WELFARE, COSA NON FUNZIONA
La tenuta dell’assetto pensionistico durante la pandemia di coronavirus non deve far abbassare la guardia: il nostro sistema resta fragile. Itinerari Previdenziali, all’ultima edizione del Salone del Risparmio, ha analizzato tre criticità: spesa assistenziale, andamento demografico e sviluppo del pilastro integrativo
23/06/2022
È difficile prevedere come la guerra in Ucraina potrà impattare sull’assetto previdenziale italiano. Certo è che il nostro sistema delle pensioni, checché se ne dica, ha mostrato negli ultimi anni una certa capacità di tenuta e resilienza. Se n’è avuto prova recentemente con la pandemia di coronavirus, come si è discusso in occasione dell’ormai tradizionale appuntamento di Arca Fondi al Salone del Risparmio con il mondo della previdenza.
Punto di partenza della riflessione è l’assunto che il nostro sistema previdenziale, nonostante tutte le difficoltà, ha retto bene l’urto della pandemia. Come hanno illustrato Alberto Brambilla, presidente del centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali, e Alessandro Bugli, membro del centro studi e partner dello studio legale Thmr, la spesa pensionistica nel 2020 è cresciuta ed è arrivata a toccare quota 234 miliardi di euro, ma non è esplosa come molti temevano. Il saldo fra entrate e uscite, al netto delle tasse, si è mantenuto positivo e anche il rapporto fra lavoratori e pensionati, seppur in deterioramento, non è crollato.
IL PESO DELL’ASSISTENZA
Tutto bene, dunque? Non proprio, perché per il welfare state permangono ancora molte sfide. Il centro studi ne ha analizzate tre: spesa assistenziale, andamento demografico e sviluppo della previdenza integrativa.
Sul primo punto, la posizione del centro studi è nota da tempo: la spesa assistenziale è pressoché fuori controllo. Nel 2020 la spesa per interventi contro la povertà è ammontata a 144 miliardi di euro, registrando una crescita del 56,53% sul 2008. Numeri ingenti, totalmente a carico della fiscalità generale, che smentiscono almeno in parte l’opinione comune secondo cui l’Italia spende poco per le prestazioni di welfare. I dati di Itinerari Previdenziali ci dicono tutt’altro: il nostro sistema di prestazioni sociali è generoso, forse fin troppo generoso, al punto tale da mostrare in alcuni casi una certa vulnerabilità. Sicuramente, però, non è un sistema efficiente: nel 2020, nonostante tutti i soldi spesi, si contavano in Italia oltre 5,6 milioni di persone in condizioni di povertà, più del doppio rispetto al 2008.
LA SFIDA DEMOGRAFICA
Altro tasto dolente è poi quello dell’andamento demografico. Il calo della natalità e il contestuale allungamento della speranza di vita stanno portando a un rapido invecchiamento della popolazione: di questo passo, secondo le previsioni di Itinerari Previdenziali, il modello pubblico di welfare si troverà costretto a rivedere molte delle promesse che era in grado di mantenere almeno fino a pochi decenni fa.
Anche l’andamento economico non sembra favorevole. La crescita dei salari è praticamente ferma da anni, la produttività resta scarsa, il livello di occupazione rimane ben al di sotto della media europea e il tasso di variazione annuale del Pil, eccezion fatta per il rimbalzo registrato nel 2021 dopo la crisi pandemica, è ormai ancorato a percentuali da prefisso telefonico (quando le cose vanno bene). L’unica cosa che aumenta è il debito pubblico. Difficile, con questi numeri, poter pensare a generose prestazioni previdenziali nel prossimo futuro.
IL NODO DELLA PREVIDENZA INTEGRATIVA
La ricetta del centro studi per preservare l’attuale modello di welfare è semplice: rafforzare (e parecchio) il pilastro pubblico delle prestazioni sociali. Peccato però che proprio questo costituisca l’ennesimo elemento critico: in Italia il settore della previdenza complementare resta ancora poco sviluppato. I numeri, a onor del vero, sono in crescita ormai da anni, ma non hanno ancora raggiunto quella massa critica di iscritti e risorse che potrebbe garantire una maggiore sostenibilità del sistema e, non secondariamente, assegni previdenziali più sostanziosi. Le adesioni a forme di previdenza complementare, a tal proposito, si fermavano nel 2020 appena sopra la soglia dei 9,3 milioni di iscritti: ancora troppo pochi su una platea potenziale di oltre 23 milioni di lavoratori.
A pesare è forse ancora una certa mancanza di dimestichezza con la materia. Una proiezione del centro studi ha calcolato che basterebbero poco meno di 40 euro al mese per costruirsi una rendita integrativa del 10% su un reddito da 15mila euro.
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