FORTI E FLESSIBILI PER APRIRSI AL MERCATO

Anche le aziende italiane stanno beneficiando del progressivo accorciamento delle catene di fornitura, in atto tra le imprese europee, e registrano un livello di esportazioni in crescita. Flessibilità e corrispondenza alle normative sono punti di forza, ma secondo Marco Terzago, head of group risk control di Skf, per mantenersi competitive serve anche rafforzare la governance e la gestione dei rischi, puntare alla sostenibilità e affrontare il nodo dell’intelligenza artificiale

FORTI E FLESSIBILI PER APRIRSI AL MERCATO
Recentemente è uscita la notizia che il valore dell’export delle imprese italiane è al quarto posto a livello mondiale e ha affiancato quello giapponese. Alcuni elementi aiutano a inquadrare meglio il contesto di questo risultato. Innanzitutto, la crescita delle esportazioni è costante da almeno 10 anni, fatta salva la parentesi della pandemia. Inoltre, negli ultimi anni si è potuto contare sempre meno sulle esportazioni del settore automotive, fondamentale in passato per l’Italia e ora in una fase di declino di cui non si vede uscita. Infine, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da due macro-tendenze molto influenti quali la transizione energetica e la digitalizzazione, che hanno avuto un impatto sensibile sulle strategie e sui costi delle imprese.
C’è poi un fattore che ha contribuito negli ultimi anni alla crescita delle esportazioni delle imprese italiane ed è legato al più generale cambiamento in atto nelle supply chain globali. Per capire alcune delle ragioni per cui le catene di fornitura si stanno modificando basta tornare ai tempi della pandemia e ricordare le difficoltà di approvvigionamento dovute alla sospensione della produzione, particolarmente lunga in Cina, all’attività bloccata nei porti, al difficile reperimento delle materie prime, al corto circuito nel noleggio dei container. La normalizzazione è stata lunga e difficile, una fase complessa durante la quale si è aggiunto il blocco del canale di Suez per l’incidente alla nave cargo Ever Given (2021).
Quel periodo, più degli anni precedenti, ha fatto toccare con mano quanto le catene di fornitura lunghe e complesse siano in realtà fragili, soprattutto se costruite solo in base ad aspetti di convenienza economica. “Molti gruppi industriali si sono posti il problema di razionalizzare le supply chain e per questo hanno cercato fornitori più vicini, ottenendo da un lato una riduzione dei costi e dei rischi di lunghi trasporti e dall’altro una maggiore facilità di verifica diretta sulla loro attività”, spiega Marco Terzago, head of group risk control di Skf, multinazionale svedese nel settore dei cuscinetti volventi, tenute, meccatronica, servizi e sistemi di lubrificazione per il mercato industriale, automotive e aerospace. “Per le imprese – aggiunge – è infatti sempre più importante contare su fornitori che garantiscano non solo la qualità del prodotto e il rispetto dei tempi di consegna ma che allo stesso tempo possano ottemperare a requisiti oggi fondamentali come quelli legati alla sostenibilità, alla gestione dei rischi e alla sicurezza delle informazioni”.
Accorciare le catene di fornitura (local for local), puntando al reshoring o al nearshoring, le rende meno costose e più controllabili. Oltre ai costi, un tema fondamentale per le imprese è quello dell’affidabilità e della compliance del fornitore, “che viene ritrovata più facilmente in realtà già uniformate, anche se la Cina ha fatto enormi passi avanti verso un adeguamento normativo che risponda alle esigenze delle imprese europee”. Meno controllabili sono invece i fattori geopolitici, non ultimo il latente conflitto tra Cina e Taiwan.
Un ulteriore beneficio delle catene corte è la minore esposizione alle catastrofi naturali. Un caso che ha fatto scuola è stato il triple disaster di Fukushima, che ha colpito il comparto dei semiconduttori e ha fatto capire i rischi delle grandi concentrazioni di imprese del medesimo settore: “oggi, consapevoli del rischio, laddove è difficile dislocare e redistribuire le imprese, si sono trovate soluzioni rivedendo la politica sulle scorte ridotte al minimo e cercando fornitori alternativi. In tutti i casi, quando si parla di controllabilità del fornitore significa anche fare un’analisi dei suoi rischi”, osserva Terzago.

LIMITI E PLUS DELLE IMPRESE ITALIANE

In un contesto in cui il 70% del commercio globale si svolge nell’ambito di reti produttive internazionali, le imprese italiane, da sempre vocate all’export (anche per una certa debolezza del mercato interno) hanno beneficiato dell’accorciamento delle supply chain. “In Italia abbiamo catene di fornitura di eccellenza in molti settori che vanno protette. Le aziende italiane vivono più o meno gli stessi rischi delle altre, sono meno esposte ai rischi geopolitici ma di più al passaggio generazionale che garantirebbe la continuità. Rispondono ai paradigmi normativi e agli standard europei, inoltre mostrano una naturale capacità di essere flessibili e sono veloci nell’adattarsi a nuove opportunità di business. Pagano però in termini di solidità finanziaria e possono trovarsi in difficoltà se devono investire per aggiornarsi”. Inoltre, secondo Terzago, una delle ragioni che favoriscono le imprese italiane nelle nuove supply chain corte è il costo del lavoro, conveniente e allo stesso tempo associato a un’elevata qualità. Una condizione che però non mette al sicuro dalla crescita dei paesi dell’est Europa, ancor meno costosi e che stanno recuperando in termini di competenze.

L’IMPATTO DELLA TRANSIZIONE ENERGETICA E DELL’AI

La progressiva riorganizzazione delle catene di fornitura non può non considerare le due principali macro-tendenze globali che influiscono sul panorama produttivo, con i relativi impatti in termini di costi e di selezione dei fornitori: transizione energetica e digitalizzazione. La transizione energetica richiede scelte di adeguamento precise e l’adesione ai principi della sostenibilità lungo tutta la filiera. Dall’altro lato, le imprese di filiere come l’automotive o le energie rinnovabili si trovano a dover fare fronte alla carenza di materie prime critiche (terre rare, cobalto nichel) e di prodotti chiave come il rame e l’acciaio, per cui l’Europa dipende da Cina e India: “I prezzi hanno una volatilità estremamente elevata e si rendono necessarie politiche di finanziamento del rischio complesse, incluse le soluzioni di hedging che sarebbe utile fossero adottate più largamente dalle aziende italiane di prima trasformazione nella metalmeccanica”, specifica Terzago.  
Il secondo driver è quello della digitalizzazione, che include l’utilizzo di automazione e intelligenza artificiale, quest’ultima già applicata per agevolare l’attività lavorativa ma che può avere un ruolo positivo anche nell’ottimizzazione delle catene di fornitura: “per la sua capacità di analizzare velocemente grandi quantità di informazioni può contribuire alla semplificazione, a selezionare i fornitori utilizzando criteri più articolati, a equilibrare soluzioni volatili e complesse”. 

MENO RISCHI MA CONDIZIONI ASSICURATIVE PIÙ DURE 

Avere accorciato e semplificato le supply chain non è stato di per sé un vantaggio nei rapporti con il mondo assicurativo. Dopo la pandemia il mercato assicurativo si è fatto nell’insieme più difficile per una molteplicità di fattori, proprio nello stesso momento in cui si cercava di razionalizzare le catene di approvvigionamento: “Catene corte e ben controllate – afferma Terzago – migliorano le condizioni di assicurabilità. È però aumentata la complessità del mercato, e questo ha reso più difficile il trasferimento del rischio, come ad esempio poter estendere le coperture di business interruption a tutta la catena, con coperture del tipo Contingent business interruption. Abbiamo comunque riscontrato una certa disponibilità delle compagnie a ridurre i tassi a fronte di una precisa analisi del rischio del fornitore e a offrire per questo il supporto di loro specialisti interni. Nel frattempo, è migliorata la diffusione di soluzioni come le assicurazioni parametriche o l’hedging; permangono però costi elevati che rendono difficile per le Pmi dotarsi di coperture realmente efficaci a costi sostenibili”.
La situazione che stiamo vivendo mette sotto pressione le aziende e le supply chain e fa toccare con mano l’impellenza di un miglioramento dei processi di governance, risk e compliance, già obbligatori per le aziende quotate, anche per le Pmi non quotate. “Ai processi a supporto del raggiungimento degli obiettivi (governance), a quelli per individuare e gestire i possibili rischi (risk management) e a quelli per supportare il rispetto delle normative e delle regole che si applicano alla loro attività (compliance) – chiosa Terzago – le aziende dovranno aggiungere l’apporto determinante dell’intelligenza artificiale e dei big data per aumentare l’efficienza e la consapevolezza delle decisioni in un mondo sempre più fragile, poco comprensibile, ansioso e non lineare”.

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