31/03/2013-Il 92% dei broker e l'83,8% degli agenti è favorevole alla nuova normativa e si dice disposto all'utilizzo delle collaborazioni già da subito. Ma le dichiarazioni di intenti vanno valutate con prudenza, vista la struttura del settore assicurativo, le differenze tra agenti e broker, gli impatti operativi e, non ultima, la crisi economica
La libertà di collaborazione fra intermediari, istituita dal decreto Crescita 2.0 convertito in legge nello scorso dicembre, è una conquista per la categoria: secondo l’indagine che Iama Consulting ha svolto con Sna, Aiba e Uea a cavallo fra novembre e dicembre 2012 e a cui hanno partecipato oltre 2.200 intermediari, il 92% dei broker e l’83,8% degli agenti è favorevole alla nuova normativa, che potrebbe permettere di migliorare la qualità del servizio al cliente e aumentare la concorrenza del mercato.Ma non solo: il 92,4% dei broker e l’84,5% degli agenti pensa di organizzare collaborazioni già nell’anno in corso. Per il momento si tratta solo di dichiarazioni, ma qualora venissero rispettate oltre 11.000 agenzie inizierebbero a collaborare, determinando di fatto una vera rivoluzione nella distribuzione assicurativa.Ovviamente le dichiarazioni vanno prese con la massima cautela, anche perché al momento prevale l’incertezza sugli aspetti operativi delle collaborazioni e già emergono differenze fra broker e agenti.APPROCCIO DIVERSO TRA LE DUE FIGUREPiù convinti i broker, fra cui il 52.4% prevede di collaborare in modo sistematico con altri colleghi, meno gli agenti che, pur pronti ad affrontare la sfida, immaginano soprattutto (55,2%) di avvalersi delle collaborazioni in modo limitato e occasionale. Il diverso approccio fra agenti e broker si conferma in altri aspetti:i broker intendono sfruttare le collaborazioni soprattutto per sviluppare nuovi business, mentre fra gli agenti prevale una visione utilitaristica, limitata a risolvere i casi sporadici in cui si corre il rischio di perdere un cliente;gli agenti immaginano soprattutto collaborazioni “A con A” (91,1%), mentre i broker, non nuovi a rapporti con gli agenti, vedono di buon occhio non solo una pluralità di relazioni con i colleghi ma anche con banche e intermediari dell’Ue in regime di libertà di prestazione di servizi;i broker, che già gestiscono numerosi rapporti, non temono le incombenze gestionali derivanti dalle collaborazioni, mentre gli agenti sottolineano il possibile impatto sul business determinato dall’esigenza di maggior formazione, dalle complessità amministrative e dalla necessità di modifiche informatiche.Su un aspetto broker e agenti sono d’accordo: la scelta degli intermediari con cui collaborare dipenderà soprattutto dalle relazioni personali pregresse e dall’affidabilità dell’intermediario (e delle compagnie intermediate) in termini di servizio al cliente. Meno considerati altri fattori come la competitività tariffaria, l’ampiezza della gamma d’offerta e soprattutto il prestigio dei marchi: le collaborazioni potrebbero costituire uno strumento di valorizzazione della centralità della figura dell’intermediario e di promozione del personal brand.L’INCIDENZA DELLE DIFFICOLTÀ ECONOMICHEAl di là delle prime reazioni entusiaste al decreto e alle notevoli differenze fra broker e agenti, quale effetto potranno avere le collaborazioni fra intermediari sul mercato?Non è certo facile fornire oggi una risposta e anzi le novità normative vanno inquadrate in un contesto piuttosto complesso per un business che vive una lunga fase di stagnazione iniziata ben prima della grande crisi economica.Le agenzie di assicurazione affrontano anni di forte selezione competitiva e di contrazione della redditività: dal 2007 a oggi il numero di agenzie si è ridotto di quasi 2.000 unità – con un trend che non accenna a fermarsi – e mediamente la redditività è crollata del 24%.La crisi del sistema agenziale non è solo il risultato delle difficoltà del mercato e della congiuntura macro-economica ma dipende soprattutto dalle criticità strutturali che ne caratterizzano l’attuale modello organizzativo. Tra queste, l’inefficienza di un business incentrato sull’amministrazione dell’auto (che incide sul 55,3% degli incassi complessivi d’agenzia) e l’incapacità di svilupparsi in mercati a più alto potenziale e di intercettare quei bisogni sociali che emergono in una fase di progressivo ridimensionamento del welfare.Per ovviare a queste criticità i principali protagonisti del mercato stanno operando per creare una più forte integrazione del ciclo gestionale e di marketing fra imprese e reti agenziali al fine di aumentare l’efficienza e generare redditività sia per le compagnie che le agenzie.Ovvio che in questo contesto lo spazio per l’intermediazione indipendente – che oggi rappresenta in termini numerici circa il 30% dell’intermediazione professionale (quasi 3.000 agenzie plurimandatarie e 1.600 società di brokeraggio) – non sembra destinato ad ampliarsi, come mostra la brusca frenata dello sviluppo del plurimandato a pochi anni dai Decreti Bersani.COLLABORAZIONI: MODELLO TATTICO E STRATEGICOLe collaborazioni fra intermediari potrebbero tuttavia contribuire a rafforzare la centralità dell’intermediario indipendente, ma solo a condizione che siano finalizzate allo sviluppo dei mercati e non alla difesa dello status quo. A questo proposito, dall’indagine sono emersi due possibili modelli di collaborazioni:il primo, essenzialmente tattico, è considerato soprattutto dagli agenti attualmente monomandatari e si basa su poche collaborazioni occasionali da utilizzare per la difesa del portafoglio e la gestione delle emergenze; il secondo, strategico e di ampio respiro, è scelto da agenti plurimandatari e broker e si caratterizza per l’attuazione di più rapporti sistematici con differenti figure di intermediari finalizzate a sviluppare nuovi business.Entrambi i modelli comportano aspetti positivi e altri critici, ma è chiaro che almeno nel lungo periodo quello tattico appare difficilmente sostenibile.COLLABORAZIONI, MA NON SOLO PER L’AUTODicevamo che già oggi le agenzie hanno notevoli problemi di redditività e focalizzano il proprio business sull’auto. Si tratta di un business a forte impronta gestionale, con una crescente concorrenza sul prezzo e bassa marginalità per l’intermediario. Ne è la prova che mediamente a fronte di 54 euro ricavati da un’agenzia per una polizza auto ve ne sono 50 euro di costi, con un utile finale di 4 euro per pezzo. Accedere alle collaborazioni per conservare il cliente auto non appare quindi una soluzione ideale per rilanciare le agenzie, ed anzi rischia di determinare:un aumento dei costi dovuto all’allungamento dei tempi della trattativa, all’incremento della catena di intermediazione e alle maggiori complessità amministrative;una probabile contrazione dei ricavi per la riduzione del premio medio di polizza e dall’esigenza di condividere le provvigioni fra più intermediari.Perché le collaborazioni abbiano un effettivo impatto sul mercato occorre invece una profonda riorganizzazione del modello di business per valorizzare la pluralità di offerte, la centralità dell’intermediario, la specializzazione su nuovi mercati e soprattutto il best advice.Proprio la comparazione dell’offerta è ormai una realtà per la maggior parte dei settori di consumo. Anche nel mondo delle assicurazioni è in forte crescita la quota di clienti che alla scadenza della polizza auto confronta più offerte (36,7% secondo una recente indagine Iama), e le imprese stesse cercano di utilizzare la comparazione come un fattore differenziante. Un caso noto è quello di Axa France, che con Quialemeilleurservice ha rivoluzionato le tradizionali modalità di comparazione abbattendo il tabù del prezzo e confrontando 25 compagnie solo in termini di qualità del servizio.SERVIZI PER ABBATTERE IL COSTO DELL’INDIPENDENZAEvidentemente un modello di intermediazione come quello appena descritto, finalizzato allo sviluppo e al best advice, difficilmente può essere di massa e potrebbe svilupparsi solo a condizione che:si diffonda l’intermediazione grossista – già tipica di altre realtà come il Regno Unito e la Francia – attraverso i network di intermediari e broker grossisti, gli intermediari trattano direttamente con le compagnie condizioni e prodotti, ponendosi di fatto al centro dell’innovazione;si sviluppi una nuova generazione di servizi per l’intermediario che abbatta il costo dell’indipendenza fornendo soluzioni per la gestione della pluralità di relazioni con gli intermediari, la comparazione dell’offerta, la preventivazione, la gestione sinistri.Naturalmente un ruolo centrale nel futuro delle collaborazioni lo avranno le compagnie. Si è detto che il mercato evolve verso una maggior integrazione fra compagnie e reti agenziali, il che è sicuramente in contrasto con la possibilità che le collaborazioni si diffondano sistematicamente. Ma a fronte di un simile scenario le imprese sono chiamate a scegliere se affrontare passivamente le collaborazioni, correndo il rischio di aumenti della mobilità di portafoglio difficilmente controllabili e effetti pericolosi sugli andamenti tecnici, oppure affrontare la sfida in modo attivo cogliendo l’occasione di competere sugli intermediari e aumentare la capillarità della rete a bassi costi attraverso l’innovazione dell’offerta e del servizio e lo sviluppo di business specialistici ad alto potenziale.UNA QUESTIONE DI COMPORTAMENTOEntusiasmo, favore, prospettive immediate di accesso. Non vi è dubbio che la normativa sulle collaborazioni fra intermediari abbia creato un grande fermento fra gli intermediari. Ma qualsiasi intervento normativo non può di per sé trasformare un mercato ma è piuttosto finalizzato a rimuovere gli ostacoli che ne complicano il funzionamento. Non vi è quindi dubbio che le collaborazioni fra intermediari possano essere un’opportunità per lo sviluppo del business assicurativo e per un recupero della centralità del ruolo di agenti e broker, ma l’impatto effettivo dipenderà soprattutto dalla capacità di intermediari, imprese e in generale di tutto il sistema a focalizzarsi su sviluppo, crescita e innovazione, senza arroccarsi a difesa delle posizioni...