TROPPA INCERTEZZA PER ESSERE POSITIVI

Nel 2025 è atteso un rallentamento della crescita globale, esito di una pluralità di fattori che riguardano gli attriti geopolitici, le tensioni sociali interne ai paesi, le scelte di politica economica. A frenare di più saranno Stati Uniti, Cina e paesi dell’area euro, le cui prestazioni inferiori alle attese non saranno pienamente compensate dalle migliori performance dei paesi emergenti

TROPPA INCERTEZZA PER ESSERE POSITIVI
Come dice il nome, il rischio geopolitico riguarda i territori e la politica, in buona sostanza i rapporti di tensione tra i paesi o le dinamiche conflittuali all’interno di essi che producono effetti più o meno diretti e allargati sui paesi limitrofi, su quelli con cui sussistono relazioni economiche e tra le aree d’influenza in cui gli stati stessi si collocano. Se fino al 2022 le relazioni dei paesi europei con il resto del mondo erano improntate ad aspetti commerciali e le situazioni di tensione relegate in aree geograficamente (e socialmente) lontane, l’azione di guerra intrapresa dalla Russia contro l’Ucraina ha scosso dall’illusione che lo status quo precedente fosse un nuovo modello di pace condiviso. Oltre alle conseguenze immediate, la guerra ha polarizzato le posizioni politiche e accelerato la volontà di affermare modelli diversi rispetto a quello rappresentato dai paesi occidentali.
Lo stato di guerra in Medio Oriente, determinato dai fatti del 7 ottobre 2023, ha per l’Europa conseguenze economiche dirette inferiori rispetto alla guerra in Ucraina, ma rappresenta oggi una situazione dagli esiti non prevedibili (a partire dalla questione siriana) che mina le basi dell’equilibrio planetario. Alle tensioni globali non è poi estraneo un conflitto latente ma puramente di posizione com’è quello tra Stati Uniti e Cina, che si confrontano come potenze economiche e commerciali e per il predominio del soft power, la capacità di influire su stili e scelte di altri paesi. Alla fine del 2024, qualche spiraglio per una sospensione delle ostilità e un inizio di dialogo è arrivato per l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, ma la concreta evoluzione dei fatti e l’effettiva linea di politica estera della nuova amministrazione sarà tutta da verificare, soprattutto dopo le aggressive esternazioni del futuro presidente in questo inizio 2025. 
A uno scenario generale di attrito tra realtà territoriali, si aggiungono le criticità interne di alcuni paesi in cui la situazione politica e sociale descrive un quadro di incertezza: un esempio tra tanti è la Corea del Sud, paese tra i protagonisti dell’economia globale, dopo il maldestro tentativo di di imporre la legge marziale del presidente Yoon Suk-yeol. 

LE MOLTE FACCE DEL RISCHIO PAESE 

Il panorama descritto spiega perché il rischio geopolitico è temuto dalle imprese ed è oggi considerato tra le principali minacce per le attività produttive e i servizi: le criticità tra i paesi o all’interno degli stessi determinano, come minimo, un clima di incertezza poco favorevole agli scambi e alla domanda commerciale, ma si può arrivare a impatti concreti sulle filiali dislocate all’estero, sulle catene di approvvigionamento, sui trasporti, oltre a conseguenze economiche e finanziarie, sugli investimenti e sui crediti delle imprese. Questi fattori rientrano in quello che viene definito come rischio paese, una voce che contempla anche la qualità delle finanze e del debito di uno Stato e che si può tradurre in restrizioni sul rimpatrio di capitali, nazionalizzazioni, svalutazioni, inflazione, cambiamenti nelle politiche fiscali e nella regolamentazione.
Tutti questi elementi sono oggi tra le principali cause originarie di un rallentamento della crescita globale (su cui influiscono ulteriori fattori di crisi) che molti osservatori registrano e si attendono anche per il 2025. 

EUROPA OSSERVATA SPECIALE

Nel suo ultimo Barometro, Coface conferma una disomogeneità nella ripresa economica a livello globale: “Se da un lato gli Stati Uniti stanno dimostrando capacità di recupero, dall’altro l’Eurozona si trova ad affrontare un contesto sfidante, soprattutto nel settore industriale, mentre la Cina risente ancora della crisi del mercato immobiliare. A fronte di queste evidenze, l’indice Coface di rischio politico e sociale rimane elevato, nonostante il calo dell’inflazione, confermando uno scenario incerto”, riferisce Ernesto De Martinis, ceo di Coface per la Regione Africa e Mediterraneo, che prevede una crescita stabile (+2,6%) in linea con l’anno appena concluso anche se inferiore al potenziale stimato per il 2025.
La valutazione parte da previsioni di crescita rallentata per Usa e Cina ma ancor più debole per l’area euro, fortemente influenzata dalla crisi industriale della Germania, che a luglio aveva registrato una produzione manifatturiera ancora inferiore del 12% rispetto al valore pre-Covid. 
Il livello di crescita globale dovrebbe, quindi, essere garantito soprattutto dalle economie dei paesi emergenti (esclusa la Cina, attesa a +4,3% ma in calo costante da due anni), che nel 2025 rappresenteranno il 40% della crescita globale, la quota più alta dal 2012 dopo la crisi del debito sovrano. A fare la parte del leone saranno l’India, stimata a una crescita del +6,1%, e i paesi del sud-est asiatico che afferiscono all’Asean (Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Myanmar, Malaysia, Singapore, Thailandia e Vietnam) complessivamente a +4,5%. Una delle incognite sarà rappresentata dalle strategie che la Cina sceglierà di adottare per contenere la riduzione della crescita e dai loro impatti sul mercato globale.

IL CALO DELL’INFLAZIONE POTREBBE NON BASTARE

Nell’Eurozona, a influire negativamente sulle attese di crescita è anche l’incertezza politica in paesi guida come Francia e Germania, che origina nei cittadini e nelle imprese un sentimento di scarsa fiducia e pessimismo a cui corrisponde un calo della propensione agli investimenti e ai consumi delle famiglie. 
Un elemento di positività potrebbe arrivare dalle politiche per la riduzione dell’inflazione in Europa e negli Usa, rese possibili dal calo dei costi delle materie prime ma su cui aleggia nell’area euro il rischio di aumento del prezzo del gas e dell’energia elettrica, anche come conseguenza del mancato rinnovo dell’accordo con Gazprom per il passaggio del gas in Ucraina. I tagli dei tassi effettuati lo scorso anno dalle banche centrali europea e americana rappresentano un altro fattore positivo per la crescita, che potrebbe però essere parzialmente vanificato da politiche fiscali più restrittive, soprattutto nei paesi europei.
Inoltre, le aziende dell’Eurozona registrano da tempo un forte aumento del costo del lavoro (calcolato per unità di prodotto a +4,2% su base annua) che incide sui margini: Coface calcola che il tasso di redditività delle imprese si sia ridotto di 2 punti percentuali in Germania e nei Paesi Bassi e di 4 punti in Italia e Spagna, accrescendo la fragilità delle imprese. 
Nel complesso, la visione che emerge dall’indice del rischio paese elaborato da Coface è quella di un peggioramento dei livelli di rischio politico e sociale in 71 dei 166 paesi analizzati, che porta il dato globale a superare di 1,3 punti il livello pre-pandemia (2015-2019). Nel 2025 i fattori in evoluzione potrebbero essere troppi per non determinare situazioni di stress internazionali e interne ai singoli paesi. 

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