FASHION ITALIANO, I RISCHI DEL MANCATO CONTROLLO SUI FORNITORI

Un recente caso di sfruttamento dei lavoratori in un’impresa terzista di grandi marchi della moda apre alla riflessione sul dovere di controllo da parte delle aziende sulla loro filiera. Le imprese rischiano un impatto negativo sulla reputazione del marchio e sulla responsabilità sociale, richiamata anche dai fattori Esg della sostenibilità. La risposta assicurativa è soprattutto in polizze D&O adeguatamente strutturate nelle garanzie

FASHION ITALIANO, I RISCHI DEL MANCATO CONTROLLO SUI FORNITORI
La Procura di Milano sta indagando sulla catena di fornitura di una dozzina di noti marchi di moda, in seguito a un provvedimento che ha posto sotto amministrazione giudiziaria una piccola società del gruppo francese Lvmh (che comprende etichette famose come Dior, Givenchy, Kenzo, Louis Vuitton e molte altre), indirettamente coinvolta in illeciti nel trattamento del personale.
Il Tribunale di Milano ha dunque disposto l’amministrazione giudiziaria per Manufactures Dior Srl, un’azienda del gruppo, che produce capi e prodotti di lusso per conto del noto marchio francese. 
L’amministrazione giudiziaria è un procedimento che affida la gestione di una società a un amministratore nominato dal tribunale, con il compito di correggere eventuali pratiche illecite.
Secondo i giudici, la Manufactures Dior non sarebbe stata in grado di “prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo” nelle aziende a cui subappaltava il lavoro, e quindi di contrastare il caporalato contestato a queste attività.
In pratica, quattro dei suoi fornitori, aventi sede nei dintorni del capoluogo lombardo, avrebbero attuato condizioni di lavoro illegali nei confronti della manodopera. I controlli effettuati dai magistrati hanno infatti permesso di accusare queste aziende di impiegare i propri operai per orari prolungati, costringendoli a lavorare fino a tarda notte e nei giorni festivi. Sembra che alcuni dipendenti dormissero nel luogo di lavoro, non avessero né contratti regolari, né il permesso di soggiorno.
Non si tratta della prima decisione di questo tipo: il tribunale lombardo aveva già adottato misure simili nei confronti di aziende di proprietà di Giorgio Armani e Alviero Martini Spa, per aver “colpevolmente omesso di vigilare adeguatamente sull’attività di alcuni suoi fornitori”.

NON SONO LE AZIENDE DELLA MODA A ESSERE SOTTO INCHIESTA

Bisogna sottolineare che né il gruppo Lvmh, né Armani o Alviero Martini sono direttamente sotto inchiesta: sono i fornitori coinvolti nell’indagine a essere accusati di sfruttamento dei lavoratori. 
E non parliamo di un fenomeno nuovo per le autorità italiane: la Procura di Milano indaga da molti anni su società di reclutamento, accusate di assumere illegalmente lavoratori, evadendo le tasse e i contributi previdenziali, allo scopo di ridurre quanto più è possibile i costi dei servizi forniti. 
In passato, a finire sotto lo scrutinio dei magistrati, erano settori come la logistica, i trasporti e i servizi di pulizia. Si trattava di aziende che attiravano l’attenzione delle forze dell’ordine perché nascevano e chiudevano nel giro di due anni al massimo. Ma recentemente l’attenzione si è spostata sull’industria della moda, dove le indagini hanno evidenziato problemi simili.

UN PROBLEMA PER UN SETTORE DI PUNTA DELL’ECONOMIA ITALIANA

La questione è che questo distretto rappresenta un fiore all’occhiello per il nostro paese. 
L’Italia copre infatti tra il 50% e il 55% della produzione globale di beni di lusso, con migliaia di piccoli produttori che servono grandi marchi e consentono loro di sfoggiare la preziosa etichetta Made in Italy sui loro prodotti.
È però saltato fuori che una grande casa di moda può vendere a più di 2.500 euro una borsa acquistata da uno di questi piccoli fornitori a poco più di 50 euro. 
Si potrebbe obiettare che non è certo colpa delle grandi firme se certi prodotti vengono loro venduti a così basso prezzo, ma la legge italiana impone alle aziende che esternalizzano la produzione di effettuare controlli sui propri fornitori. Si tratta di regole originariamente pensate per contrastare fenomeni di carattere mafioso, ma possono essere estese a quelle società nelle quali vi fosse il sospetto di gravi illeciti nei confronti dei lavoratori. 
La ricaduta sul piano reputazionale può essere dunque gravissima, soprattutto in un momento in cui tutte le aziende si affannano a promuovere il proprio grande impegno sulle problematiche inerenti alla sostenibilità sociale e al rispetto per le minoranze e le diversità.
Insomma, parliamo di una questione di responsabilità sociale non certo di poco conto.


© seeshooteatrepeat - Shutterstock

LA PROTEZIONE DEI DIRITTI DEI LAVORATORI

Al di là dei problemi connessi ai cosiddetti fattori Esg, comunque, la protezione dei lavoratori è un fatto che il nostro sistema giuridico affronta molto seriamente.
L’articolo 2087 del Codice civile (Tutela delle condizioni di lavoro) recita infatti: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Questa tutela non si limita ai dipendenti direttamente impiegati dalla società, perché la giurisprudenza la interpreta spesso in senso più ampio.
Bisogna tener conto del fatto che circa l’80% delle aziende italiane è costituito da microimprese, ovvero da società che hanno da tre a nove dipendenti. Il 18% circa sono imprese di piccole dimensioni, da 10 a 49 dipendenti, mentre le imprese medio-grandi (oltre i 50 dipendenti e da 250 in poi) rappresentano unicamente il 2% del panorama imprenditoriale italiano.
Questa caratteristica facilita un fenomeno di raggruppamento, più o meno diretto. Le imprese, infatti, devono necessariamente rapportarsi fra loro, al fine di favorire la produzione, con collegamenti più o meno forti, determinando la polverizzazione che distingue il nostro tessuto produttivo. Tale fenomeno aggregativo è ancor più fisiologico per quei gruppi di società che condividono la medesima filiera di produzione.
In questo contesto, la normativa lavoristica si trova sempre più spesso di fronte a fenomeni di compenetrazione di imprese, che possono risultare a discapito dei diritti dei lavoratori.
Insomma, potrebbe non bastare un reale collegamento fra persone giuridiche per ritenere che gli obblighi inerenti a un rapporto di lavoro subordinato non si debbano estendere a più società. Questo, probabilmente, è il motivo per cui queste grandi aziende di moda sono state accusate di omissione di vigilanza nei confronti delle attività svolte da alcuni loro fornitori, pur non avendo mai direttamente praticato illeciti in questo senso.
Per quanto attiene alla Manufactures Dior, dunque, la società non avrebbe effettuato gli opportuni controlli sulle aziende cui aveva appaltato la produzione della sua merce, che sarebbe stata realizzata da opifici cinesi nella provincia di Milano, nei quali venivano impiegati lavoratori in nero e senza adeguate condizioni di sicurezza sul lavoro. 
L’amministrazione giudiziaria, insomma, sarebbe orientata a evitare che la filiera produttiva includa appalti e subappalti con realtà imprenditoriali che adottano condizioni di sfruttamento dei lavoratori e che sono quindi illegali.


© Liuser - iStock

POSSIBILI RISVOLTI DI CARATTERE ASSICURATIVO

Nel momento in cui parliamo di responsabilità di fronte alla legge, è lecito chiedersi se la stessa possa essere oggetto di copertura assicurativa. In realtà è possibile che, qualora fosse individuato un comportamento illecito da parte degli amministratori di una di queste aziende, possa risponderne una polizza D&O. 
In questo caso, però, sarebbe opportuno controllare la definizione di assicurato, perché queste polizze sono molto precise nella definizione dei soggetti che beneficiano della copertura. Per chi avesse contratto una polizza D&O, dunque, è importante assicurarsi che la copertura si estenda il più possibile per includere l’intera filiera di produzione.
Questa polizza, inoltre, può comprendere un tipo di assicurazione, usualmente definita Epli (Employment practices liability insurance), o Rc datoriale, che copre i rischi legati al rapporto tra datore e prestatore di lavoro, tutelando l’azienda dalle eventuali richieste di risarcimento avanzate dal dipendente, in relazione ad atti o fatti illeciti, reali o presunti, inerenti al rapporto di lavoro subordinato.
In altri mercati questa polizza viene sottoscritta come stand alone, ma nel nostro è più facile trovarla come estensione all’interno di una D&O, anche se alcune polizze stand alone di Rc datoriale vengono comunque offerte.
Dal momento che abbiamo affrontato la questione della compliance con i principi Esg, infine, vale la pena tener conto di come la parte inerente ai rischi sociali possa essere affrontata sul piano assicurativo. Parliamo infatti della violazione dei diritti umani nella catena di fornitura, che si inserisce pienamente tra i fattori Esg, soprattutto se inerente alla salute e sicurezza dei lavoratori, a maggior ragione se parliamo di immigrati.
Anche in questo caso, sarebbe una polizza del tipo della D&O a operare, perché parliamo comunque di un problema derivante da scarsa governance aziendale, insomma dalla cattiva gestione della società, almeno per quanto concerne il controllo di fenomeni in contrasto con i valori Esg. Ciò compete inequivocabilmente a chi la società la amministra.
Questo punto apre una nuova frontiera nella sottoscrizione di queste polizze, che certamente i tecnici e gli assuntori delle compagnie stanno già prendendo in considerazione nell’ambito dei rischi emergenti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I più visti