso di alcuni paesi europei, i sistemi a ripartizione sono tornati popolari poiché l’afflusso di rifugiati e migranti negli ultimi anni ha frenato il ritmo dell’invecchiamento della popolazione. In ogni caso, scrive Allianz, l’immigrazione non sarà sufficiente a proteggere i sistemi pensionistici finanziati a ripartizione: “fare affidamento sull’immigrazione – si legge nel report – potrebbe persino ritorcersi contro a lungo termine poiché la competizione per i lavoratori qualificati è destinata ad aumentare”.
PROGETTARE UN MODELLO CHE FUNZIONI
Guardando la lista dei paesi analizzati, si incontra subito un piccolo gruppo, come Danimarca, Paesi Bassi e Svezia, che con un punteggio complessivo al di sotto di 3.0 (rispettivamente 2.3, 2.6 e 2.6) se la cavano relativamente bene perché hanno impostato la rotta per la sostenibilità in tempo utile adottando sistemi a capitalizzazione. Anche il Giappone è in questa lista, con un valore di 2.7, ma il risultato è stato raggiunto con un approccio ben diverso, puntando sulla longevità dei lavoratori. Già oggi, un terzo dei 65-70enni è impiegato: nei prossimi anni, si prevede che l’età pensionabile effettiva nel paese salirà a 70 anni.
Il gruppo più ampio è costituito da paesi con un punteggio complessivo inferiore a 4.0: in questo insieme ci sono molti paesi europei come Germania (3.3), Francia (3.4) e Italia, i cui sistemi pensionistici hanno finora adottato solo misure cautelative in relazione al loro finanziamento: il sistema a ripartizione prevale e più l’invecchiamento della popolazione accelera più aumenta l’urgenza per una riforma. È proprio il caso dell’Italia, che presenta un valore di ben 5.3 in corrispondenza del parametro sull’invecchiamento della popolazione.
Infine, il terzo gruppo include molti paesi in via di sviluppo, come Malesia (4.7), Colombia (4.2) e Nigeria (4.3), il cui principale problema non è tanto la progettazione del sistema pensionistico in sé, quanto la sua portata limitata: la quota di dipendenti informali, esclusi quindi dalla contribuzione, è solitamente superiore al 50%. In questi paesi, sono quindi necessarie riforme del mercato del lavoro di vasta portata per creare le basi per un sistema pensionistico completo ed evitare che lo stesso sistema diventi un altro fattore che aumenta la disuguaglianza.
INCLUSIONE FEMMINILE: UNA NECESSITÀ
Il cambiamento demografico è una realtà, l’aspettativa di vita è in continuo aumento mentre i tassi di natalità continuano a diminuire. Per quanto riguarda l’Europa, secondo gli analisti del Global Pension Report di Allianz, sarà fondamentale sfruttare ancora meglio il potenziale esistente in termini di forza lavoro: a partire dall’inclusione sempre più ampia delle donne, non solo part-time, che devono essere sgravate dall’assistenza all’infanzia e dalle mansioni di caregiving familiare, per arrivare ai dipendenti più anziani, che nei luoghi di lavoro ancora troppo spesso subiscono discriminazioni basate proprio sull’età, passando per la formalizzazione del lavoro degli immigrati.
Negli ultimi cinque anni, quasi il 90% degli 1,6 milioni di nuovi posti di lavoro soggetti a contributi previdenziali in Germania sono stati occupati da immigrati: anche se non tutti gli immigrati hanno trovato subito un lavoro, “le migrazioni hanno aiutato molto”, ribadisce Allianz.
Tuttavia, come già accennato, non potremo più contare su questi numeri in futuro, semplicemente perché nei principali paesi di origine ci sono sempre meno candidati disposti a emigrare.
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