UNA NUOVA GLOBALIZZAZIONE È POSSIBILE
Dopo un’età dell’oro di cui pochi hanno approfittato davvero, tecnologia, mutamenti demografici e la fine del sogno americano aprono la strada a una mondializzazione dei servizi e del capitale umano
25/05/2018
Alla fine di aprile, il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha corretto al rialzo la previsione di crescita per l’Italia nel 2018: dall’1,4% all’1,5%, pareggiando quindi quella dello scorso anno. Un risultato che dovrebbe confermare quindi quanto di buono è stato fatto in questi anni dall’economia italiana, pur senza dimenticare che il nostro Paese cresce nettamente sotto la media dell’Eurozona, il cui Pil dovrebbe registrare +2,4% nell’anno in corso. Eppure il Pil sta passando di moda: in questi anni strani, i rialzi record sono passati quasi inosservati nell’opinione pubblica e ora che gli analisti cominciano a vedere i primi segnali di imminenti scivoloni, potremmo trovarci a rimpiangere momenti di serenità dati per scontati. Come mai? La crisi della globalizzazione spiega in parte questo scenario.
Siamo all’inizio della fine di un lungo periodo di espansione dell’economia globale in cui Paesi emergenti ed economie consolidate sono cresciute contemporaneamente: eppure molti non se ne sono accorti. Lo sviluppo di questi anni non è riuscito a scaricare a terra i benefici, a sanare le diseguaglianze: quando l’anno prossimo la crescita rallenterà e saranno più visibili gli spettri della prossima recessione, a molti sembrerà di aver sprecato tempo a osservare il Pil che aumentava e la produzione che ristagnava.
CLASSI DIRIGENTI SOTTO ATTACCO
Guardando indietro, oggi, appare chiaro come la mondializzazione abbia creato tanta ricchezza ma anche prodotto diseguaglianze e disagio sociale generalizzato. Ripensare la globalizzazione, correggendone gli effetti socioeconomici negativi, è il compito delle nuove classi dirigenti, ora che tecnologia e mutamenti demografici stanno cambiando la faccia del mondo. Se la prima globalizzazione verteva sui beni fisici, e ha pesantemente sottovalutato il ruolo della Cina, la nuova verterà sui servizi e sul capitale umano. Ma la globalizzazione è sotto attacco sia politicamente, come si è visto negli appuntamenti elettorali, soprattutto nelle democrazie occidentali, sia nelle transazioni commerciali: l’aggressività di Donald Trump, le rappresaglie della Cina, le crisi internazionali, quali effetti avranno sulla produzione e sugli investimenti?
LA CINA A STELLE E STRISCE
Il tema della direzione che prenderà l’Europa nel prossimo futuro è centrale per capire come l’Italia potrà rispondere alle dinamiche della nuova globalizzazione. Guardando all’Asia, ci si accorge facilmente che le cose importanti stanno accadendo lì. Ng Kok Song, che è stato per anni il chief investment officer del Government of Singapore investment corporation (Gic), una delle tre entità che gestiscono gli investimenti del Paese, invitato al Salone del risparmio, l’evento promosso da Assogestioni, ha parlato del “sogno cinese”, un progetto che al momento sembra più a fuoco del vecchio sogno americano.
Per circa 30 anni, l’economia cinese ha mostrato un tasso di crescita intorno (e a volte superiore) al 10%. Nel 2017 ha totalizzato +6,9%, con un prodotto interno lordo di 12 mila miliardi di dollari. “Gli scettici – ha commentato Ng Kok Song – hanno sottovalutato le capacità del governo nella stabilizzazione della crescita. La trasformazione cinese ha modificato il modello geografico dello sviluppo globale e continuerà a farlo”. I bond governativi di Pechino nel 2021 rappresenteranno il 5,5% delle obbligazioni globali e la maggior parte degli investitori istituzionali guarderà alla Cina, disinvestendo in Usa, Ue e Giappone.
GLI USA SI ACCONTENTERANNO
“La Cina, nel 2049, a 100 anni dalla nascita della Repubblica popolare, avrà comunque un tasso di crescita superiore al 3,5% e un Pil pari a 50 mila miliardi di dollari”, ha annunciato Ng Kok Song, sottolineando che “il sogno cinese di una crescita senza fine è molto concreto”.
La sviluppo cinese agirà come volano di altre economie in Asia: ci sarà un cambiamento ancora più importante, e la vecchia Europa non potrà ignorare ciò che sta accadendo in quella parte del mondo.
Insomma è ormai il Dragone a dettare la linea. E se ne accorgerà anche il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, il quale ha dato il via a una guerra commerciale sapendo già di essere la parte debole del negoziato. In Cina, ha argomentato l’analista di Singapore, sanno già che Trump si accontenterà delle “piccole concessioni che Xi Jinping è già pronto a fare”.
LA RECESSIONE È INEVITABILE
Del resto l’espansione economica statunitense sta per finire, ha commentato Joachim Fels, managing director e consulente economico globale di Pimco, durante un evento organizzato dall’asset manager. Uno sviluppo che si concluderà dopo più di 120 mesi consecutivi di segni più, paragonabile a quello dell’era Clinton, ma con il problema della produttività che non è cresciuta agli stessi livelli.
“Sebbene nell’immediato – spiega Fels – il rischio di recessione sia molto basso sia negli Usa sia in Europa, a medio-lungo termine (tre/cinque anni, ndr) questo è in realtà molto elevato. Lo stimolo fiscale di Trump aumenterà il rischio perché introdotto nel momento sbagliato, con il tasso di disoccupazione ai minimi e con la minaccia nel 2020 di un picco molto alto d’inflazione. Ogni presidente repubblicano – ha aggiunto – ha vissuto almeno una recessione durante il proprio mandato”. Intanto, le banche centrali stanno smettendo di espandere i propri bilanci. La Fed continuerà ad alzare i tassi: due rialzi quest’anno e tre nel 2019: “quando accade questo – ha chiosato Fels – le cose di solito vanno a finire male”.
LA FETTA DI TORTA CHIAMATA ITALIA
Con questo compendio di temi il settore del risparmio gestito italiano si confronta da una prospettiva comunque robusta. Il 2017 è stato un anno record: sono stati raccolti circa 100 miliardi di euro contro i 57 miliardi dell’anno precedente. Gli operatori gestiscono masse per oltre 2.000 miliardi: tutte le classi hanno migliorato i propri risultati ma l’azionariato si è confermato il fratello minore nella famiglia dell’asset allocation italiano.
Il contesto europeo è simile ma un po’ diverso: in sei anni il settore è cresciuto dell’87% ma i fondi azionari, al contrario dell’Italia, sono stati i protagonisti. È un mercato sempre più concentrato: il 57% della raccolta è intercettata da 10 top player in Europa, mentre in Italia ne bastano cinque/sei.
UN’INDUSTRIA RESPONSABILE
Alle sfide dello sviluppo si affiancano quelle poste dalla normativa: “la nostra industria – ha spiegato Tommaso Corcos, presidente di Assogestioni – si sta trasformando anche grazie a Mifid 2 che impone maggiori responsabilità nella gestione dei prodotti, non solo nella fase di lancio e collocamento. Nei prossimi anni assisteremo a una rivoluzione anche del modello di servizio, cosa che rappresenterà un ulteriore passo verso il futuro”.
Corcos ha anche ammesso che è giusto interrogarsi sulla sostenibilità delle commissioni e dei costi, ma è la stessa normativa a portarne un aumento. Il risparmio gestito, anche di natura assicurativa, ha la prospettiva di investire sulla tecnologia non solo per innovare e risparmiare, ma anche per sostenere i servizi.
“Non bisogna temere – ha concluso Corcos – riguardo la sostituzione tra capitale e lavoro a causa della tecnologia: sarà nostra responsabilità continuare a gestire nel mondo migliore la metà della ricchezza finanziaria degli italiani, pari al 120% del Pil. Dovremo essere pronti alle sfide con consapevolezza e saper anche istruire i consumatori. E infine, non dovremo essere bravi solo a intercettare i trend: dovremo saperli influenzare”.
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