COMPAGNIE POCO SOCIAL
In Italia, la presenza delle assicurazioni su queste piattaforme è inadeguata. Urge una revisione radicale del modello strategico, culturale, organizzativo e operativo. Ne parliamo con Marco Minghetti, direttore scientifico per il management 2.0 di GSO, docente all'Università di Pavia, giornalista e blogger per Nova100 - Il Sole 24 Ore
31/03/2013
La social organization conviene da ogni punto di vista: economico, organizzativo, operativo e culturale. È quanto emerge da studi nazionali e internazionali, quali il rapporto Mc Kinsey e l’Osservatorio dell’Università Cattolica, secondo cui la presenza delle assicurazioni italiane è ancora inadeguata. Il punto chiave, ancora una volta, è il cambio culturale.
Dott. Minghetti, qual è l’utilizzo dei social network da parte delle compagnie e degli intermediari?
Anche nel mondo assicurativo aumenta la consapevolezza della centralità dei social network. In questo quadro, si mette l’accento sulla relazione tra clienti e assicurazioni, determinando, da una parte, iniziative rivolte ai singoli professionisti perché sviluppino nuove competenze nell’utilizzo dei social network (un esempio, il gruppo LinkedIn Intermediario Assicurativo, che raccoglie agenti, broker, subagenti e promotori che si confrontano fra loro), dall’altra si registra una forte spinta a rivedere presenza e azione delle assicurazioni, in rete e sui social network ancora del tutto inadeguate in Italia, come dimostrano i risultati dell’Osservatorio dell’Università Cattolica.
Ma la questione inerente l’avvento dei social network non riguarda solo il rapporto con i clienti e gli intermediari: si richiede una rivisitazione radicale e complessiva del modello strategico, culturale, organizzativo e operativo delle singole aziende.
Quale valore, in termini d’innovazione, può essere introdotto dai social network nel settore assicurativo?
Innanzitutto, bisogna parlare di piattaforme collaborative, piuttosto che di social network. Per avviare un processo di change management è necessaria la social organization, intesa come nuovo modo di fare impresa, che consente a un vasto numero di persone di lavorare collettivamente valorizzando le singole riserve di competenza, talento, creatività ed energia. La creazione di valore sociale passa attraverso la capacità di generare la cosiddetta mass collaboration, sfruttando le enormi potenzialità dei social media, attraverso l’istituzione di community collaborative, che vivano anche offline, all’interno e all’esterno dell’impresa. Parliamo dunque dell’interazione di tre fattori: social media, community e purpose, la proposizione di valore.
Secondo la mia esperienza di studioso, giornalista, manager e consulente, il cambiamento è possibile, anzi inevitabile, ma per realizzarlo occorre ridefinire la propria cultura aziendale alla luce dei nuovi valori, comportamenti e modi di lavorare della social organization.
Cosa è possibile mutuare da altri settori?
Come si evince dal rapporto McKinsey sulla social economy, se si sviluppassero, in chiave social, i processi trasversali a tutti i settori di business (sviluppo prodotti, customer care, operation), si potrebbe generare un valore economico pari a 1.300 miliardi di dollari. Di questi, 423 miliardi potrebbero essere ottenuti proprio nel settore bancario e assicurativo. Le tecnologie sociali forniscono preziose informazioni sul comportamento dei consumatori, utili per costruire una percezione positiva del marchio. Un’analisi storica dei loro comportamenti può essere utilizzata per migliorare i prezzi dei prodotti, valutare i rischi, rilevare attività fraudolente, con vantaggio sia delle compagnie sia dei singoli consumatori. Addirittura si può arrivare a co-creare insieme ai clienti i futuri prodotti assicurativi.
Ma soprattutto, McKinsey segnala un potenziale significativo per la generazione di valore riferito ai processi di collaborazione interni alle grandi organizzazioni assicurative: strumenti di collaboration ben scelti contribuiscono a creare organizzazioni più coese e trasparenti, agevolando processi più efficaci di condivisione della conoscenza, utili per sottoscrittori, ricercatori e agenti di vendita, la cui produttività dipende dalla disponibilità di un facile accesso alle informazioni giuste.
Quali iniziative possono essere realizzate per una presenza più incisiva sui social network?
Gli spazi di miglioramento sono enormi, come dimostrano i risultati dell’Osservatorio dell’Università Cattolica. La classifica riferita alle assicurazioni è dominata da una realtà che opera esclusivamente online: Genialloyd, che ottiene ottimi risultati di performance su tutti i social network presi in considerazione (Facebook, Youtube e Twitter).
Generalmente ai vertici della classifica si trovano istituti (pochissimi) che attuano un presidio multipiattaforma intensivo, con una strategia diffusiva e proattiva, mentre un gran numero di profili del comparto assicurazioni è stato aperto con mera finalità di presidio, con risultati nulli, se non controproducenti. Se un’azienda è 2.0 verso l’esterno ma 1.0 verso l’interno inibisce l’efficacia dell’azione verso gli stakeholder esterni, e determina demotivazione, scarsa produttività e incapacità di generare innovazione all’interno.
In conclusione, la vera sfida inizia dal miglioramento dei processi di integrazione, condivisione e sviluppo delle conoscenze all’interno delle strutture organizzative, in una logica social, quale premessa indispensabile per lo sviluppo di un nuovo rapporto conversazionale con il mercato e i singoli clienti.
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