L’attuale normativa europea in materia ha origine negli anni ’80 con la promulgazione delle cosiddette “Direttive Seveso”, per poi arrivare alla Environmental Liability Directive (Eld) del 2004, che ha introdotto il concetto di danno all’ambiente con due tipi di responsabilità: “oggettiva” e “per colpa”. Lo scorso anno è stata emanata una nuova direttiva europea, la n.1203, volta a contrastare gli episodi di criminalità ambientale: questa normativa, che dovrà essere recepita entro il 21 maggio 2026, stabilisce pene più severe e nuove fattispecie di reato ambientale, divenendo di particolare interesse a livello assicurativo per il suo impatto sull’operatività del Dlgs 231/2001
L’ultimo Future Risks Report di Axa rivela che i problemi connessi a inquinamento e cambiamenti climatici si collocano tra i rischi più temuti in tutte le regioni del mondo. La responsabilità ambientale si pone dunque alla base delle preoccupazioni dei risk managers.
L’Europa e l’Italia sono storicamente molto sensibili al problema dell’inquinamento. Un punto fondamentale nell’evoluzione della legislazione sulla responsabilità ambientale risale infatti a un drammatico evento verificatosi proprio in Italia, il 10 luglio 1976. A causa di un guasto a un reattore, una nube tossica a base di diossina si liberò dallo stabilimento della Icmesa di Meda e avvolse un’area piuttosto vasta, in direzione del vicino comune di Seveso. Non vi furono decessi, ma oltre 200 persone vennero colpite da cloracne, una dermatosi provocata dall’esposizione al cloro e derivati, che causa gravi lesioni e cisti sebacee. I vegetali investiti dalla nube, inoltre, si disseccarono per il potere diserbante della diossina, e morirono 3.300 animali. Altri 76mila dovettero essere abbattuti successivamente.
Questo terribile incidente determinò l’intervento del legislatore europeo, con la promulgazione delle cosiddette Direttive Seveso. La prima versione (82/501/Cee) venne recepita in Italia nel 1988 con il Dpr 175. In base a essa, i proprietari di depositi e stabilimenti in cui fossero presenti sostanze pericolose in quantità definite, avevano l’obbligo di adottare precauzioni per il controllo e la manutenzione degli impianti.
Il testo della prima direttiva fu aggiornato con la Direttiva Seveso II (96/82/Ce), che modificava la classificazione delle sostanze ritenute pericolose, affiancando un elenco dei livelli di pericolosità delle stesse. In seguito ad altri incidenti assai gravi, come quello avvenuto nei Paesi Bassi nel 2000 in un’azienda di materiale pirotecnico, e il disastro registrato nel 2001 in una fabbrica di fertilizzanti a Tolosa (Francia), con lo sversamento di nitrato d’ammonio nell’ambiente, la normativa subì un altro aggiornamento, trasformandosi nella Direttiva Seveso II bis. In essa furono introdotti nuovi limiti, abbassando le soglie delle sostanze tossiche che è possibile detenere negli stabilimenti. Infine, il 13 agosto 2012, è entrata in vigore la Direttiva Seveso III, (2012/18/UE) recepita in Italia nel 2015, con il Decreto Legislativo n. 105.
L’AVVENTO DELLA ELD E LA DEFINIZIONE DI DANNO ALL’AMBIENTE
Possiamo dunque considerare che l’attuale normativa europea sulla responsabilità ambientale abbia iniziato il suo iter negli anni ’80, proprio grazie alla promulgazione delle leggi Seveso, fino all’introduzione della Environmental Liability Directive (Eld) 2004/35, incorporata nelle legislazioni degli Stati membri entro il 30 aprile 2007. Uno degli elementi di maggiore rilievo introdotti da questa normativa è il concetto di danno all’ambiente. Fino a quel momento, infatti, lo stesso era considerato come un danno a persone o cose, causato e propagatosi attraverso un elemento naturale (per esempio un corso d’acqua). La Eld amplia questa fattispecie di danno, svincolandola da ogni legame con i danni alle persone o alle loro cose. Ciò comporta che le azioni per il ripristino possano essere promosse non solo dai diretti danneggiati, ma da chiunque ritenga di aver subito un danno. Scopo della Eld è infatti rendere economicamente responsabili i soggetti le cui attività abbiano danneggiato animali, piante, habitat naturali o risorse idriche del suolo: tutti soggetti che, di per sé, non potrebbero esigere alcun risarcimento. Inoltre, la direttiva Eld si applica a tutti i lavori che comportino una minaccia imminente di danno ambientale: gli operatori responsabili sono infatti tenuti a intraprendere azioni preventive per evitare che tale danno si verifichi.
Definiamo quindi danno ambientale ogni danneggiamento direttamente o indirettamente causato ad ambienti acquatici specie e habitat naturali protetti dalla legislazione europea (Directive 79/409 e 92/43), nonché ogni contaminazione del terreno che comporti un rischio significativo per la salute umana. Per danno agli ambienti acquatici consideriamo qualsiasi danno che influisca in modo significativo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo dell’acqua (fiume, lago, mare...). Danno a specie e habitat naturali sarà qualsiasi danno che abbia effetti negativi significativi sul mantenimento dello stato di conservazione di tali specie o habitat, secondo i criteri indicati all’Allegato I della Eld. Danno al suolo sarà invece qualsiasi contaminazione diretta o indiretta del suolo che crei un rischio significativo per la salute umana, in seguito alla dispersione di sostanze, preparati, organismi o microrganismi.
Vi sono ovviamente delle eccezioni: la Eld, infatti copre i danni causati dagli Ogm solo durante il loro trasporto o come conseguenza del loro deliberato rilascio nell’ambiente. Essa, inoltre, non copre i danni derivanti da calamità naturali, perché si tratta di fenomeni di carattere eccezionale e inevitabile (anche se la questione è oggi dibattuta per via dei cambiamenti climatici). Infine, essa non opera per i danni causati dalla società in generale, laddove sia impossibile collegare il danno ambientale con fatti o omissioni causati da specifici operatori. Un esempio è rappresentato dal cosiddetto inquinamento diffuso: laddove sia impossibile individuare un nesso di causalità, la Eld non potrà infatti operare.
I danni da contaminazioni di tipo nucleare sono poi coperti da convenzioni internazionali specifiche, che operano sul principio della responsabilità oggettiva e sono regolati dall’Agenzia sull’Energia Nucleare della Oecd (Economic co-operation and development).
Per quanto attiene alla retroattività, la Eld non copre eventi occorsi prima del 30 aprile 2007, cioè prima della data in cui la stessa è stata resa operativa.
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RESPONSABILITÁ E OBBLIGHI
Come accennato, la Edl introduce due tipi di responsabilità. La prima è la responsabilità oggettiva per i soggetti che operano nell’ambito delle attività rischiose o potenzialmente tali, indicate nell’Allegato III; essi sono tenuti a intraprendere azioni preventive e correttive, nel caso in cui un danno ambientale dovesse verificarsi. La seconda è la responsabilità per colpa per le attività non indicate nell’Allegato III, qualora dovesse verificarsi un danno o vi fosse il timore di danni alle specie e agli habitat protetti, in seguito a provata negligenza o colpa da parte di chi li ha causati.
Sono intesi come pericolosi:
• attività industriali e agricole che richiedano una licenza speciale in base alla Directive on integrated pollution prevention and control (91/62 e 2008/1);
• installazioni con emissioni di sostanze chimiche pericolose;
• attività per la gestione dei rifiuti, le discariche e gli inceneritori;
• attività di gestione dei residui delle industrie estrattive;
• attività di trasporto di sostanze tossiche o pericolose;
• attività che prevedano l’uso e il rilascio di sostanze pericolose in acque interne o sotterranee;
• attività di produzione di fitofarmaci;
• trasporto, uso e rilascio di Ogm.
In caso di danno ambientale, l’operatore responsabile sarà obbligato a: informare l’autorità competente di tutti gli aspetti rilevanti; adottare immediatamente tutte le misure praticabili per controllare, contenere, rimuovere o gestire i contaminanti, per mitigare il danno stesso; adottare le misure correttive necessarie, conformemente alle norme stabilite nella direttiva.
In caso di minaccia imminente, qualora l’operatore non adempia ai propri obblighi o non sia identificabile, l’Autorità potrà intervenire direttamente. La Eld, infatti, richiede che i terreni colpiti siano decontaminati fino a quando non vi sarà più alcun rischio grave o impatto negativo sulla salute umana.
Per i danni che colpiscano l’acqua o le specie protette e gli habitat naturali, invece, la normativa mira a ripristinare l’ambiente com’era prima che lo stesso fosse danneggiato:
• riportando le risorse naturali compromesse alle condizioni originarie;
• sviluppando risorse naturali alternative per compensare il fatto che la riparazione primaria non sia stata in grado di ripristinare completamente le risorse danneggiate;
• compensando la perdita di risorse naturali verificatasi tra la data del danno e il momento in cui la riparazione primaria è stata realizzata.
È dunque evidente come le spese cui può incorrere un’azienda che abbia causato un danno ambientale possano essere assai congrue, al punto da determinare anche il fallimento dell’azienda stessa. Questo punto è particolarmente rilevante e spiega perchè gli esperti di settore non comprendano come mai le coperture assicurative che sono disponibili sul mercato non incontrino l’interesse del pubblico. La penetrazione di questi prodotti risulta infatti assai limitata.
LA DIRETTIVA 1203 DEL 30 APRILE 2024
Dopo l’implementazione della Eld sono stati numerosi gli interventi dell’Ue nell’ambito della responsabilità ambientale. Si è trattato quasi sempre di indicazioni emesse a chiarimento o a completamento del dispositivo principale costituito dalla Eld, ma la Direttiva 2024 n.1203 riveste un particolare interesse, perchè volta a contrastare i cosiddetti episodi di criminalità ambientale. Questa normativa dovrà essere recepita entro il 21 maggio 2026 e stabilisce pene più severe e nuove fattispecie di reato ambientale, divenendo di particolare interesse a livello assicurativo, per il suo impatto sull’operatività del Dlgs 231/2001.
Ricordiamo che questo dispositivo ha introdotto la responsabilità penale dei soggetti giuridici (e quindi delle aziende), generalmente coperta, almeno in parte, dalle polizze D&O. In base a esso, costituiscono reato le condotte illecite poste in essere a danno dell’ambiente.
La direttiva ha ampliato l’elenco dei reati ambientali, inserendo nuove tipologie come il traffico di legname, i danni da esaurimento delle risorse idriche, il riciclaggio illegale di componenti inquinanti delle navi e le gravi violazioni della normativa sulle sostanze chimiche.
È stato introdotto il concetto di reato qualificato, che si configura quando si provochino effetti rilevanti di inquinamento diffuso, incidenti industriali con gravi effetti sull’ambiente, incendi boschivi che provochino la distruzione di un ecosistema di dimensioni o di valore ambientale considerevoli o di un habitat all’interno di un sito protetto, oppure danni diffusi e rilevanti, irreversibili o duraturi a tali ecosistemi, alla qualità dell’aria, del suolo o dell’acqua.
La direttiva stabilisce pene detentive di diversa durata a seconda della tipologia e gravità del reato. Per i reati qualificati la pena massima sarà di almeno otto anni di reclusione.
Per le imprese, le sanzioni pecuniarie ammonteranno ad almeno il 5% del fatturato globale per i reati più gravi e il 3% per gli altri reati.
Gli Stati membri potranno applicare anche ulteriori misure accessorie, tra cui: l’obbligo di ripristinare l’ambiente entro un determinato periodo, se il danno fosse reversibile, oppure di risarcire il danno all’ambiente, se il danno fosse irreversibile o se l’autore del reato non fosse in grado di procedere a tale ripristino; l’esclusione dal godimento di un beneficio pubblico o dall’accesso a finanziamenti pubblici, comprese procedure di gara, sovvenzioni, concessioni e licenze; l’interdizione temporanea o permanente ad esercitare un’attività commerciale; il ritiro dei permessi e delle autorizzazioni all’esercizio delle attività che hanno portato al reato in questione.
È superfluo ricordare quanto possano essere ingenti le spese cui si potrebbe incorrere. Parte delle stesse potrebbe eventualmente essere risarcita da polizze D&O, ma le stesse potrebbero contenere esclusioni specifiche al riguardo. Ciò dovrebbe spingere le aziende a proteggersi con polizze specifiche per la copertura della responsabilità ambientale.
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