ITALIANI, POPOLO DI INSICURI
La crisi e la precarietà del lavoro accrescono le paure nella popolazione. Quanto incidono i fattori sociali, i condizionamenti dei media, la capacità di reagire del singolo secondo Il Rapporto dell’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza
31/03/2013
L’insicurezza è uno dei sentimenti caratterizzanti della nostra società. La precarietà, il futuro incerto, le continue minacce alla sicurezza economica sono tutti elementi che minano dalla radice le certezze degli italiani. E così, anche per tracciare un profilo più dettagliato dei comportamenti della popolazione, è nata l’idea di uno studio apposito sul tema.
A gennaio l’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza ha presentato Tutte le insicurezze degli italiani, un’indagine, giunta alla sua sesta edizione, incentrata sulla percezione e sulla rappresentazione mediatica della sicurezza. Il Rapporto è un’iniziativa di Demos & Pi, Osservatorio di Pavia e Fondazione Unipolis, e si avvale della direzione di Ilvo Diamanti.
SENZA TROPPE CERTEZZE
Nel 2012 la popolazione italiana si è mostrata decisamente insicura, con un aumento di circa l’8% rispetto all’anno precedente della categoria con elevato grado di incertezza. L’origine di questa sofferenza è sicuramente la crisi economica che attanaglia i Paesi occidentali ormai dal 2008. Dalla crisi discende uno dei fattori che maggiormente turbano gli italiani: la disoccupazione. Praticamente un intervistato su due ha messo la mancanza di lavoro tra i problemi più impellenti da affrontare. Le difficoltà economiche restituiscono il quadro di una società spaccata: il 90% del campione descrive l’Italia come un Paese diviso profondamente dal punto di vista del reddito e della condizione sociale. Certo l’ottimismo non regna, dal momento in cui il 70% si considera nella parte meno ricca della nazione e l’80% della popolazione sostiene che le distanze chi ha troppo e chi ha troppo poco siano aumentate nell’ultimo decennio.
Parallelamente alla paura di perdere il lavoro, cresce quella di restare vittima di episodi criminali. Nonostante dal punto di vista mediatico il fenomeno sia meno presente nel dibattito pubblico rispetto agli ultimi anni pre-crisi e nonostante l’andamento della frequenza degli atti criminali sia sostanzialmente lo stesso da tempo. Probabilmente gli italiani avvertono con maggiore enfasi i cosiddetti reati minori che, effettivamente sono in aumento.
Ultima grande fonte di insicurezza sono le cosiddette paure globali che riguardano l’82% della popolazione. Sono quelle paure che non hanno un’origine specifica ma nascono dal contesto generale in quanto tale. Dall’impossibilità di interpretare con certezza i segnali provenienti dal mondo esterno e le direzioni verso cui la società sta muovendosi.
UN MALESSERE COMUNE
Tracciare un identikit della persona insicura è molto complesso. Soprattutto perché il sentimento, in forte espansione, riguarda larghe fette della popolazione. Certo, i numeri parlano di donne, anziani, persone dal basso livello di istruzione, residenti nel Mezzogiorno e precari. Ma a essere spaventate sono soprattutto le persone sole, che partecipano poco alla vita sociale e si rifugiano nell’intrattenimento offerto dalla televisione. Negli ultimi mesi, tuttavia, la paura si sta spostando anche in quelle classi sociali che prima godevano di maggiori certezze: gli imprenditori e i lavoratori autonomi. Mentre l’insicurezza legata alla criminalità fa breccia soprattutto al Nord.
Ormai non sono più immuni dalle paure nemmeno quelli che dedicano il loro tempo al volontariato, al territorio e quelli che navigano e partecipano in rete. Evidentemente stare più a contatto con il cuore pulsante della società trasmette un’immagine più veritiera, e in questo caso più forte, dei problemi reali.
ALLA RICERCA DI SOLUZIONI
Dalla ricerca emerge che gli italiani credono sempre meno nelle forme di protesta e nelle organizzazioni di rappresentanza quali mezzi per arginare le paure. D’altro canto cresce la sensazione di solitudine (nel 23% degli intervistati, +5% rispetto al 2011), anche in un mondo interconnesso come quello attuale. La stessa politica è percepita come un fattore di insicurezza in sé. La corruzione e il successo dell’antipolitica alimentano paure sulla possibile perdita di credibilità internazionale del Paese e sull’incapacità dei governanti nel fronteggiare la crisi.
TRA PERCEZIONE E RAPPRESENTAZIONE
Nell’illustrare i risultati della ricerca, Ilvo Diamanti usa immagini molto chiare. “Nel 2012 – dice il professore – la percezione e la rappresentazione dell’insicurezza si sono avvicinate ulteriormente tra loro. Ed entrambe riflettono (e si riflettono maggiormente nella) realtà. Anche perché nella realtà i diversi fattori di insicurezza si intrecciano e si rinforzano reciprocamente”. È il caso, come detto, della crisi economica, della mancanza di lavoro, dell’insicurezza globale e delle paure legate alla criminalità. “L’insicurezza – aggiunge – alimenta il senso di vulnerabilità perché rende difficile conoscere l’origine dei problemi. Tanto più trovare risposte e soluzioni. È una sorta di male oscuro che i cittadini faticano ad affrontare perché stentano a trovare appigli sociali”.
IL RACCONTO DEI MEDIA
La rappresentazione che i media fanno della società influisce in maniera importante sulla diffusione e sull’intensità della sindrome di insicurezza. Tutta la seconda parte del Rapporto, realizzata dall’Osservatorio di Pavia, è dedicata alla rilevazione delle notizie ansiogene in televisione, sia in Italia sia in Europa. Dai dati emerge con forza che la presenza di queste news nelle scalette dei telegiornali è calata del 22% negli ultimi dodici mesi. I tg continuano a prestare molta attenzione al tema della criminalità ma devono necessariamente fare i conti con le emergenze economiche che attanagliano il Paese. E così il racconto delle paure della società finisce per canalizzarsi in due tipologie di notizie, che si ripetono ciclicamente e scuotono comunque le coscienze: i drammi sociali, come i suicidi degli imprenditori in difficoltà o degli impiegati rimasti senza lavoro; e le vicende collettive, quali possono essere le crisi dell’Ilva e dell’Alcoa.
“La rappresentazione mediale – commenta Diamanti – appare oggi meno staccata dalla realtà e dalla percezione sociale. Anche perché le rappresentanze sociali hanno deciso di agire, in modo diretto, sulle rappresentazioni. Di intervenire sulla realtà sociale attraverso le immagini. Di realizzare la mediazione con i cittadini attraverso i media”. In pratica le rappresentanze sociali e politiche del Paese avrebbero appaltato in esclusiva al mezzo televisivo la rappresentazione dei problemi e delle paure degli italiani. Un gioco che deve fare i conti con due fattori: le regole della comunicazione e le incertezze della politica stessa. Politica che è di casa in tv ma che rischia di oscurare, a causa della crisi che colpisce lei stessa, l’insicurezza che pervade la società. Senza dare alcuna soluzione. “La società dell’incertezza – è questa la conclusione di Diamanti – di fronte allo specchio dei media rischia di non vedersi. Di non riconoscersi. Ma di scoprirsi più incerta”.
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