SVEGLIARE LA POLIZZA CHE DORME
L'Ivass getta un faro sulle assicurazioni vita sottoscritte e mai riscosse: un fenomeno da oltre quattro milioni di contratti che valgono più di 190 miliardi di euro. E che rischiano di finire al fondo rapporti dormienti
29/10/2017
Ci sono, ma non si vedono. E, soprattutto, non vengono incassate dai legittimi beneficiari. Sono le cosiddette polizze dormienti, contratti assicurativi vita sottoscritti e mai più riscossi. Che rischiano ora di confluire nelle casse dello Stato: una volta scaduti i termini per la prescrizione, che arriva fino a dieci anni dalla scadenza della polizza o dal decesso dell’assicurato, le somme vengono infatti devolute al Fondo rapporti dormienti istituito presso la Consap.
Un fenomeno sommerso, spesso dimenticato nel flusso frenetico dell’attualità. E che sembra assumere dimensioni ben più grandi di quello che ci si potrebbe aspettare. Lo testimonia una recente indagine dell’Ivass, che ha passato al vaglio le polizze di ramo I, III e V emesse negli ultimi anni dalle 52 compagnie operanti nel settore. Quello che emerge dalla ricerca, avviata lo scorso 8 febbraio con una lettera al mercato, è l’immagine di un fenomeno che, per dimensioni ed entità, sembra quasi assumere le forme di un mercato parallelo.
IL GRANDE SONNO
Secondo l’indagine, dal 2012 al 2016 si sono contate oltre quattro milioni di polizze scadute e, pertanto, potenzialmente esposte al rischio di dormienza: il giro di affari, stando alla ricerca, supererebbe i 190 miliardi di euro. Altre 117 mila polizze a vita intera, che non hanno quindi una scadenza predefinita, sono state sottoscritte da persone con più di 90 anni d’età (12 miliardi di euro di somme assicurate): di queste, ben 2.636 contratti, che valgono 518 milioni di euro, sono stati emessi a ultracentenari. E ancora, 540 mila polizze sono state stipulate da almeno dieci anni, senza che le compagnie abbiano avuto notizie dell’assicurato negli ultimi tre anni. Numeri di un fenomeno che appare ancora in cerca di una soluzione.
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Il PESO DELLE TCM SCADUTE
A pesare, nel bilancio complessivo della ricerca, sono soprattutto le polizze Tcm. Secondo l’indagine, a questo genere di soluzioni si attesta il 95,2% dei contratti potenzialmente dormienti e, conseguentemente, il 76,3% delle somme assicurate.
In termini assoluti, si contano 3.912.632 polizze Tcm scadute negli anni fra il 2012 e il 2016, pari al 58,2% dei contratti emessi nello stesso periodo: giusto per avere un’idea, solo nello 0,6% dei casi la compagnia ha provveduto a effettuare la prestazione a favore dei beneficiari.
Per quanto riguarda gli importi, le somme assicurate potenzialmente dormienti si attestano a quota 145,1 miliardi di euro (60,1% del totale). Il rapporto precisa tuttavia che le cifre indicate potrebbero essere significativamente superiori rispetto alla realtà, in quanto il dato include anche “i casi di chi giunge in vita alla scadenza del contratto”. Inoltre, prosegue la ricerca, le somme indicate fanno riferimento “ai capitali inizialmente assicurati (cioè al valore del capitale fissato all’atto della stipulazione del contratto) e quindi non considerano i casi di diminuzione del valore, proprie delle garanzie assicurative a copertura del debito residuo”.
MEGLIO AVERE UNA SCADENZA
Più contenuto (e non potrebbe essere altrimenti) l’impatto degli altri tipi di assicurazione, etichetta generica che racchiude tutti i contratti a scadenza in cui la compagnia è sempre tenuta a pagare una prestazione. A frenare il rischio di dormienza, spiega il rapporto, sono soprattutto gli obblighi normativi di comunicazione che “agevolano il contatto periodico con il contraente/assicurato e quindi la conoscenza del suo eventuale decesso”. In questo contesto, non stupisce che le prestazioni liquidate rappresentino il 96,6% dei contratti emessi.
L’incidenza delle polizze dormienti si ferma a un contenuto 2,6%: tradotto in numeri, si tratta di 198.828 contratti che valgono potenzialmente 45,1 miliardi di euro. Anche in questo caso, il valore delle soluzioni dormienti potrebbe essere minore rispetto alle stime, visto che “circa la metà di tale importo è riconducibile ai contratti scaduti nel 2016 per i quali si ritiene che, almeno una parte, siano relativi a liquidazioni poi effettivamente avvenute nel 2017”.
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PUÒ CAUSARE SONNOLENZA
Oltre al tipo di polizza, tante sono le ragioni che stanno alla base della crescita del fenomeno. Innanzitutto, rileva il rapporto, c’è l’opzione del premio unico: con il saldo del contratto al momento della sottoscrizione, spiega la ricerca, “il rapporto assicuratore-contraente/assicurato si esaurisce spesso in tale momento”. E, pertanto, si limitano le occasioni per verificare lo stato di salute del cliente.
Il rischio permane tuttavia anche nel caso di contratti a premi annui, visto che un’eventuale sospensione del pagamento, dovuta magari al decesso del contraente, può essere interpretata come la semplice volontà di non proseguire il rapporto assicurativo.
Altro fronte critico è quello dell’identificazione e della ricerca dei beneficiari. Innanzitutto perché spesso i beneficiari stessi non sanno di esserlo. E poi perché la loro indicazione può avvenire anche attraverso formule generiche, come eredi testamentari o eredi legittimi, che non agevolano una chiara definizione dei destinatari della somma.
NON SUONA LA SVEGLIA
In questo contesto, pesa (e parecchio) la progettualità delle compagnie. O, per meglio dire, una sostanziale assenza. Secondo il rapporto, su un campione di 52 imprese assicurative, soltanto tre società hanno adottato procedure strutturate per l’accertamento dei decessi e la ricerca di beneficiari. Altre 14 hanno ammesso di non aver implementato procedure per verificare, prima della denuncia di sinistro, se l’assicurato sia ancora in vita. E tutto il resto, ben 35 compagnie, dispone invece di modelli procedurali totalmente inadeguati allo scopo.
Evidenze che, alla luce dei risultati presentati nella ricerca, non sembrano così sorprendenti. E che restano a testimonianza di una sveglia che, per le polizze dormienti, deve ancora suonare.
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