IN ITALIA NON SI NASCE PIÙ
Con le dinamiche demografiche attuali, e un mercato del lavoro asfittico, il sistema di welfare è sempre più indebolito. Il think tank “Welfare, Italia”, promosso dal gruppo Unipol con la collaborazione di The European House – Ambrosetti, lancia l’allarme sulla sostenibilità del Paese
20/12/2022
La crisi demografica dovrebbe essere al centro delle preoccupazioni di tutti i responsabili pubblici, i decisori politici, ma anche nel mondo del privato, delle imprese. E invece non lo è. Forse a causa di un sentimento di ineluttabilità che accompagna la crisi della natalità nelle società sviluppate, anche se con qualche eccezione. O forse perché nel nostro paese, il più vecchio del mondo, non si cresce, anzi si arretra da ormai trent’anni.
Con un mercato del lavoro asfittico e le dinamiche demografiche attuali, il sistema di welfare è sempre più indebolito. Welfare, Italia, il think tank attivo con il supporto del gruppo Unipol e con la collaborazione di The European House – Ambrosetti, in occasione del suo annuale evento di presentazione, svoltosi a Roma a fine novembre, si è focalizzato soprattutto sull’aspetto demografico, analizzandone le dinamiche, cause, impatti, e le possibili strategie d’azione. Piccola luce in fondo al tunnel (vedi box a pagina 24) è stata offerta al nostro paese dall’esperienza francese, che ha saputo in pochi anni invertire la tendenza della natalità attraverso politiche ad hoc, ma anche grazie a un diverso approccio culturale.
Nel dettaglio del rapporto, ci sono i numeri, spesso impietosi. Nel 2021, per la prima volta nella storia italiana, il numero di nati è sceso sotto la soglia dei 400mila (attestandosi a 399mila), contribuendo a un saldo naturale negativo di 214mila persone. Già nel 2020, soprattutto a causa della pandemia di Covid-19, si era registrato un saldo naturale negativo di 335mila persone, il peggiore dal 1918, altro anno epidemico (influenza spagnola).
CI MANGIAMO IL FUTURO
Il riflesso di questo andamento è il tasso di natalità, che in Italia è pari a 6,8 nati per mille abitanti, il valore più basso dell’Unione Europea, con un gap di 2,3 nati rispetto alla media (9,1). L’Italia registra il tasso di dipendenza degli anziani più alto nell’Europa a 27: 40,1 over-65 per 100 persone nella fascia 20-64 anni, con un valore superiore alla media europea (35,4%) di 4,7 punti percentuali.
“I dati statistici – ha commentato nel suo intervento Gian Carlo Blangiardo, presidente di Istat – ci dicono che ci stiamo mangiando progressivamente una parte del nostro futuro. Non avere davanti un futuro non è così motivante per lavorare o investire”. Il confronto con gli italiani del miracolo economico è impietoso, ecco perché è essenziale “riacquisire la cultura del futuro per dare continuità al paese, anche facendo sacrifici oggi”, ha chiosato Blangiardo.
SI SPENDE, MA MALE
In questo scenario s’inserisce l’impatto dell’inflazione sulla domanda di protezione sociale, le criticità del mondo del lavoro, la sostenibilità di medio-lungo termine del sistema, il ruolo del privato e degli investimenti sociali, il contributo del Pnrr e le strategie a livello europeo: vasto programma, si direbbe.
Secondo le stime di Welfare, Italia, l’aumento generalizzato della spesa in welfare, indotto dalla pandemia, continua anche nel post Covid-19: dopo la crescita di 46 miliardi di euro nel 2020, tra il 2021 e il 2022 la spesa nei tre pilastri tradizionali, cioè sanità, politiche sociali e previdenza, e nell’istruzione, è aumentata di ulteriori 22 miliardi, di cui 18 solo nel 2022, raggiungendo i 615 miliardi di euro. In termini relativi, la previdenza continua ad assorbire circa la metà della spesa in welfare (48,4%), seguita dalla sanità (21,8%), dalle politiche sociali (18,2%) e dall’istruzione (11,6%).
SALARI BLOCCATI DA TRENT’ANNI
La ripresa economica del 2021 e la guerra di aggressione russa dell’Ucraina hanno generato una forte pressione inflattiva, con l’indice dei prezzi al consumo che a ottobre scorso ha raggiunto il livello record dell’11,9%. “Questa dinamica inflattiva – ha detto Valerio De Molli, managing partner e ceo di The European House Ambrosetti – rischia di portare da due a 2,3 milioni il numero di famiglie in povertà assoluta, per un totale di 6,4 milioni di persone”.
Inoltre, l’inflazione avrà un impatto negativo anche sui risparmi e sul valore dei salari reali: secondo le stime Ocse, nel 2022 il valore dei salari reali in Italia si ridurrà del 3,1% (la media Ocse è del -2,3%), in un contesto in cui l’Italia, negli ultimi 30 anni, è stato l’unico paese dell’area Ocse che ha visto una diminuzione dei salari: -0,1% tra il 1990 e il 2020.
LA RACCOMANDAZIONE DELL’UNIONE EUROPEA
Il problema principale in Italia, secondo Ruth Paserman, direttrice Occupazione, affari sociali e inclusione presso la Commissione Europea, “è dare fiducia ai giovani, e lo si fa permettendo loro di avere un lavoro sicuro”. La disoccupazione giovanile in Italia è al 22%, mentre in Europa è al 13%, e anche il tasso di occupazione sopra i 55 anni è sotto la media europea. Una raccomandazione della Commissione, dello scorso settembre, chiede un miglioramento delle condizioni di lavoro di chi si occupa degli anziani: “al momento – ha precisato Paserman – il lavoro del carer è un non lavoro”. Inoltre, l’esecutivo Ue suggerisce che l’accompagnamento per le persone non più autosufficienti sia regolato attraverso servizi e non solo con la distribuzione di un capitale. “Insistiamo per arrivare a standard qualitativi uguali per tutto il territorio nazionale”, ha chiosato.
CIMBRI, L’INFLAZIONE NON RIENTRERÀ FACILMENTE
“Abbiamo il dovere di fare uno sforzo comune per combattere il declino della natalità. Non è un tema da trattare con i bonus, è molto più complesso e da affrontare a livello continentale”, ha commentato Carlo Cimbri, presidente di Unipol. Ecco perché, insieme al comitato scientifico del think tank e a The European House Ambrosetti, è arrivata la proposta di integrare il tema della natalità all’interno della tassonomia sociale europea.
Ma secondo il presidente di Unipol è arrivato anche il momento di “rimettere al centro la produttività, con delle politiche del lavoro attrattive”, ma non nel modo classico: “occorre andare verso un’economia dei servizi, anche per rivalutare un capitale umano che, grazie alla longevità, ha ancora molto da offrire”.
Dal punto di vista macroeconomico, la fase è complessa: secondo Cimbri, l’inflazione non si riassorbirà velocemente come pensano molti. “Intanto si sta rompendo il paradigma della globalizzazione, si ricompongono le catene della produzione globale”, ha fatto notare il presidente di Unipol. Succederà anche in Italia? Probabilmente sì, e questo porterà a un nuovo equilibrio, ma intanto produrrà inflazione.
Siamo in un cambio di epoca, il futuro esiste ma non riusciamo a immaginare come sarà.
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