CORONAVIRUS, RIPARTENZA FRA INCERTEZZE
Nonostante le positive prospettive di crescita per l’Italia, l’ultimo rapporto di Centro Einaudi e Intesa Sanpaolo mette in evidenza le fragilità lasciate dalla pandemia: inflazione, debito eccessivo e digitalizzazione. La ripresa non sarà dunque facile
27/09/2021
L’eredità del coronavirus sarà innanzitutto un mondo diverso. Lo si capisce già dalle piccole cose: lo scorso anno, per esempio, la vendita di completi grigi da uomo, tradizionale simbolo del lavoro impiegatizio e manageriale, si è più che dimezzata rispetto a quanto si registrava nel 2011. È una delle tante evidenze che emergono dall’ultima edizione del Rapporto sull’economia globale e l’Italia, progetto di ricerca curato dal Centro Einaudi in collaborazione con Intesa Sanpaolo. E prima ancora che un semplice fatto curioso, la crisi della classica giacca e cravatta è il sintomo di un mercato del lavoro che sta cambiando: in futuro, nell’epoca dello smart working, i colletti bianchi del secolo scorso potranno optare per delle più comode tute o felpe.
Il cambiamento porta sempre con sé qualche rischio. Ed è per questo motivo che le conclusioni del rapporto appaiono piuttosto caute sulle prospettive di ripartenza dell’Italia: nonostante una crescita del Pil stimata attorno al 5%, ben al di sopra di quanto si pensa che potrà fare il resto dell’Unione Europea, la ricerca evidenzia più volte che la ripresa non sarà facile.
FRAGILITÀ E INCERTEZZA
Le ragioni di questa cautela risiedono soprattutto sulle conseguenze di un mondo che, come recita il titolo del rapporto, è divenuto sempre più fragile. La pandemia di coronavirus sta lasciando alle sue spalle una scia di inflazione, debito eccessivo e digitalizzazione che non offre molte certezze. A tutto ciò si sommano poi cambiamenti a livello sociale e politico che, per quanto possano essere anche un fattore di cambiamento, generano insicurezze difficili da gestire. Il risultato è che il mondo si trova adesso ad affrontare quella che è stata definita “una nuova fragilità globale”. Insomma, quello che prima era sopportabile adesso rischia di diventare ingestibile.
Le ragioni di questa fragilità, a ben vedere, vengono da lontano. E trovano origine, secondo i curatori del rapporto, soprattutto nella perdita di certezze che si è generata con la grande recessione: quindici anni di crisi e stagnazione economica hanno portato difficoltà politiche, società spaccate e nuove fratture nel mercato del lavoro. La pandemia di coronavirus avrebbe dunque soltanto allargato solchi già presenti nel nostro tessuto economico e sociale, esacerbando una situazione resa già precaria da un decennio abbondante di mancata crescita.
NEET E DIGITALIZZAZIONE
Gli effetti della pandemia si faranno sentire soprattutto nel mercato del lavoro. E non soltanto per quanto riguarderà le scelte di abbigliamento di impiegati e manager. Il rapporto, a tal proposito, evidenzia che la digitalizzazione delle imprese metterà a rischio l’occupazione di 1,5 milioni di lavoratori finiti in cassa integrazione durante l’emergenza sanitaria: per loro non c’è soltanto di pericolo di non tornare mai più alla precedente occupazione, ma persino quello di trovare un impiego diverso in un mercato del lavoro che adesso, al tempo delle imprese digitali, richiede nuove competenze.
Secondo il rapporto, molte novità portate dalla pandemia sono destinate a restare ancora a lungo: dal commercio online e dallo smart working, per esempio, non si tornerà mai realmente indietro. La vera sfida è dunque quella di riuscire ad adattare il cambiamento alle esigenze della popolazione. Anche perché altrimenti si rischia di generare nuove fragilità. È il caso dei cosiddetti Neet, etichetta che raggruppa i giovani sotto i trent’anni che non studiano, non lavorano e non seguono corsi di formazione professionale. In Italia la categoria, già ampia prima dell’emergenza sanitaria, ha raggiunto la quota record del 22%. Si tratta del livello più alto d’Europa: in pratica, oltre due milioni di giovani non stanno facendo nulla per costruire il proprio futuro. E neppure quello della società.
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STRUMENTI PER LA RIPARTENZA
La questione dei Neet è emblematica delle sfide che l’Italia dovrà affrontare per imboccare una ripartenza che non sia soltanto di facciata. A ciò si aggiungono poi temi caldi come la sostenibilità ambientale, la digitalizzazione, la disuguaglianza economica, la parità di genere e le mai dimenticate riforme strutturali in materia di giustizia, fisco e burocrazia. Tutte questioni che, secondo il rapporto, devono essere risolte per garantire una vera ripartenza.
Questa volta, a differenza di quanto poteva avvenire in passato, ci sono però anche le risorse per superare questi ostacoli e garantire una crescita strutturale all’Italia. L’Unione Europea, com’è noto, ha messo a disposizione quasi 200 miliardi di euro. Altri fondi arriveranno poi da soggetti privati: Intesa Sanpaolo, per esempio, ha confermato in occasione della presentazione del rapporto che metterà a disposizione di famiglie e imprese crediti per 410 miliardi di euro nell’orizzonte di realizzazione del piano nazionale di ripresa e resilienza, il cosiddetto Pnrr. Tutto sta adesso a come saranno gestite queste risorse. La chiave, secondo i curatori del rapporto, sta nel riuscire a sfruttarle per gestire il cambiamento. Tornare indietro, tornare al punto di partenza, non sarà sufficiente per affrontare un mondo che cambia sempre più velocemente. Il rapporto ha evidenziato la necessità di interventi in formazione, aggiornamento delle competenze, ammodernamento dei tradizionali modelli di business e riqualificazione delle classiche attività industriali. Probabilmente anche qualche azienda tessile dovrà convertire il confezionamento di abiti formali da uomo nella produzione di tute e felpe.
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