2019, IL RITORNO DELL’INFLAZIONE
Crescita dell’eurozona al 2% nei prossimi due anni, aumento dell’occupazione e dei salari, lenta normalizzazione della politica monetaria. Sono le previsioni di Morgan Stanley che sullo stato di salute dell’Italia mostra diversi segnali di ottimismo
05/06/2018
Obiettivo 2%. È l’ormai noto target fissato dalla Bce per l’inflazione nell’Eurozona. Quello che, una volta raggiunto, certificherebbe il buono stato di salute dell’economia continentale. E per il momento molti indicatori mostrano segnali che vanno verso questa direzione. L’inflazione sarà dunque la sorpresa del 2018? Ne è certo Daniele Antonucci, managing director e senior european economist di Morgan Stanley. In un intervento nel corso del Salone del risparmio, l’economista ha dato la sua chiave di lettura sull’attuale congiuntura, individuando tre grandi cambiamenti che hanno già preso avvio: l’output gap positivo, il rialzo dell’inflazione core e la fine del quantitative easing.
LA NORMALIZZAZIONE DELL’ECONOMIA
Secondo Antonucci l’economia europea si sta normalizzando. È in corso un processo di recupero del tessuto produttivo che si è ricostituito dopo la crisi. I principali fattori di innesco della ripresa sono stati la politica monetaria della Bce che ha inciso sui tassi di interesse, e il calo del prezzo del petrolio. Poi si sono aggiunti due moltiplicatori interni: la creazione di nuovi posti di lavoro (cinque milioni circa). Più persone che possono spendere il proprio reddito hanno spinto i consumi (e il Pil). “Abbiamo uno scenario solido – ha sottolineato – trainato dalla domanda interna attraverso due motori: i consumi e gli investimenti”. Il primo segno evidente di questa dinamica è il già citato l’output gap, vale a dire la capacità produttiva inutilizzata, che si è ridotta. Ora le fabbriche sono tornate a produrre a pieno regime. Di più. “L’utilizzo degli impianti industriali è ai massimi ciclici, molto vicino al record storico”, ha osservato Antonucci. E gli imprenditori hanno già iniziato a investire. A mostrarlo è il Capex (indicatore degli investimenti industriali), che è tornato ai livelli pre-crisi, ormai a un passo dalla media di lungo periodo.
LA (LENTA) CRESCITA DEI SALARI
“Ci sono molti elementi che spingono l’inflazione al rialzo”, ha osservato Antonucci facendo riferimento alla correlazione tra il tasso di disoccupazione e l’inflazione: “quando la disoccupazione è bassa l’inflazione tende a essere alta”, ha detto. Meno capacità inutilizzata, cioè meno disoccupazione, starebbe dunque lentamente spingendo verso una crescita dei salari. E una più rapida crescita dei salari indica una più rapida crescita dell’inflazione core (cioè depurata dalle componenti più volatili, come cibi freschi, energia, alcool e tabacco). “I salari – ha affermato l’economista di Morgan Stanley – stanno aumentando con la crescita della produttività. Molti lavoratori non se ne saranno ancora accorti perché la spinta dei salari all’inflazione sta avvenendo molto lentamente. Non c’è un boom delle retribuzioni. Attualmente i salari stanno impiegando fino a 12 mesi per trasferirsi sull’inflazione. Ma i segnali ci sono. Negli ultimi mesi sono avvenute sei grandi negoziazioni salariali nell’Ue (in Germania, Francia e Italia), e tutte hanno registrato una crescita degli stipendi”.
QUANTITATIVE EASING ALLE BATTUTE FINALI
Il terzo e ultimo aspetto di cambiamento rilevato da Antonucci è la fine del quantitative easing (Qe), il programma di acquisti di titoli di stato da parte della Bce. “L’emergenza non c’è più”, ha sentenziato Antonucci, aggiungendo che, ad ogni modo, “gli acquisti sarebbero finiti lo stesso”. La Bce, infatti, deve acquistare obbligazioni dei Paesi dell’Eurozona in certe proporzioni, e i Bund tedeschi iniziano a scarseggiare. “La Bce sta comprando meno Bund provando a compensare con altri titoli di stato. Per i Bund siamo molto vicini al limite del 33%”, ha affermato l’economista, ribadendo: “se il Qe non finisce a settembre, dovrà comunque terminare subito dopo. Entro fine anno il programma si concluderà”. Si va dunque verso la fine dell’espansione del bilancio Bce nell’ultimo quarto 2018. La Bce si appresta alla parte più difficile: rialzare i tassi. La previsione è di un ritocco di 15 punti base sul tasso di deposito, a -0,25% a marzo 2019.
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