UN PASSO VERSO L’EVOLUZIONE AZIENDALE
L'adozione di progetti di smart working risponde alle esigenze delle compagnie di ridurre i costi, ma soprattutto di accelerare il cambiamento verso un modello di lavoro più tecnologico e orientato agli obiettivi. In cambio i dipendenti ottengono più flessibilità: una soluzione che riscontra un elevato gradimento
12/03/2018
Minori costi aziendali, maggiore ingaggio e benessere dei collaboratori, un migliore clima aziendale e un aumento del senso di responsabilità sugli obiettivi. Sono i risultati che le compagnie dichiarano di aver ottenuto con l’introduzione dello smart working, che si dimostra essere un acceleratore verso l’adozione di un modello operativo più rispondente ai ritmi dell’innovazione. Le dotazioni tecnologiche diventano abilitanti di un nuovo modo di intendere il lavoro: senza la tecnologia lo smart working non sarebbe possibile, ma allo stesso modo, è grazie a esso che la trasformazione digitale diventa più rapida anche in azienda. È noto che la consuetudine è la prima resistenza all’innovazione, ma se per stare al passo con i tempi serve introdurre nuovi processi e modalità operative, o utilizzare strumenti che permettano una maggiore efficienza, ecco che la prima cosa da fare è proprio trovare il modo di scardinare le abitudini. Attivare il lavoro a distanza è come togliere le rotelle al bambino che impara ad andare in bicicletta: lo si induce a non porre alibi alla necessità di evolvere.
CERCASI EFFICIENZA, BENESSERE E RISPARMIO
Il cambiamento che diventa fine e mezzo, opportunità per cavalcare alcuni must dell’efficientamento aziendale e svecchiare gli obsoleti moloch. Negli ultimi due anni, più di una compagnia in Italia ha deciso di intraprendere l’impegnativo percorso del lavoro agile: “la decisione è arrivata sulla scia di due diversi fattori: da un lato una forte spinta strategica verso il change management, dall’altro le evidenze della nostra global survey biennale, da cui è emersa un’esigenza cross generazionale verso una maggiore flessibilità nei tempi di lavoro”, spiega Gianluca Perin, direttore organizzazione e risorse umane di Generali Italia. “Questa duplice istanza – aggiunge – si è innestata nell’attuale main strategy verso il cambiamento nel modo di lavorare”.
Un cambio di mentalità che è spinto dalla trasformazione digitale, accelerata in azienda attraverso lo smart working, o che, come nel caso di Allianz, è un percorso già iniziato da tempo: “nell’avvio siamo stati facilitati perché già da diversi anni i nostri dipendenti sono abituati a lavorare per obiettivi seguendo la strategia del gruppo, la Renewal Agenda”, dice Letizia Barbi, responsabile sviluppo e gestione risorse e amministrazione della compagnia, sottolineando che “l’obiettivo del nostro progetto è quello di favorire il bilanciamento tra vita professionale e vita privata nell’ambito delle numerose iniziative di welfare aziendale che mettiamo a disposizione dei colleghi”.
SEDE NUOVA, VITA NUOVA
Oltre alle tecnologie, l’adozione di tali progetti sembra andare di pari passo con la volontà di ristrutturare o di trasferire le sedi aziendali. Lo smart working incontra le esigenze sociali (più attenzione alla persona e all’ambiente), ma modifica anche il modo di intendere il tempo e lo spazio del lavoro: più informale, collaborativo, aperto al confronto costruttivo, svincolato dalle quattro mura dell’ufficio. È il caso di Zurich Italia, che ha dato il via al progetto pilota nel 2015, ed è stata una tra le prime società del gruppo svizzero: “abbiamo iniziato a ragionare sulle potenzialità di una forte flessibilità del lavoro, confortati da una richiesta che veniva dai lavoratori stessi. Tale istanza si è incontrata con la volontà della direzione di ricercare approcci innovativi al modo di lavorare”, racconta Federica Troya, responsabile HR Zurich, sottolineando che “per attuare lo smart working è fondamentale un cambiamento della cultura aziendale che oggi è condicio sine qua non per le imprese, vale a dire che il manager deve adottare un approccio volto a pianificare le attività responsabilizzando sempre di più i collaboratori”.
Anche per Maurizio Di Fonzo, direttore risorse umane, organizzazione e change management del gruppo Axa Italia, l’idea è nata dall’unione di due esigenze: “la necessità di realizzare un restyling radicale della sede di Roma e la volontà di rendere più veloce il percorso di cambiamento culturale su cui avevamo iniziato a lavorare in azienda. Il nostro gruppo in Belgio è stato pioniere nello smart working e sulla scorta della loro esperienza abbiamo colto l’occasione della ristrutturazione degli uffici romani per rivedere lay-out e investimenti. In tale ottica l’adozione del modello di smart working si è rivelato un mezzo molto importante per accelerare il processo evolutivo in corso: il nostro – spiega Di Fonzo – è un settore in grande trasformazione, una fase che o si subisce o si guida. Per guidarla dovevamo puntare su innovazione, fiducia e performance, parole chiave per tutti i dipendenti”.
NON È FACILE CAMBIARE MENTALITÀ
Forzare l’abitudine non significa solo ridurre la resistenza verso nuove modalità operative, ma anche uscire dagli schemi delle dinamiche di rapporto interpersonale all’interno degli uffici, che possono portare con sé piccole inefficienze e rendere farraginoso qualsiasi processo. “È necessario che gli obiettivi siano chiari nel breve e medio periodo – sottolinea Federica Troya – ed è fondamentale il livello di fiducia tra i dipendenti e i loro manager. Pur non monitorando se le persone siano connesse o meno, è importante che il dipendente rispetti gli accordi con il proprio responsabile e sia reperibile nella fascia oraria lavorativa. Prevale un accordo continuo e costante con il manager, subentra un diverso rapporto di fiducia e cresce il livello di responsabilità associato a ciascun ruolo”. Riducendo il lavoro in presenza, lo smart working incanala il confronto orizzontale o verticale in momenti predefiniti o su modalità focalizzate alla risposta diretta. Come ossersa Maurizio Di Fonzo, “c’è stato un momento nel quale abbiamo stretto sul management per far capire che la fiducia data in un sistema di smart working doveva essere ripagata da achievement, ma i casi di revoca dell’autorizzazione si contano sulle dita di una mano. Lo smart working è una testimonianza di innovazione, ma soprattutto funziona se c’è un rapporto di fiducia basato sulla performance. Abbiamo voluto puntare su questo, offrire un’opportunità che i dipendenti avrebbero apprezzato chiedendo loro in cambio un impegno”.
TRASFORMAZIONI A MODALITÀ VARIABILE
La riduzione della compresenza cambia in modo profondo il rapporto tra management e collaboratore, ma anche tra colleghi: “contare sulla presenza in ufficio delle proprie risorse dà l’idea di un maggiore controllo su di esse, in particolare nella gestione delle emergenze. Lo sforzo di dover pianificare e lavorare per obiettivi aiuta invece a organizzare meglio l’attività”, analizza Gianluca Perin che sottolinea come gli stessi collaboratori percepiscano un rischio di perdita di controllo: “le persone hanno aderito con gradualità. Per ora la maggior parte si limita a una giornata di lavoro a distanza, forse perché ritiene ci sia necessità della presenza in sede per ottenere una migliore valutazione, o teme che allontanarsi significhi perdere delle occasioni”. È un retaggio mentale, probabilmente condiviso dai più, di chi non ha ancora superato la visione tradizionale del lavoro associato alla presenza fisica. Per superare tale limite, Allianz ha personalizzato il modello di smart working: “abbiamo deciso – rivela Letizia Barbi – di portare lo smart working al 50% del tempo lavorativo: ogni dipendente si associa a un collega, che generalmente appartiene alla stessa area organizzativa, con il quale può gestire in modo alternato le giornate di lavoro a distanza. La coppia di colleghi ha la possibilità di decidere in modo flessibile i tempi della presenza valutando di volta in volta le specifiche esigenze di ciascuno. A nostro avviso – conclude Barbi – è stata una scelta di una certa rilevanza perché ha effettivamente cambiato la modalità di lavoro favorendo concretamente il bilanciamento tra contesto lavorativo e vita privata”.
L’IMPORTANTE È MISURARE
Un altro forte elemento emergente è la cultura del feedback, che è più ampia della sola misurazione delle performance: le compagnie interpellate hanno potuto tutte misurare un elevato gradimento dell’iniziativa, un maggiore ingaggio dei dipendenti e una produttività generale migliorata in termini qualitativi e (dove è possibile calcolarla) quantitativi. La valutazione spetta al responsabile, che può modificare le attribuzioni e interrompere la disponibilità allo smart working nel caso una persona non risponda adeguatamente. Offrire tempo per ottenere maggiore coinvolgimento e partecipazione può portare anche a un diverso modo di intendere la collaborazione: “diventa più semplice – conclude Perin – coltivare l’intelligenza collettiva, una risorsa importante che è in genere sacrificata dalla visione dell’organizzazione in silos, e che implica un cambiamento anche nelle modalità di valutazione ai fini del percorso di carriera”.
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