IL RISK MANAGEMENT CHE GENERA UTILI
In uno scenario con i rischi sempre più immateriali, sta mutando la natura delle minacce a cui le aziende sono sottoposte: serve un più efficace scambio di informazioni tra risk manager e assicuratori. Su questo presupposto si è articolato il quattordicesimo convegno annuale di Anra, che ha delineato le possibili strategie e gli ambiti di intervento per l’evoluzione della gestione del rischio nel nostro Paese e in Europa
31/12/2013
“Arriva sempre il momento in cui non c’è altro da fare che rischiare”. Sono parole dello scrittore portoghese Josè Saramago (premio Nobel per la letteratura), che sintetizzano bene l’approccio di quanti, tutti i giorni, devono affrontare le difficoltà insite nel fare impresa. Ed è stata proprio questa frase ad accompagnare le giornate del 14esimo convegno annuale di Anra, l’associazione italiana dei risk manager italiani, tenutosi il 7 e 8 novembre a Milano. Una due giorni che ha battuto ogni record di partecipazione: presenti più di 100 tra risk manager e chief risk officer, oltre a moltissimi esponenti delle compagnie e del mondo dell’intermediazione.
LE PROSPETTIVE DEL MERCATO ASSICURATIVO IN EUROPA
Tra le tendenze che si stanno maggiormente imponendo a livello europeo c’è quella che vede nel risk management uno strumento per la generazione di utili delle aziende più impegnate nei processi di innovazione e trasformazione digitale. I risk manager e i chief risk officer (cro) stanno assumendo responsabilità sempre maggiori all’interno dei grandi gruppi industriali, e le assicurazioni devono essere in grado di supportarli.
Ma il rapporto tra Rm e assicuratori sembra essere complicato da due fattori: da un lato l’Enterprise risk management (Erm) ha dimostrato che, al momento, solo una piccola percentuale di rischi è trasferibile al mercato; dall’altro i rischi stanno diventando sempre più immateriali e cambia la natura della minaccia.
“Di chi è la principale responsabilità se solo pochi rischi aziendali possono essere assicurati?”, si è chiesto Paolo Rubini, presidente di Anra e risk manager di Telecom Italia. “Solo del mercato assicurativo, oppure anche del fatto che insieme non si sia riusciti a fare sistema?” Questi interrogativi hanno dato il via a un momento di confronto dedicato all’analisi delle prospettive del mercato assicurativo in Europa, tra nuovi rischi e capacità, che ha visto come protagonisti alcuni importanti esponenti di compagnie che operano su scala globale: Anthony Baldwin, managing director per l’Europa di Aig; Christian Hinsch, chairman executive board di Hdi Gerling; Andrew Kendrick, presidente di Ace European group: Fredrick Rosencrantz, ceo del gruppo Zurich per l’area Emea; e Paolo Vagnone, head of global business di Generali.
È stato Kendrick di Ace a ricordare che, “soprattutto a partire dalla crisi finanziaria del 2008, il risk management ha assunto un’importanza inedita”, auspicando però che lo scambio di informazioni tra cro, risk manager e assicuratori sia più fluido, profondo e trasparente possibile. “Non è vero – ha aggiunto – che la maggior parte dei rischi non è assicurabile: si tratta solo di capire pienamente il rischio”.
Rosencrantz di Zurich ha poi rilevato che, a proposito del cyber risk (tra i più diffusi rischi emergenti), le compagnie stanno migliorando e presto nascerà una generazione di nuovi prodotti: “non solo coperture, ma anche servizi. Si tratta di un mercato che può offrire grandi opportunità”.
Hinsch di Aig ha poi introdotto il fattore prezzo: non si può ridurre tutto al costo della polizza. Le criticità dello scenario attuale sono interdipendenti, e rendono tutto più veloce e complesso: “Non concordo con chi sostiene che le compagnie non innovano: noi lo facciamo con i singoli clienti, lavorando a nuovi prodotti su misura”. Questa sembra essere la strada da percorrere: valutare il rischio insieme e fare sistema.
Anche con gli intermediari: come ha sottolineato Baldwin di Aig, “è necessario lavorare con i clienti e i broker se si vuole essere forti”, e per questo la compagnia ha deciso di aprire un ufficio per la ricerca di servizi innovativi e sviluppare prodotti per clienti specifici e rischi difficili da assicurare, come quello reputazionale.
Vagnone di Generali ha poi osservato che il processo di innovazione non può fermarsi mai: “dobbiamo migliorare le fasi di raccolta dati e gestione dei costi – ha proposto – e operare a livello internazionale con diversi metodi di lavoro”.
L'IMPATTO DELLA GESTIONE DEI RISCHI SUL MERITO DI CREDITO
La seconda giornata del convegno ha avuto come tema centrale quello del merito di credito. Una buona gestione del rischio può aiutare le aziende a ottenere liquidità dalle banche? Un tema non facile da decifrare, come del resto dimostra lo stesso titolo del dibattito, L’impatto della gestione e trasferimento dei rischi sul merito di credito: fantascienza o realtà?, moderato da Alessandro De Felice (cro di Prysmian group e vice presidente di Ferma, l’associazione europea dei risk manager), a cui hanno partecipato Dario Focarelli, dg dell’Ania, Marco Oriolo, ad di Tuvia e vice presidente dei giovani di Confindustria, e Francesco Sogaro, senior partner del Fondo italiano d’investimento.
È stato Focarelli a ricordare che “ci sono delle evidenti difficoltà nel convincere le banche che una migliore assicurazione delle imprese determina una maggiore affidabilità”. Il dg dell’Ania ha ricordato che, in questo ambito, il lavoro dell’associazione è quello di raccogliere tutte le informazioni possibili sulle imprese assicurate e sul loro comportamento. “Le prime informazioni analizzate ci dicono che il tasso di fallimento delle imprese assicurate è di gran lunga inferiore a quello delle aziende che non lo sono”. Esisterebbe dunque un’evidenza statistica che Bankitalia potrebbe utilizzare per creare modelli interni che inseriscano il tasso di protezione di un’azienda come criterio di valutazione del credito. Anche dal punto di vista del risk management, ha aggiunto De Felice, “dovremmo essere in grado di dare nuovi e più precisi standard di riferimento da offrire al sistema bancario per accertare l’affidabilità di un’azienda”.
Francesco Sogaro, tuttavia, si è mostrato scettico: “oggi è fantascienza che il trasferimento dei rischi abbia un impatto sul merito di credito. Le banche hanno già una gigantesca mole di informazioni – ha osservato – ma non sono in grado di utilizzarle perché si tratta di una quantità di dati così elevata che è impossibile fare un lavoro approfondito”. Sogaro ha individuato un’analogia tra il credit crunch e la spending review, sulla base del medesimo risultato che determinano: i tagli lineari. Secondo il senior partner del Fondo italiano d’investimento, occorre “ripensare integralmente ai parametri in base ai quali è concesso il credito”, ma, nel fare questo, “la gestione del rischio è solo uno degli aspetti: a volte è importante, a volte lo è meno, dipende da caso a caso”. Con l’ottimismo che doverosamente deve avere un giovane, si è mostrato invece fiducioso Marco Oriolo, pur osservando una situazione del mercato drammatica: “la crisi c’è, ma non deve diventare un alibi per noi imprenditori”. I motivi della sottoassicurazione delle imprese italiane sono molteplici, in primo luogo culturali. Ed è proprio di un cambiamento culturale che c’è bisogno: un cambio di passo che proprio dai giovani imprenditori può ricevere la spinta propulsiva. “Ci sono interventi che le aziende possono mettere in pratica senza dover aspettare che il Governo di turno si decida ad agire. Una di queste cosa è assicurarsi, lo strumento più efficace per mettersi al riparo dall’incertezza”.
UNO STRUMENTO PER AUMENTARE LA REDDITIVITA'
Top management e cda delle aziende europee sono sempre più orientati a una maggiore integrazione del risk management nella strategia globale dell’azienda. A registrare questa tendenza è una ricerca promossa da Ferma, la federazione di risk management europeo, svolta tra oltre 200 dirigenti di grandi organizzazioni continentali, mostrando una più sviluppata cultura aziendale del rischio. Nello specifico, il 35% delle imprese assegna la responsabilità diretta della gestione del rischio a un chief risck officer o a un risk manager. Più della metà delle aziende intervistate, il 56% ha affermato di aver aumentato nel corso degli ultimi tre anni le risorse destinate all’istruzione e alla formazione per le funzioni di chief risk officer. Tuttavia, solo il 17% degli intervistati ha definito come “chiara e completa o quasi” la comunicazione tra la direzione e il chief risk officer: mentre più di uno su quattro, il 29%, ha espresso preoccupazione perché il management può ricevere informazioni rivisitate sulla realtà dei rischi.
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